257 - 10.07.04


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Virilio e la critica della tecnica
René Capovin


Aggiornare la critica, metterla in connessione con l'attuale configurazione della realtà sociale - quindi, oggi, criticare la realtà nel suo stadio virtualizzato: questa la prospettiva di fondo di P. Virilio. Doppio movimento: studio degli agenti (mass-media, computer…) che de-realizzano il mondo quotidiano e reazione a questa minaccia di perdita della realtà. Obiettivo finale, la ricerca di equilibrio tra la dimensione dell'esistenza corporale e quella del nostro interagire a distanza nell'universo illimitato delle reti telematiche.

La scomparsa della realtà è apparsa a Virilio molto presto. Nato a Parigi nel 1932, passò l'infanzia a Nantes. Fu là che, un giorno, sentì alla radio che i tedeschi erano a Orléans. Dieci minuti dopo, rumori nella strada: i tedeschi erano già arrivati. Dice di avere avuto come padre e madre la guerra: si intende, questa guerra iper-veloce e tecnologica, questa "guerra-lampo" che mangia il tempo e lo spazio, ridefinendo le coordinate domestiche. La guerra dei bombardamenti a tappeto: la città, agli occhi di lui bambino, una presenza massiccia, eterna, "come le Alpi", che va in polvere in pochi minuti. Si tratta di eventi traumatici che hanno dato forma al suo pensiero: la guerra, dice Virilio, è stata anche la sua università.

Proprio il desiderio di farsi una ragione di quanto accaduto individua una linea fondamentale della sua riflessione: l'approfondimento dei diversi modelli di guerra quali spie delle dinamiche sociali complessive. Alla fine della guerra, infatti, si rende conto che durante il conflitto l'Europa intera era divenuta una fortezza: un territorio immenso era stato riorganizzato a città di vecchia concezione, con confini e controlli rigidi. Da allora, Virilio dedicherà un'attenzione costante alle forme in cui la guerra catalizza trasformazioni in fatto di logistica, trasporti e riproduzione generale della vita sociale.

Un secondo filo rosso della sua produzione è costituito dallo studio della velocità, quale dimensione essenziale di ogni interazione uomo-ambiente. In questo senso, urbanista di formazione, Virilio connota il proprio sguardo di una sensibilità tutta sociologica. E' infatti in una nicchia di questo sapere (segnato, in Francia, da un forte accento antropologico) che va situata la sua "dromologia" [dal greco dròmos, velocità]. Questa scienza insegna che il territorio non è che lo spazio-tempo costituito dalle tecniche di spostamento e comunicazione: ne consegue che il potere sarà di chi dispone, in fatto di spostamento e comunicazione, dello sprint più imperioso.

Queste due problematiche - lo spessore sociale e tecnologico delle guerre; la dimensione-velocità - convergono su un medesimo punto critico allorché la guerra diventa guerra pura, "cyberguerra", e la velocità diventa assoluta. La guerra in Kosovo è questo intreccio spettrale, in cui viene capovolta la logica delle guerre precedenti: non più una guerra locale, seppur iper-tecnologica come la prima guerra nel Golfo, ma una guerra che avviene nello spazio orbitale, nello spazio aereo-elettro-magnetico. Una guerra interamente risolta in alto, tesa non alla conquista di un territorio, ma all'annullamento della stessa dimensione geo-politica. D'altra parte, la guerra si trascina dietro tutto il mondo: Virilio denuncia un progressivo e generale azzeramento dello spazio-reale ad opera del tempo-reale. Viviamo "live", in un tempo mondiale che si lascia alle spalle tutte le precedenti storie di società, inevitabilmente incorniciate in uno spazio-tempo locale.

L'intreccio tra la logica della guerra pura e quella dell'informazione in tempo reale produce un ordigno di moderna concezione, la "bomba informatica". Su questo punto, Virilio assume una posizione molto radicale. La Rete non ha impatto locale, ma ha effetti, va da sé, world wide. Internet, apparentemente lo sviluppo civile di un sistema di comunicazione bellico (Arpanet), è in realtà l'arma globale con cui gli Stati Uniti hanno preso il mondo: la posta di questa guerra è la riduzione di ogni cosa a quantum di informazione - sicuri del controllo immediato di queste informazioni, il controllo di tutto il mondo (beninteso, laddove esso ha valore) è garantito. La tecnica, ancora una volta, ha fatto fare alla politica un salto di qualità: le navi e le armi avevano creato colonie in Africa, ora la rete e il computer trasformano noi stessi in colonie; come fascisti e nazisti hanno costruito le autostrade quali vie strategiche per la conquista di territori, così le autostrade dell'informazione sono, in un certo senso, delle Reich autobahn, cioè vie di colonizzazione culturale.

Nella vertigine della guerra cibernetica, però, dove può far forza quell'istanza critica ostinatamente rivendicata da Virilio? L'idea di fondo è che, come inventando la nave inventiamo anche il naufragio e la conseguente necessità di ulteriori sistemi di controllo, così pure, inventando Internet, inventiamo un incidente specifico - e Virilio lavora su questa inevitabile crisi per superare l'attuale situazione. La cifra più caratteristica di questo pensatore consiste nel portare alla tecnica un attacco "interno": non si tratta di un rifiuto à la Heidegger, ma di una critica, se vogliamo, umanista. Questa critica, infatti, com'ebbe lui stesso a dire in un'intervista, viene svolta nell'idea che un uomo deve lottare per rimanere un uomo di fronte a qualsiasi cosa che lo superi, sia Dio o la tecnoscienza.

 




 

 

 

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