speciale - elezioni Usa 2004


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Sarà ancora una questione tra Venere e Marte

Europa femminea, Usa virili; Venere europea e Marte americano. Ossia una divisione che corre tra le due sponde dell'Atlantico per cui, a un Vecchio Continente ricco di valenze morali e principi filosofici permeati di postmodernismo ma imbelle di fronte ai regimi dittatoriali e autocratici, fanno da contraltare gli Stati Uniti muscolari, interventisti ma unilaterali e poco, o per niente, inclini al rispetto del diritto internazionale. Certo, gli ultimi quattro anni di amministrazione Bush hanno contribuito a rendere questa contrapposizione evidente, e la rielezione del presidente repubblicano non fa di sicuro sperare che i rapporti tra i due continenti si rilassino e prendano una piega più costruttiva, almeno per i primi tempi che seguono le elezioni americane: "Sul breve periodo credo che la dicotomia si rafforzerà" sostiene Mario Del Pero, docente di storia degli Stati Uniti all'Università di Bologna.

"L'invito al disarmo morale (moral disarm) lanciato qualche tempo fa da Timothy Garton Ash dalle pagine della New York Review of Books non è destinato a essere raccolto in tempi brevi", continua Del Pero ricordando come lo studioso britannico suggeriva l'idea per cui Europa e Usa mettessero da parte la rispettiva rivendicazione ad una presunta superiorità morale.

"Da una parte - continua Del Pero - le elezioni americane viste dall'Europa confermano tutti i nostri pregiudizi sull'America e quello che l'America è diventata dopo l'11 settembre; d'altra parte, negli Stati Uniti molte persone vicine a Bush vedono nell'atteggiamento dell'opinione pubblica europea verso le presidenziali la prova di una supposta superiorità che anima il Vecchio Continente. Nasce così la percezione americana di un proprio eccezionalismo di fronte a un'Europa che ha apertamente preso una posizione diversa alla scelta compiuta dalla maggioranza degli elettori statunitensi. Vista dall'altra sponda dell'Atlantico, l'Europa appare come un soggetto che si è intromesso in maniera indebita negli affari interni del paese con interventi di intellettuali e politici europei che auspicavano apertamente la vittoria di Kerry".

Una separazione destinata ad approfondirsi, quindi, e nei prossimi anni che cosa dobbiamo aspettarci? "E' difficile stabilire che cosa accadrà nell'arco di tre o quattro anni durante il prossimo mandato di Bush", replica ancora Del Pero sottolineando alcune contraddizioni colte durante la campagna elettorale: "le elezioni americane sono state presentate, vissute e vinte come un grande referendum sulla politica estera, era almeno dal 1968 che la politica d'oltre confine non aveva una simile centralità nella campagna elettorale americana. Queste elezioni vengono lette e interpretate come un'investitura affinché si continui a dare corso a una politica estera aggressiva e radicale che tanta parte ha avuto nel far precipitare i rapporti con l'Europa; però l'interventismo, comunque lo si giudichi, è una strada alla lunga impraticabile perché molto - troppo - dispendiosa dal punto di vista economico e militare, anche per gli Stati Uniti. Una previsione è estremamente difficile ma ci si potrebbe aspettare da Bush che continui il radicalismo interventista dimostrato finora con azioni ad altissimo impatto simbolico ma a bassissimo rischio e a bassissimo costo, un po' come Reagan che sosteneva di 'spezzare le reni' a Grenada: usava parole roboanti ma rischi non ne correva".
E, paradossalmente, questo tipo di politica internazionale potrebbe ritagliare un nuovo ruolo di mediazione e di filtro per l'Unione Europea: "gli Stati Uniti, se vorranno fare la voce grossa nel palcoscenico mondiale senza dare corso a minacce e a nuove e azioni di guerra, hanno bisogno di qualcuno che garantisca una mediazione diplomatica tra gli attori della politica internazionale". E chi meglio dell'Europa?
(m.b.)

 

 

 

 

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