Gli
Stati Uniti d’America sono in piena campagna elettorale.
E allora è perfettamente normale che un economista,
che dagli Usa viene a Roma in occasione dell’uscita
di un suo nuovo libro, si soffermi a parlare delle elezioni,
sì, ma soprattutto dell’immagine che il
presidente in carica offre al mondo segnato dalla guerra
in Iraq. “Gorge W. Bush non è tutta l’America
– dice Robert R. Reich- ne rappresenta solo una
parte, e più precisamente quella fazione che
con le sue scelte ha chiaramente spostato a destra il
baricentro della politica americana”. Già
segretario del lavoro per Bill Clinton, Reich è
ora docente alla Brandies University e quando parla
di un’America che non è d’accordo
con Bush si riferisce ad un tipo di elettori, di cittadini,
di americani che campeggiano dal titolo del suo ultimo
libro: Perché i liberal vinceranno ancora
(Fazi editore), 260 pagine in cui l’autore cerca
di spiegare dove sta la parte più efficace e
costruttiva dell’opposizione politica a Bush,
e l’importanza di dare al progressismo made
in Usa il coraggio di tornare a vincere per rimettere
in carreggiata le sorti e le vite di una nazione sbandata
dall’amministrazione di una destra fatta di guerre
preventive e limitazioni di libertà.
“Essere
liberal significa oggi quattro cose. Primo: credere
nella separazione tra stato e chiesa. Secondo: credere
che ci debba essere una sicurezza sociale accessibile,
in altre parole, se ti capita un infortunio sul posto
di lavoro devi sapere di poter contare su un’assicurazione
che sia accessibile a tutti e non solo ai più
ricchi o ai più fortunati. Terzo: credere sentire
e applicare i principi della tolleranza verso i gruppi
etnici, politici e religiosi diversi dal tuo. Quarto:
fare fede alla legge internazionale, credere che ogni
stato, Usa inclusi, deve rispettare gli accordi presi
a livello internazionale tra stati”. Dunque i
liberal di Reich ci appaiono esattamente come l’opposto
di quello che sostengono Bush e i suoi collaboratori,
perché essere liberal vuol dire avere una visione
multilaterale della politica internazionale, vuol dire
agire in collaborazione, vuol dire guardare alla vita
e alla società con un occhio di riguardo verso
le classe sociali più deboli, cercando di evitare
che si produca quella spaccatura tra ceti ricchi e ceti
medio-bassi che invece sta tagliando in due, almeno
così ci pare leggendo le analisi di studiosi
autorevoli come Paul Krugman, l’America repubblicana.
Sono temi, questi, da sempre cari allo studio di Reich
che nel suo libro precedente, L’infelicità
del successo (ancora Fazi editore, 2002), ha sottolineato
come il ritmo frenetico e l’ansia di produzione
di un certo modo di intendere il capitalismo producano
negli individui una soecie di feticismo del successo
che sostituisce il desiderio di trionfo professionale
ad ogni altra sfera della vita individuale, agli affetti,
alla famiglia, al tempo libero, con un evidente abbassamento
della qualità della vita.
Prof. Reich, nei suoi libri lei tiene molto
a parlare dell’importanza della qualità
della vita per ciascun individuo; d’altra parte
Jeremy Rifkin ha appena pubblicato in Italia un libro
(Il sogno europeo, Mondadori), in cui sostiene
che l’american dream ha fallito e si dovrebbe
prendere a modello l’esempio europeo che cerca
di salvaguardare di più la qualità della
vita. Quali sono secondo lei differenze più evidenti
tra i due stili di vita, l’americano e l’europeo?
Un termine che, parlando in generale, descrive bene
il modo di essere degli americani è: insulare.
Rispetto agli europei, gli americani sono più
chiusi in se stessi, molti di loro non hanno mai viaggiato,
non ne hanno mai avuto l’opportunità; molti
non conoscono affatto una lingua che non sia l’americano,
hanno passato tutta la loro vita all’interno degli
Usa e quindi hanno una visione del mondo centrata su
se stessi più di quanto non la abbiano gli europei.
Ma possiamo parlare anche di due modi diversi
di intendere la società e la convivenza tra individui?
C’è sicuramente una grande differenza di
cui ho scritto anche in un altro libro (L’infelicità
del successo, ndr). L’America ha scelto una
via economica basata sul dinamismo e sul progresso veloce;
ma è una scelta che costringe a pagare un prezzo,
l’insicurezza sociale. Il modello europeo è
diverso, ma non esiste una risposta definitivamente
giusta, non c’è un modo esatto una volta
per tutte per capire qual è la migliore forma
di capitalismo possibile.
In che modo l’America liberal guarda
al modo europeo di intendere il mercato?
