Henri de
Grossouvre
Parigi Berlino Mosca. Geopolitica dell’indipendenza
europea
Fazi Editore, pag. 199, euro 18
E’ stato pubblicato in Italia soltanto quattro mesi
fa, ma è un libro già terribilmente vecchio.
Chi ricorda infatti i giorni eroici dell’asse franco-russo-tedesco,
che, solo un anno e mezzo, fa al palazzo di vetro dell’Onu
gagliardamente osteggiava la guerra in Iraq?
Parigi Berlino Mosca. Geopolitica dell’indipendenza
europea racconta la storia di un’alleanza che
sperava di cambiare il mondo, ma che ora già non
c’è più. In Francia il rampante Sarkozy
minaccia di capovolgere la politica estera del presidente
Chirac, facendo indignare uno Schroeder che lo accusa
di nazionalismo e che in Germania è sempre più
debole. La Russia di Putin, in un mondo che aspetta le
elezioni americane di novembre come se attendesse Godot,
sembra non pensare più a quella triplice.
Tuttavia chi si interessa di politica internazionale troverà
validi motivi per leggere questo libro, se non altro per
capire, al di là della retorica europeista francese,
quali siano, nel bene e nel male, i principi ispiratori
della politica estera transalpina. L’autore del
libro, infatti, è un giovane geopolitico gollista.
Schietto fino all’eccesso, Henri de Grossouvre,
che ha appoggiato la candidatura di Jean-Pierre Chevènement
alle presidenziali del 2002, guarda Chirac con gli occhi
paterni ma anche severi di Charles De Gaulle, e sembra
tradurre in parole politically uncorrect la diplomazia
dell’attuale presidente. Ed ecco allora che lampante
viene fuori l’antiamericanismo, declinato anche
attraverso il terzomondismo, un certo anticapitalismo
no-global, il rifiuto dell’ingresso della Turchia
nell’Ue (perché paese troppo filoamericano
e schiacciato sulle posizioni della Nato, ma anche perché
colpevole del genocidio degli armeni, mentre ovviamente
della politica russa in Cecenia de Grossouvre non parla)
e soprattutto un multipolarismo che veda la Francia attivissima
protagonista.
De Grossouvre spiega i motivi (storici ma soprattutto
economici e energetici) per cui, come contraltare al predominio
Usa, ci sarebbe bisogno di quest’alleanza: “Un
asse Parigi-Berlino-Mosca emanciperebbe l’Europa
dalla tutela e dalle contraddizioni dell’economia
anglosassone. Le permetterebbe di non sacrificare la sua
tradizione umanista, sociale e spirituale, e potrebbe
di nuovo far sentire la sua voce”. Alleanza che
il vecchio De Gaulle approverebbe, visto che una volta
dichiarò: “Io dico che occorre istituire
l’Europa sulla base di un accordo tra francesi e
tedeschi. Costituita su queste basi, allora potremo guardare
alla Russia. Ecco il programma dei veri europei. Ecco
il mio programma”.
Un asse siffatto, secondo l’autore, costringerebbe
gli Usa ad un comportamento militarmente e economicamente
meno aggressivo, correggerebbe una versione troppo neoliberista
della globalizzazione, favorirebbe un mondo multipolare,
assicurerebbe la stabilità e la sicurezza dell’Ue
e, last but not least, garantirebbe un’importante
protezione contro la crisi energetica prevista per i prossimi
due decenni (la Russia possiede le più grandi riserve
di gas del mondo ed è il terzo produttore mondiale
di petrolio). L’alleanza è resa sempre più
necessaria dall’allargamento ad est dell’Unione
e dal fatto che “il centro del mondo è in
cammino verso est, si sposta verso le regioni dell’Asia
affacciata sul Pacifico”. Nella divisione del lavoro,
la Francia si occuperebbe dei rapporti con l’Africa,
la Germania con il centro-est europeo e la Russia del
Medio Oriente e dell’Asia. Tutti cercando di coinvolgere
poi India e Cina in un mondo multipolare con scarse simpatie,
per così dire, verso Washington.
Più in concreto l’asse andrebbe costruito
attraverso l’allestimento in Russia di un polo tecnologico
franco-russo-tedesco, il sostegno al progetto per il corridoio
dei trasporti Parigi-Berlino-Varsavia-Minsk-Mosca, un
accordo borsistico tra le tre rispettive capitali finanziarie,
uno scambio tra i prodotti tecnologici europei e il petrolio
russo, la sollecitazione alla Russia a scegliere l’euro
come moneta di riferimento per le esportazioni e per le
riserve della sua banca centrale, la costituzione di una
banca europea continentale e la promozione di un prestito
pubblico per la Russia.
Il giovane de Grossouvre non rinuncia alla retorica
del “destino” (alla maniera di De Gaulle),
e spesso il suo astio verso il mondo anglosassone lo
fa sembrare un no-global bertinottiano più che
un neogollista francese, come quando descrive la triplice
alleanza come “un’alternativa all’anglosassone
riduzione dell’uomo a una merce”. In più,
a dire il vero, dietro la sua proposta politica l’Europa
sembra un po’ scomparire. C’è una
grande nostalgia di quando gli intellettuali russi parlavano
il francese, c’è la sensazione che Francia
e Germania siano i più “fichi” del
continente, e che l’Europa in fine dei conti non
sia che il nuovo nome dell’impero carolingio.
Che però non c’è più, e serve
a poco a chi voglia guardare al futuro.
p.s.: in tutto ciò, ovviamente, per de Grossouvre
l’Italia non esiste.
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