263 - 16.10.04


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Le nostre parole segnate dal tempo
Martina Toti


Paolo Fabbri, Segni del tempo. Un lessico politicamente scorretto, Meltemi editore, 2004, pagg. 264, euro 20,50

Quando i tempi cambiano, alcune parole nascono e altre restano. Sfumate nei significati, insistenti, ripetute all’infinito, a volte svilite, a volte potenziate. Ed è il tempo stesso – brutto o bello che sia - a segnarne il destino.
Così il lessico di Paolo Fabbri, lontano dall’essere un vocabolario, sembra piuttosto una riflessione sulla contemporaneità: su quegli eventi e quelle ragioni che incidono sulle nostre parole quotidiane. Non va letto se si è in cerca di definizioni sicure e neutre ma piuttosto se, quando sfogliamo un quotidiano, ascoltiamo il telegiornale o discutiamo con i nostri amici, non possiamo fare a meno di sobbalzare davanti all’ennesima “azienda” – l’“Azienda-Italia” resta probabilmente l’esempio più fastidioso –, o a una sotterranea proposta di “devolution”, o a uno degli ormai numerosissimi atti di “terrorismo”. Insomma va letto se, quando queste ripetutissime parole ci capitano davanti, non possiamo fare a meno di elaborare qualche pensiero politicamente scorretto.

Nato dalla rubrica «Parole, parole, parole» del quotidiano L’Unità questo insieme di voci tocca i temi più svariati: semiotica, arte, musica, letteratura, scienza, moda e politica senza porsi “il problema della verità e della incomprensione, ma delle pratiche che usano felicemente di comportamenti o espressioni, passioni e ragioni.”. In questo glossario, attraversato da una vis polemica sottile che lo fa scivolare con leggerezza dalla “bandiera”-“arcobaleno” alla “guerra”, dall’“apocalisse” al “futuro”, dall’“immunità” alla “vergogna”, non mancano mai ironia e acuti giochi di parole.

Cosa distingue un “Cavaliere” da un “cavallaro”? Non è forse vero che “agenda” è parola apparentata con “azienda” e “faccenda”? E il “Reality” è “dura reality sed reality”? Altri giochi di parole, altre provocazioni: quando Paolo Fabbri crea e suggerisce neologismi. Perché – si diceva - quando i tempi cambiano, alcune parole restano e altre nascono. Parole come “criminesente”, “devoluzionario”, “centremista” o “cattolaico” avranno mai un futuro? “Chi parlerà saprà”, d’altro canto la lingua è “un organismo vivente da sperimentare come un’ecologia. Tra il vivaio della prolifrazione incontrollata e l’ordine senza vita dell’erbario, la lingua è giardino” (…) “dove il senso cresce improvvisato e, come l’erba, dal mezzo”.

 

 

 

 

 

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