La maggior parte dei liberal vedono nel modello socialdemocratico
europeo un esempio che offre maggiore sicurezza e tranquillità
di quanto non possano oggi goderne gli americani nel
loro paese. Chiaramente non possiamo prendere la socialdemocrazia
europea e trapiantarla negli Usa; allo stesso tempo
però gli americani vogliono una sanità
più accessibile, buoni livelli scolastici disponibili
per tutti, pensioni buone per vivere una vecchiaia economicamente
tranquilla, per non parlare poi della sicurezza che,
se si perde il lavoro, ce ne sarà sempre uno
disponibile che assicuri una paga più o meno
simile a quella che si è appena persa.
Quando si parla di Stati Uniti delle prime
espressioni che in viene in mente è “la
terra delle opportunità”, il posto dove
ogni individuo che rispetti le regole riesce a realizzare
il proprio sogno. E’ ancora così, oppure
il modello europeo si presenta oggi come un mondo più
stimolante e più a misura d’uomo rispetto
agli Usa?
Non è necessariamente vero che si possa assumere
l’Europa come un posto in cui vivere migliore
degli Stati Uniti. Se hai una buona educazione e le
giuste conoscenze politiche e sociali la vita che ti
possono offrire gli States è molto migliore di
quella che può offrire un paese europeo. D’altro
canto, però, è anche vero che se non hai
educazione abbastanza elevata e non hai le giuste conoscenze
nei posti giusti, la qualità della vita può
essere molto bassa. In America poi le differenze di
reddito, di copertura sanitaria e di opportunità
tra i ceti ricchi e i ceti medio-bassi è molto
più ampia qui da voi, ma questo non vuol dire
che siamo di fronte al fallimento di un modello, di
un sistema.
Negli Usa è ancora possibile diventare relativamente
ricchi, benestanti, anche con condizioni di partenza
molto povere.
Certo bisogna ammettere che la scala sociale degli stati
Uniti è molto più lunga di quanto non
sia nel Vecchio Continente e quindi che, partendo dai
pioli più bassi, cerca di arrivare in cima deve
compiere un percorso molto lungo che si può compiere
in virtù della propria iniziativa, mentre da
voi cìè un modo di vedere diverso. In
sostanza credo che possiamo intendere i due diversi
modelli in questo modo: se in America vuoi introdurre
qualcosa di nuovo lo fai e basta, se in Europa vuoi
portare una novità nel mercato la prima cosa
che ti chiedi è ”A chi devo chiedere il
permesso?”.
Possiamo dire, semplificando che in America
si vive per lavorare mentre in Europa si lavora per
vivere?
La mia impressione è che molti europei tendono
a realizzarsi fuori dal lavoro, mentre la soddisfazione
degli americani è sempre ridotta a un livello
professionale, alla sfera del lavoro. Quando in America
due persone si incontrano o si presentano, la prima
domanda che una fa all’altra è: “Che
mestiere fai?”, e non credo che questa sia la
prima cosa che si dicono gli europei quando si incontrano.
I governi di Francia e Germania hanno approvato
una legge che fissa a trentacinque ore l’orario
di lavoro settimanale, alcune aziende hanno fatto accordi
con i sindacati per eludere la legge, mentre alcuni
studiosi americani se ne sono detti entusiasti. Cosa
ne pensa?
Il problema delle 35 ore è strettamente legato
alla scelta tra un minore orario di lavoro con una paga
minore o un orario maggiore per una paga più
alta.
In America si tende a scegliere per la seconda opzione.
Una delle ragioni più importanti per cui gli
americani fanno questa scelta è l’insicurezza,
l’incertezza: negli Usa, una volta che rimani
senza lavoro, non sai più se avrai assistenza
sociale, se potrai accedere ai servizi medici, non c’è
nessuna rete di salvataggio per chi si dovesse trovare
senza uno stipendio, quindi si sceglie di lavorare di
più per una paga maggiore semplicemente perché
l’insicurezza è enorme.
La popolarità di Gorge Bush è
molto minore all’estero di quanto no lo sia all’interno
dei confini nazionali, lo dimostra anche il grande successo
del film di Michael Moore Fahrenight 9/11 e
il suo libro Stupid White Man che ha venduto
in tutto il mondo oltre tre milioni di copie. Crede
che questo sia espressione di un sentimento antiamericano
o il semplice dissenso verso la politica del governo
statunitense?
Voi conoscete meglio di me quali sono i sentimenti
europei verso Bush e verso la guerra, quello che io
posso dire è che Bush è riuscito ad annullare
con la sua guerra preventiva e unilaterale quel supporto
e quell’empatia che si era sentita in Europa subito
dopo gli attacchi dell’11/9.
Lei ha scritto che l’agenda pubblica
americana è dominata dai repubblicani. Esiste
in Usa un problema di pluralismo dei media?
Sì, radio e tv di destra hanno alzato molto la
loro voce negli ultimi tempi e tendono a dominare l’arena
politica, e ancor peggio non c’è nei media
alcuna voce che controbilanci questa tendenza della
destra. Abbiamo iniziato a renderci conto delle prime
avvisaglie di questo problema già dai tempi dell’amministrazione
Clinton, ma ora è peggio, molti americani ottengono
informazioni attraverso le lenti distorte dei media.
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