“Un
tifoso dei Red Sox va in paradiso e chiede a Dio: Quando
vinceremo di nuovo le World Series? Dio si gratta pensosamente
il mento e alla fine risponde: Beh, non durante la mia
vita». Storielle del genere si potevano ascoltare
per le vie di New York fino a qualche giorno fa. I tifosi
degli Yankees si divertivano alle spalle dei poveri
fans di Boston, eterni sconfitti nella rivalità
per antonomasia del baseball americano. Il team più
raccontato, più filmato, più amato dell'american
pastime stava spazzando via la squadra dei "calzini
rossi" per l'ennesima volta. Nella finale dell'American
League (in sostanza la semifinale del campionato) conducevano
tre partite a zero. Bastava un'altra vittoria e avrebbero
corso per l'ennesima volta negli ultimi dieci anni per
il titolo di campione. E invece le cose non sono girate
come la storia, la tradizione, la superstizione e milioni
di tifosi neworkesi prevedevano. Prima al Fenway Park
di Boston e poi allo Stadium di là dell'Hudson
nel Bronx si è avverata la più grande
rimonta della storia del baseball a stelle e strisce.
Mai nessuna squadra nei playoff era risalita dallo 0-3
al 4-3. Un'onta che sarà ricordata a lungo dalla
squadra strafavorita, pluricampione negli ultimi anni.
Altro che Bush vs. Kerry. A New York le elezioni nei
giorni della Sfida erano invisibili più che mai.
La città è democratica a prescindere dal
risultato nazionale. Si sa. Nel 2000 Al Gore superò
il rivale di 25 punti. Qualche spilletta dei "Bush
Buster" venduta a Union Square; una manifestazione
di una decina di comunisti americani; qualche cappellino
con l'elefantino. Al massimo i manifesti Vote or
Die, contro l'allergia degli americani per le elezioni.
La Sfida, in questi giorni, era quella sul diamante.
Ore di prepartita e record di ascolti in tv, inserti
speciali sui giornali.
Quello che per tutti i newyorchesi rimarrà il
Black Wednesday, era iniziato con l'invito
del New York Post, tabloid più diffuso
nella Grande Mela, a schierare il grande Babe Ruth,
che si dice avesse maledetto – era il 1920 –
i Boston Red Sox quando lo vendettero agli Yanks. Da
allora la squadra del New England non avrebbe più
vinto un campionato, l'ultima volta era il 1918! Un
record che sembrava dover resistere anche quest'anno.
E invece.
Ma la serie tra Sox e Yankees di record ne ha battuti
molti. Oltre a quello della rimonta, anche quello della
partita più lunga addirittura due volte di fila.
Gara 5 a Boston è arrivata al quattordicesimo
inning (una normale ne dura nove): 5 ore e 49 minuti
per una partita. Quando "Papi" Ortiz ha spedito
la pallina al di là delle vecchie recinsioni
del Park spezzando l'equilibrio e lanciando la rimonta.
Le divise gessate delle star multietniche di New York
non avrebbero più rivisto la luce. Né
lo straordinario battitore giapponese Hideki Matsui,
né Mariano Rivera, pitcher panamense,
sarebbero riusciti a ribaltare le sorti della serie.
"Dannati Yankees" gridava il Post
all'indomani della disfatta quando uno degli idiots,
così si definiscono tra loro i giocatori dei
Sox, Johnny Damon dopo una serie quasi a digiuno ha
schiantato ben due palline verso i 55mila dello Yankee
Stadium. Ma anche il New York Times non c'andava
leggero. "Collasso monumentale" era il titolone
dell'inserto sportivo. E i giocatori erano definiti
mercenari.
Il baseball è sport scientifico. Tutto è
statistica. Per questo gli europei non lo capiscono
e non lo amano. Nei giorni scorsi, lo scienziato e divulgatore
Dennis Overbye spiegava sul Times perché
tifare i Red Sox ha a che fare con Heisenberg e la teoria
dei Quanti. Una sorta di fatalismo dell'imprevedibile
andrebbe messo nel conto per salvarsi dai rovesci della
squadra del cuore.
Altra scienza, stesso sport. Qualche anno fa, il grandissimo
paleontologo e divulgatore Stephen Jay Gould scrisse
un mirabile saggio evoluzionistico (raccolto nel libro
Full House, ed. Three Rivers Press) sull'estinzione
dei grandi battitori da 400 su 1000 di media all'anno.
L'ultimo è stato Ted Williams nel '41. Solo un
inglese come Richard Dawkins nel Cappellano del
diavolo (in uscita in Italia per Cortina in questi
giorni) può prendere in giro la passione del
suo acerrimo rivale Gould per il baseball. Troppo tecnico
e troppo elitario, spiega. Figuriamoci. Per lui sofisticato
zoologo nato nel Kenia coloniale che vive e insegna
a Oxford tra una regata sul Tamigi e una partita di
cricket. In America, il match tra Bosox e Yankees ha
toccato vette di share televisivo che non si vedevano
da anni per lo sport. Uno scontro che conferma il ragionamento
di Gould: contano più pochi homerun
al momento giusto che molte battute di scarsa incisività.
Che questa sia una stagione unica per i Red Sox ci
sono molti indizi a dirlo. E “fortunello”
Stephen King l'ha intuito in tempo. King ha il naso
per il best seller, non c'è che dire, e ha azzeccato
l'annata giusta per raccontare la stagione dei suoi
amati Red Sox. Insieme a Stewart O'Nan, partita dopo
partita ha iniziato a prendere appunti. Il risultato
è un libro dal titolo Faithful: Two Diehard
Boston Red Sox Fans Chronicle the 2004 Season (ed.
Scribner). L'uscita prevista era questo autunno. Poi
le cose sono andate come si sa. Boston è alle
World Series. E Stephen King con giubbetto e cappellino
dei Sox è ancora seduto dietro il piatto di casa
base a seguire le gesta dei suoi eroi. Per tutti l'appuntamento
in libreria è per il prossimo giugno.
PS. Come in tutte le favole, quella dei Red Sox ha
la sua giusta conclusione. In questo Red October,
le calze rosse di Boston hanno umiliato 4-0 gli uccellini
rosso cardinale di St. Louis nelle World Series. Addio
blu Yankees, per quest'anno il colore è quello
sbagliato. E ditelo a Dio, che qualche volta ci si può
sbagliare.
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