263 - 16.10.04


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Ecco che significa essere liberal
Robert B. Reich
con Mauro Buonocore e
Daniele Castellani Perelli


Gli Stati Uniti d’America sono in piena campagna elettorale. E allora è perfettamente normale che un economista, che dagli Usa viene a Roma in occasione dell’uscita di un suo nuovo libro, si soffermi a parlare delle elezioni, sì, ma soprattutto dell’immagine che il presidente in carica offre al mondo segnato dalla guerra in Iraq. “Gorge W. Bush non è tutta l’America – dice Robert R. Reich- ne rappresenta solo una parte, e più precisamente quella fazione che con le sue scelte ha chiaramente spostato a destra il baricentro della politica americana”. Già segretario del lavoro per Bill Clinton, Reich è ora docente alla Brandies University e quando parla di un’America che non è d’accordo con Bush si riferisce ad un tipo di elettori, di cittadini, di americani che campeggiano dal titolo del suo ultimo libro: Perché i liberal vinceranno ancora (Fazi editore), 260 pagine in cui l’autore cerca di spiegare dove sta la parte più efficace e costruttiva dell’opposizione politica a Bush, e l’importanza di dare al progressismo made in Usa il coraggio di tornare a vincere per rimettere in carreggiata le sorti e le vite di una nazione sbandata dall’amministrazione di una destra fatta di guerre preventive e limitazioni di libertà.

“Essere liberal significa oggi quattro cose. Primo: credere nella separazione tra stato e chiesa. Secondo: credere che ci debba essere una sicurezza sociale accessibile, in altre parole, se ti capita un infortunio sul posto di lavoro devi sapere di poter contare su un’assicurazione che sia accessibile a tutti e non solo ai più ricchi o ai più fortunati. Terzo: credere sentire e applicare i principi della tolleranza verso i gruppi etnici, politici e religiosi diversi dal tuo. Quarto: fare fede alla legge internazionale, credere che ogni stato, Usa inclusi, deve rispettare gli accordi presi a livello internazionale tra stati”. Dunque i liberal di Reich ci appaiono esattamente come l’opposto di quello che sostengono Bush e i suoi collaboratori, perché essere liberal vuol dire avere una visione multilaterale della politica internazionale, vuol dire agire in collaborazione, vuol dire guardare alla vita e alla società con un occhio di riguardo verso le classe sociali più deboli, cercando di evitare che si produca quella spaccatura tra ceti ricchi e ceti medio-bassi che invece sta tagliando in due, almeno così ci pare leggendo le analisi di studiosi autorevoli come Paul Krugman, l’America repubblicana.
Sono temi, questi, da sempre cari allo studio di Reich che nel suo libro precedente, L’infelicità del successo (ancora Fazi editore, 2002), ha sottolineato come il ritmo frenetico e l’ansia di produzione di un certo modo di intendere il capitalismo producano negli individui una soecie di feticismo del successo che sostituisce il desiderio di trionfo professionale ad ogni altra sfera della vita individuale, agli affetti, alla famiglia, al tempo libero, con un evidente abbassamento della qualità della vita.

Prof. Reich, nei suoi libri lei tiene molto a parlare dell’importanza della qualità della vita per ciascun individuo; d’altra parte Jeremy Rifkin ha appena pubblicato in Italia un libro (Il sogno europeo, Mondadori), in cui sostiene che l’american dream ha fallito e si dovrebbe prendere a modello l’esempio europeo che cerca di salvaguardare di più la qualità della vita. Quali sono secondo lei differenze più evidenti tra i due stili di vita, l’americano e l’europeo?


Un termine che, parlando in generale, descrive bene il modo di essere degli americani è: insulare. Rispetto agli europei, gli americani sono più chiusi in se stessi, molti di loro non hanno mai viaggiato, non ne hanno mai avuto l’opportunità; molti non conoscono affatto una lingua che non sia l’americano, hanno passato tutta la loro vita all’interno degli Usa e quindi hanno una visione del mondo centrata su se stessi più di quanto non la abbiano gli europei.

Ma possiamo parlare anche di due modi diversi di intendere la società e la convivenza tra individui?

C’è sicuramente una grande differenza di cui ho scritto anche in un altro libro (L’infelicità del successo, ndr). L’America ha scelto una via economica basata sul dinamismo e sul progresso veloce; ma è una scelta che costringe a pagare un prezzo, l’insicurezza sociale. Il modello europeo è diverso, ma non esiste una risposta definitivamente giusta, non c’è un modo esatto una volta per tutte per capire qual è la migliore forma di capitalismo possibile.

In che modo l’America liberal guarda al modo europeo di intendere il mercato?

