Prefazione
di Walter Veltroni al libro di Robert
B. Reich, Perché i liberal vinceranno
ancora, Fazi editore, 2004, pagg. 255,
euro 19,00
Ci
sono due espressioni, estremamente sintetiche e chiare,
che ricorrono in questo libro e che in fondo spiegano
nel modo migliore la differente visione della politica
e del mondo tra conservatori radicali - i radcons,
come li definisce Robert Reich - e liberal americani.
La prima è «noi e loro», e per i
radcons, ormai egemoni all'interno del Partito Repubblicano,
serve a separare con una certezza assoluta e ideologica
il bene dal male, l'America dal resto del mondo, ma
anche, all'interno della stessa America, chi possiede
potere, ricchezza e benessere da chi appartiene agli
strati sociali più bassi e ha difficoltà
ad andare avanti, così come chi ha valori e fede
da chi non ha principi morali e religiosi. «Tutto
o niente. Con noi o contro di noi. Per i radcons è
molto semplice»: così scrive Reich, ed
è molto interessante il ritratto che egli fa
in queste pagine di una vera e propria ideologia che
da vent'anni è in ascesa, è arrivata al
massimo del potere con l'amministrazione di George W.
Bush e ha trovato piena applicazione pratica con la
guerra "preventiva" e l'intervento in Iraq.
Un'ideologia che, attenzione, per Reich non è
affatto destinata a scomparire nel caso in cui il presidente
in carica perdesse le elezioni del novembre 2004, perché
è un fenomeno molto vasto, che parte da lontano,
che ha messo radici profonde nel sistema economico e
politico degli Stati Uniti.
La seconda espressione è «siamo tutti
sulla stessa barca», ed è quella che serve
a sintetizzare la cultura liberal e io penso, più
ampiamente, la cultura dei democratici americani, tanto
che fu Bill Clinton ad adoperarla nel 1992, durante
la sua prima vittoriosa campagna elettorale, e a ribadirla
nella convention di Boston che ha ufficialmente designato
John Kerry e John Edwards come il ticket che sfiderà
George W. Bush. Per Reich, che non a caso con Clinton
ha lavorato, facendo parte del suo esecutivo come segretario
del Lavoro, «siamo tutti sulla stessa barca»
significa porsi, ovviamente, del tutto agli antipodi
rispetto al darwinismo sociale e all'unilateralismo
in campo internazionale proprio dei radcons. Significa
pensare non alle "due Americhe" che i radcons
con le loro politiche - con i tagli ai servizi sociali
e ai fondi per la scuola, privatizzando in maniera selvaggia
la previdenza, riducendo le tasse dei ricchi - hanno
finito per creare, ma a una sola e salda comunità,
a un'America unita. Unita al proprio interno, capace
cioè di aumentare il benessere di tutti, e non
solo di chi possiede già molto e dei privilegiati.
Unita al resto del mondo, perché capace di seguire
la via della cooperazione internazionale, l'unica, peraltro,
in grado di sconfiggere davvero il terrorismo globale.
E qui sono davvero molto efficaci i passaggi in cui
Reich sottolinea come i liberal e in generale i democratici
non debbano aver timore di prendere in mano la bandiera
del patriottismo, che è alla base dello spirito
americano e che deve essere rivendicato contro la distorsione
che ne fanno i radcons. Il loro, dice Reich, è
un «patriottismo negativo», che serve solo
ad alimentare le paure e a mantenere le divisioni, che
è fatto solo di vessilli, parate e appelli retorici,
senza un corrispondente vero amore per la cosa pubblica,
senza un vero senso della moralità che porti,
tanto per cominciare, a compiere il proprio dovere nei
riguardi del fisco e a evitare il propagarsi di corruzione
e scandali finanziari. Anche qui per Reich c'è
la possibilità di cambiare rotta, di attingere
a quello spirito che permise al democratico Roosevelt
di salvare il paese negli anni della Grande Depressione
o al democratico Kennedy di impedire che il mondo sprofondasse
nell'incubo nucleare durante la crisi dei missili a
Cuba del '62. I radcons restano fermi, vogliono restare
fermi, agli anni Sessanta, da loro odiati, per dire
che i liberal e per estensione tutti i democratici sono
inveterati pacifisti sempre pronti a dare la colpa all'America
e indecisi di fronte al terrorismo.
Non è affatto così, sostiene Reich. C'è
un «patriottismo positivo» che ha, appunto,
esempi importanti nella storia dei liberal e dei democratici
americani e che anche oggi sta a loro far vincere, nel
segno del multilateralismo e dell'interdipendenza, del
lavoro insieme agli altri partner della comunità
internazionale, per affrontare le minacce del nostro
tempo e anche per ridurre la povertà globale
e il degrado dell'ambiente. Perché la povertà
globale non è certo la causa diretta del terrorismo,
ma è vero, come scrive Reich, che «ci illudiamo
decisamente se pensiamo che non vi sia una relazione
tra la povertà del Terzo Mondo e la diffusione
del fondamentalismo islamico».
È questo un altro dei punti di grande interesse
del libro di Reich, intellettuale e uomo di governo
capace di unire passione, profondità di pensiero
e chiarezza, come dimostrano anche queste pagine. Leggerle
aiuta a capire quanto vasta sia la distanza che negli
Stati Uniti separa due culture politiche e due schieramenti,
e serve a comprendere meglio quanto siano complessi
e densi di incognite gli scenari internazionali che
oggi abbiamo di fronte, scenari che sembrano davvero
delineare una di quelle curve della storia destinate
a decidere il futuro non solo dell'America, ma del mondo
intero.
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