Quando una guerra è così incerta da trasformarsi
in guerriglia, ed è sporca più del normale
- vedi il paradosso di Abu Graib -, cresce la necessità
di una stampa libera e coraggiosa, la necessità
di giornalisti che preferiscano le strade tagliate dai
proiettili agli hotel-bunker. Ma quei giornalisti che
scelgono di lasciare i loro alberghi, in guerre così,
si espongono a rischi incalcolabili, a avventure da
fine ‘800, a morti come quella di Enzo Baldoni.
Enzo Baldoni era un free-lance milanese di origine umbra,
ed era in Iraq per il settimanale Diario di Enrico Deaglio.
E’ stato rapito il 20 agosto dai terroristi dell’Esercito
islamico in seguito a un’imboscata mentre viaggiava,
con un convoglio della Croce rossa, sulla strada che
porta da Najaf a Bagdad. Il 24 agosto la televisione
Al Jazeera ha mostrato un video di rivendicazione in
cui Baldoni spiegava che sarebbe stato ucciso nel caso
in cui entro 48 ore le truppe italiane non avessero
lasciato il territorio iracheno. Tre giorni dopo l’annuncio
della tv del Qatar: “L’Esercito islamico
in Iraq ha annunciato di aver compiuto l’esecuzione
dell’ostaggio italiano rapito in Iraq su ordine
del suo legittimo tribunale”.
In
Italia la vicenda, su cui rimangono molti misteri, ha
avuto una forte eco, ma non ha scosso l’opinione
pubblica quanto la storia dei quattro bodyguard italiani
rapiti nella zona di Falluja il 12 aprile. Allora Maurizio
Agliana, Salvatore Stefio e Umberto Cupertino erano
stati liberati dopo 56 giorni di prigionia, mentre Fabrizio
Quattrocchi era stato giustiziato immediatamente. La
differenza dell’impatto delle due vicende è
sicuramente riconducibile a cause inerenti le vicende
stesse e inerenti i media: l’effetto novità
- già la storia di Antonio Amato, il cuoco italiano
sgozzato in Arabia a fine maggio, aveva suscitato meno
emozione - e la possibilità, per i media, di
romanzare il primo sequestro: inizio scioccante e conseguente
effetto-suspense prolungato, parenti mobilitatissimi,
presenza di tematiche coinvolgenti come il nazionalismo
delle ultime parole di Quattrocchi, la bandiera italiana
ostentata dal padre di Stefio, la legittimità
“morale” della presenza delle quattro guardie
del corpo in Iraq.
Tuttavia,
anche qui c’è stato spazio per un dibattito
interessante che Gianni Riotta sul “Corriere della
Sera” è stato tra i primi a sollecitare,
pur senza gli intenti polemici di cui si sono poi serviti,
anche volgarmente, altri. Riotta, il giorno dopo la
messa in onda del video, ha scritto di Baldoni: “Adesso
il suo mondo milanese, intellettuali, artisti, pubblicitari,
condivide l’ansia dei familiari degli uomini di
sicurezza rapiti in Iraq... Due culture separate in
Italia da tutto, l’invasione americana, Berlusconi
e Prodi, i marine e i mujahidin, si scoprono d’improvviso
vicine”. “Due galassie sociali e antropologiche”,
secondo Riotta, che sono state ridicolizzate dalla rispettiva
parte avversa come “i gorilla assetati di sangue”
e “il pubblicitario radical chic in cerca di avventure”.
Se la stampa moderata ha trattato con identico rispetto
le due vicende, su quotidiani più radicali i
toni sono stati diversi e hanno riproposto il tema delle
due Italie separate. Da un lato il manifesto ha dedicato
ai bodyguard titoli e vignette irriguardose - l’apertura
con “Eroi di scorta” e la vignetta di Vauro
che, il giorno dopo l’assassinio di Quattrocchi,
mostrava un dollaro penzolante da un pennone e, sotto
il titolo “morire per denaro”, inseriva
la battuta: “Banconote a mezz’asta”
- e lo stesso ha fatto “Liberazione” - “Quattro
mercenari italiani nelle mani degli iracheni”
-. Il quotidiano di Feltri, “Libero”, ha
invece preso di mira, con pari insensibilità,
il mite Baldoni, dedicandogli, anche dopo la morte,
titoli e frasi di questo tipo: “Il vacanziere
col brivido”; “Il turista del giornalismo”;
“Un simpatico pirlacchione”; “Il giornalista
italiano che cercava brividi in Iraq”.
