
Aggiornare
la critica, metterla in connessione con l'attuale configurazione
della realtà sociale - quindi, oggi, criticare
la realtà nel suo stadio virtualizzato: questa
la prospettiva di fondo di P. Virilio. Doppio movimento:
studio degli agenti (mass-media, computer
) che
de-realizzano il mondo quotidiano e reazione a questa
minaccia di perdita della realtà. Obiettivo finale,
la ricerca di equilibrio tra la dimensione dell'esistenza
corporale e quella del nostro interagire a distanza
nell'universo illimitato delle reti telematiche.
La scomparsa della realtà è apparsa a
Virilio molto presto. Nato a Parigi nel 1932, passò
l'infanzia a Nantes. Fu là che, un giorno, sentì
alla radio che i tedeschi erano a Orléans. Dieci
minuti dopo, rumori nella strada: i tedeschi erano già
arrivati. Dice di avere avuto come padre e madre la
guerra: si intende, questa guerra iper-veloce e tecnologica,
questa "guerra-lampo" che mangia il tempo
e lo spazio, ridefinendo le coordinate domestiche. La
guerra dei bombardamenti a tappeto: la città,
agli occhi di lui bambino, una presenza massiccia, eterna,
"come le Alpi", che va in polvere in pochi
minuti. Si tratta di eventi traumatici che hanno dato
forma al suo pensiero: la guerra, dice Virilio, è
stata anche la sua università.
Proprio il desiderio di farsi una ragione di quanto
accaduto individua una linea fondamentale della sua
riflessione: l'approfondimento dei diversi modelli di
guerra quali spie delle dinamiche sociali complessive.
Alla fine della guerra, infatti, si rende conto che
durante il conflitto l'Europa intera era divenuta una
fortezza: un territorio immenso era stato riorganizzato
a città di vecchia concezione, con confini e
controlli rigidi. Da allora, Virilio dedicherà
un'attenzione costante alle forme in cui la guerra catalizza
trasformazioni in fatto di logistica, trasporti e riproduzione
generale della vita sociale.
Un secondo filo rosso della sua produzione è
costituito dallo studio della velocità, quale
dimensione essenziale di ogni interazione uomo-ambiente.
In questo senso, urbanista di formazione, Virilio connota
il proprio sguardo di una sensibilità tutta sociologica.
E' infatti in una nicchia di questo sapere (segnato,
in Francia, da un forte accento antropologico) che va
situata la sua "dromologia" [dal greco
dròmos,
velocità]. Questa scienza insegna che il territorio
non è che lo spazio-tempo costituito dalle tecniche
di spostamento e comunicazione: ne consegue che il potere
sarà di chi dispone, in fatto di spostamento
e comunicazione, dello sprint più imperioso.
Queste due problematiche - lo spessore sociale e tecnologico
delle guerre; la dimensione-velocità - convergono
su un medesimo punto critico allorché la guerra
diventa guerra pura, "cyberguerra", e la velocità
diventa assoluta. La guerra in Kosovo è questo
intreccio spettrale, in cui viene capovolta la logica
delle guerre precedenti: non più una guerra locale,
seppur iper-tecnologica come la prima guerra nel Golfo,
ma una guerra che avviene nello spazio orbitale, nello
spazio aereo-elettro-magnetico. Una guerra interamente
risolta in alto, tesa non alla conquista di un territorio,
ma all'annullamento della stessa dimensione geo-politica.
D'altra parte, la guerra si trascina dietro tutto il
mondo: Virilio denuncia un progressivo e generale azzeramento
dello spazio-reale ad opera del tempo-reale. Viviamo
"live", in un tempo mondiale che si lascia
alle spalle tutte le precedenti storie di società,
inevitabilmente incorniciate in uno spazio-tempo locale.
L'intreccio tra la logica della guerra pura e quella
dell'informazione in tempo reale produce un ordigno
di moderna concezione, la "bomba informatica".
Su questo punto, Virilio assume una posizione molto
radicale. La Rete non ha impatto locale, ma ha effetti,
va da sé,
world wide. Internet, apparentemente
lo sviluppo civile di un sistema di comunicazione bellico
(Arpanet), è in realtà l'arma globale
con cui gli Stati Uniti hanno preso il mondo: la posta
di questa guerra è la riduzione di ogni cosa
a
quantum di informazione - sicuri del controllo
immediato di queste informazioni, il controllo di tutto
il mondo (beninteso, laddove esso ha valore) è
garantito. La tecnica, ancora una volta, ha fatto fare
alla politica un salto di qualità: le navi e
le armi avevano creato colonie in Africa, ora la rete
e il computer trasformano noi stessi in colonie; come
fascisti e nazisti hanno costruito le autostrade quali
vie strategiche per la conquista di territori, così
le autostrade dell'informazione sono, in un certo senso,
delle
Reich autobahn, cioè vie di colonizzazione
culturale.
Nella vertigine della guerra cibernetica, però,
dove può far forza quell'istanza critica ostinatamente
rivendicata da Virilio? L'idea di fondo è che,
come inventando la nave inventiamo anche il naufragio
e la conseguente necessità di ulteriori sistemi
di controllo, così pure, inventando Internet,
inventiamo un incidente specifico - e Virilio lavora
su questa inevitabile crisi per superare l'attuale situazione.
La cifra più caratteristica di questo pensatore
consiste nel portare alla tecnica un attacco "interno":
non si tratta di un rifiuto à la Heidegger, ma
di una critica, se vogliamo, umanista. Questa critica,
infatti, com'ebbe lui stesso a dire in un'intervista,
viene svolta nell'idea che un uomo deve lottare per
rimanere un uomo di fronte a qualsiasi cosa che lo superi,
sia Dio o la tecnoscienza.
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