La maggior parte dei liberal vedono nel modello socialdemocratico europeo un esempio che offre maggiore sicurezza e tranquillità di quanto non possano oggi goderne gli americani nel loro paese. Chiaramente non possiamo prendere la socialdemocrazia europea e trapiantarla negli Usa; allo stesso tempo però gli americani vogliono una sanità più accessibile, buoni livelli scolastici disponibili per tutti, pensioni buone per vivere una vecchiaia economicamente tranquilla, per non parlare poi della sicurezza che, se si perde il lavoro, ce ne sarà sempre uno disponibile che assicuri una paga più o meno simile a quella che si è appena persa.

Quando si parla di Stati Uniti delle prime espressioni che in viene in mente è “la terra delle opportunità”, il posto dove ogni individuo che rispetti le regole riesce a realizzare il proprio sogno. E’ ancora così, oppure il modello europeo si presenta oggi come un mondo più stimolante e più a misura d’uomo rispetto agli Usa?

Non è necessariamente vero che si possa assumere l’Europa come un posto in cui vivere migliore degli Stati Uniti. Se hai una buona educazione e le giuste conoscenze politiche e sociali la vita che ti possono offrire gli States è molto migliore di quella che può offrire un paese europeo. D’altro canto, però, è anche vero che se non hai educazione abbastanza elevata e non hai le giuste conoscenze nei posti giusti, la qualità della vita può essere molto bassa. In America poi le differenze di reddito, di copertura sanitaria e di opportunità tra i ceti ricchi e i ceti medio-bassi è molto più ampia qui da voi, ma questo non vuol dire che siamo di fronte al fallimento di un modello, di un sistema.
Negli Usa è ancora possibile diventare relativamente ricchi, benestanti, anche con condizioni di partenza molto povere.
Certo bisogna ammettere che la scala sociale degli stati Uniti è molto più lunga di quanto non sia nel Vecchio Continente e quindi che, partendo dai pioli più bassi, cerca di arrivare in cima deve compiere un percorso molto lungo che si può compiere in virtù della propria iniziativa, mentre da voi cìè un modo di vedere diverso. In sostanza credo che possiamo intendere i due diversi modelli in questo modo: se in America vuoi introdurre qualcosa di nuovo lo fai e basta, se in Europa vuoi portare una novità nel mercato la prima cosa che ti chiedi è ”A chi devo chiedere il permesso?”.

Possiamo dire, semplificando che in America si vive per lavorare mentre in Europa si lavora per vivere?

La mia impressione è che molti europei tendono a realizzarsi fuori dal lavoro, mentre la soddisfazione degli americani è sempre ridotta a un livello professionale, alla sfera del lavoro. Quando in America due persone si incontrano o si presentano, la prima domanda che una fa all’altra è: “Che mestiere fai?”, e non credo che questa sia la prima cosa che si dicono gli europei quando si incontrano.

I governi di Francia e Germania hanno approvato una legge che fissa a trentacinque ore l’orario di lavoro settimanale, alcune aziende hanno fatto accordi con i sindacati per eludere la legge, mentre alcuni studiosi americani se ne sono detti entusiasti. Cosa ne pensa?

Il problema delle 35 ore è strettamente legato alla scelta tra un minore orario di lavoro con una paga minore o un orario maggiore per una paga più alta.
In America si tende a scegliere per la seconda opzione. Una delle ragioni più importanti per cui gli americani fanno questa scelta è l’insicurezza, l’incertezza: negli Usa, una volta che rimani senza lavoro, non sai più se avrai assistenza sociale, se potrai accedere ai servizi medici, non c’è nessuna rete di salvataggio per chi si dovesse trovare senza uno stipendio, quindi si sceglie di lavorare di più per una paga maggiore semplicemente perché l’insicurezza è enorme.

La popolarità di Gorge Bush è molto minore all’estero di quanto no lo sia all’interno dei confini nazionali, lo dimostra anche il grande successo del film di Michael Moore Fahrenight 9/11 e il suo libro Stupid White Man che ha venduto in tutto il mondo oltre tre milioni di copie. Crede che questo sia espressione di un sentimento antiamericano o il semplice dissenso verso la politica del governo statunitense?

Voi conoscete meglio di me quali sono i sentimenti europei verso Bush e verso la guerra, quello che io posso dire è che Bush è riuscito ad annullare con la sua guerra preventiva e unilaterale quel supporto e quell’empatia che si era sentita in Europa subito dopo gli attacchi dell’11/9.

Lei ha scritto che l’agenda pubblica americana è dominata dai repubblicani. Esiste in Usa un problema di pluralismo dei media?

Sì, radio e tv di destra hanno alzato molto la loro voce negli ultimi tempi e tendono a dominare l’arena politica, e ancor peggio non c’è nei media alcuna voce che controbilanci questa tendenza della destra. Abbiamo iniziato a renderci conto delle prime avvisaglie di questo problema già dai tempi dell’amministrazione Clinton, ma ora è peggio, molti americani ottengono informazioni attraverso le lenti distorte dei media.

 

 

 

 

 

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