La vicenda di Baldoni è notevole anche per quello
che ci dice del giornalismo di oggi. Non a caso, Articolo
21 ha proposto di intitolargli il Forum della stampa
di Gubbio. Federico Orlando e Giuseppe Giulietti, presidente
e portavoce dell’associazione, hanno lanciato
anche la proposta di un incontro tra tutti gli organismi
internazionali che si occupano della libertà
dei media e del rispetto delle convenzioni internazionali
in materia. “Enzo Baldoni – spiegano - era
un giornalista ‘non professionista’ che
aveva deciso di dedicare parte della sua vita alla ricerca
della verità contro ogni forma di censura e di
bugia mediatica. Per questa ragione aveva deciso di
esplorare i luoghi della guerra, della povertà,
della divinità cancellata ed oltraggiata”.
A Baldoni verrà intitolato anche un premio da
consegnare ogni anno al giornalista “non professionista”,
all’emittente, all’autore di blog o al fotografo
“che abbiano dimostrato coraggio, rigore professionale,
passione per la ricerca della verità”.
L’idea ha incontrato l’entusiasmo del segretario
generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana
Paolo Serventi Longhi che ha scritto: “Enzo era
una giornalista atipico, rigorosamente indipendente
e profondamente sensibile alle innovazioni e allo sviluppo
dei new media”. Il Presidente della Fnsi Francesco
Angelo Siddi ha chiesto in proposito una riflessione
“sulla funzione dei media e sull’esigenza
vitale di una libera stampa che possa svelare misteri
e trame oscure, dare luce e parola alle notizie negate
e dimenticate”: “Il desiderio di solidarietà
e di pace, di sostenere il riscatto dei deboli –
ha concluso Siddi – era strettamente connesso
alla ricerca di un’informazione libera e completa,
non intossicata dagli interessi dei belligeranti o delle
fazioni del terrore nelle frontiere martoriate dalla
guerra e dalla violenza”. La Fnsi e la Ifj - Federazione
internazionale dei giornalisti - si sono appellati alle
forze militari sul campo e alle milizie islamiche perché
risulti chiaro che i giornalisti non sono parte del
conflitto né espressione delle politiche nazionali
dei loro Paesi. “L’assassinio del free lance
Baldoni riporta ancora una volta alla luce – ricorda
il presidente della Fnsi – la condizione di alta
esposizione dei colleghi di frontiera. Anche sulle regole
del loro ingaggio di lavoro occorre una riflessione
più attenta e disponibile da parte di tutti,
a cominciare dagli editori. Va rilanciato l’impegno
della comunità internazionale per la sicurezza
dei giornalisti, la Convenzione di Ginevra non basta
più”.
Quella di Enzo Baldoni è una storia emblematica.
Ribadisce la difficoltà del giornalismo tradizionale,
ufficiale, di rapportarsi a guerre sempre più
complesse. Testimonia l’influenza crescente dei
bloggers e dei new media in genere, nella copertura
dei conflitti. E segnala anche qualcosa del nostro paese.
Parigi marcia compatta per chiedere la liberazione di
Georges Malbrunot e Christian Chesnot, i due giornalisti
francesi catturati in Iraq il 20 agosto, e in un clima
di autentica unità nazionale l’islam moderato
si conferma parte di quella civiltà repubblicana.
In Italia, nonostante nei casi dei bodyguard e di Baldoni
solo le ali estreme abbiano espresso apertamente l’aggressività
di cui sopra, rimane il dubbio su come l’opinione
pubblica italiana abbia vissuto le due vicende. Il dubbio
che si siano mostrate anche qui due Italie. Che sia
ancora vero che abbiamo una certa difficoltà
a seppellire i nostri morti.
Le immagini che trovate in questo articolo sono tratte
dal blog di Enzo Baldoni: http://bloghdad.splinder.it
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