265 - 13.11.04


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Altro che Bush vs. Kerry
A New York la sfida era
tra Yanks e Bosox
Alessandro Lanni


“Un tifoso dei Red Sox va in paradiso e chiede a Dio: Quando vinceremo di nuovo le World Series? Dio si gratta pensosamente il mento e alla fine risponde: Beh, non durante la mia vita». Storielle del genere si potevano ascoltare per le vie di New York fino a qualche giorno fa. I tifosi degli Yankees si divertivano alle spalle dei poveri fans di Boston, eterni sconfitti nella rivalità per antonomasia del baseball americano. Il team più raccontato, più filmato, più amato dell'american pastime stava spazzando via la squadra dei "calzini rossi" per l'ennesima volta. Nella finale dell'American League (in sostanza la semifinale del campionato) conducevano tre partite a zero. Bastava un'altra vittoria e avrebbero corso per l'ennesima volta negli ultimi dieci anni per il titolo di campione. E invece le cose non sono girate come la storia, la tradizione, la superstizione e milioni di tifosi neworkesi prevedevano. Prima al Fenway Park di Boston e poi allo Stadium di là dell'Hudson nel Bronx si è avverata la più grande rimonta della storia del baseball a stelle e strisce. Mai nessuna squadra nei playoff era risalita dallo 0-3 al 4-3. Un'onta che sarà ricordata a lungo dalla squadra strafavorita, pluricampione negli ultimi anni.

Altro che Bush vs. Kerry. A New York le elezioni nei giorni della Sfida erano invisibili più che mai. La città è democratica a prescindere dal risultato nazionale. Si sa. Nel 2000 Al Gore superò il rivale di 25 punti. Qualche spilletta dei "Bush Buster" venduta a Union Square; una manifestazione di una decina di comunisti americani; qualche cappellino con l'elefantino. Al massimo i manifesti Vote or Die, contro l'allergia degli americani per le elezioni. La Sfida, in questi giorni, era quella sul diamante. Ore di prepartita e record di ascolti in tv, inserti speciali sui giornali.
Quello che per tutti i newyorchesi rimarrà il Black Wednesday, era iniziato con l'invito del New York Post, tabloid più diffuso nella Grande Mela, a schierare il grande Babe Ruth, che si dice avesse maledetto – era il 1920 – i Boston Red Sox quando lo vendettero agli Yanks. Da allora la squadra del New England non avrebbe più vinto un campionato, l'ultima volta era il 1918! Un record che sembrava dover resistere anche quest'anno. E invece.

Ma la serie tra Sox e Yankees di record ne ha battuti molti. Oltre a quello della rimonta, anche quello della partita più lunga addirittura due volte di fila. Gara 5 a Boston è arrivata al quattordicesimo inning (una normale ne dura nove): 5 ore e 49 minuti per una partita. Quando "Papi" Ortiz ha spedito la pallina al di là delle vecchie recinsioni del Park spezzando l'equilibrio e lanciando la rimonta. Le divise gessate delle star multietniche di New York non avrebbero più rivisto la luce. Né lo straordinario battitore giapponese Hideki Matsui, né Mariano Rivera, pitcher panamense, sarebbero riusciti a ribaltare le sorti della serie. "Dannati Yankees" gridava il Post all'indomani della disfatta quando uno degli idiots, così si definiscono tra loro i giocatori dei Sox, Johnny Damon dopo una serie quasi a digiuno ha schiantato ben due palline verso i 55mila dello Yankee Stadium. Ma anche il New York Times non c'andava leggero. "Collasso monumentale" era il titolone dell'inserto sportivo. E i giocatori erano definiti mercenari.

Il baseball è sport scientifico. Tutto è statistica. Per questo gli europei non lo capiscono e non lo amano. Nei giorni scorsi, lo scienziato e divulgatore Dennis Overbye spiegava sul Times perché tifare i Red Sox ha a che fare con Heisenberg e la teoria dei Quanti. Una sorta di fatalismo dell'imprevedibile andrebbe messo nel conto per salvarsi dai rovesci della squadra del cuore.
Altra scienza, stesso sport. Qualche anno fa, il grandissimo paleontologo e divulgatore Stephen Jay Gould scrisse un mirabile saggio evoluzionistico (raccolto nel libro Full House, ed. Three Rivers Press) sull'estinzione dei grandi battitori da 400 su 1000 di media all'anno. L'ultimo è stato Ted Williams nel '41. Solo un inglese come Richard Dawkins nel Cappellano del diavolo (in uscita in Italia per Cortina in questi giorni) può prendere in giro la passione del suo acerrimo rivale Gould per il baseball. Troppo tecnico e troppo elitario, spiega. Figuriamoci. Per lui sofisticato zoologo nato nel Kenia coloniale che vive e insegna a Oxford tra una regata sul Tamigi e una partita di cricket. In America, il match tra Bosox e Yankees ha toccato vette di share televisivo che non si vedevano da anni per lo sport. Uno scontro che conferma il ragionamento di Gould: contano più pochi homerun al momento giusto che molte battute di scarsa incisività.

Che questa sia una stagione unica per i Red Sox ci sono molti indizi a dirlo. E “fortunello” Stephen King l'ha intuito in tempo. King ha il naso per il best seller, non c'è che dire, e ha azzeccato l'annata giusta per raccontare la stagione dei suoi amati Red Sox. Insieme a Stewart O'Nan, partita dopo partita ha iniziato a prendere appunti. Il risultato è un libro dal titolo Faithful: Two Diehard Boston Red Sox Fans Chronicle the 2004 Season (ed. Scribner). L'uscita prevista era questo autunno. Poi le cose sono andate come si sa. Boston è alle World Series. E Stephen King con giubbetto e cappellino dei Sox è ancora seduto dietro il piatto di casa base a seguire le gesta dei suoi eroi. Per tutti l'appuntamento in libreria è per il prossimo giugno.

PS. Come in tutte le favole, quella dei Red Sox ha la sua giusta conclusione. In questo Red October, le calze rosse di Boston hanno umiliato 4-0 gli uccellini rosso cardinale di St. Louis nelle World Series. Addio blu Yankees, per quest'anno il colore è quello sbagliato. E ditelo a Dio, che qualche volta ci si può sbagliare.

 

 

 

 

 

 

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