255 - 12.06.04


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E la “straniera” ruppe il fronte della destra

Claudio Landi


L'India cambia pagina e ritrova sulla sua strada il Partito del Congresso, il movimento nazionalista e democratico che dette al subcontinente, l'indipendenza e il pluralismo politico e sociale. Con il “lungo voto” di aprile e maggio (quattro fasi di esercizio del diritto politico fondamentale da parte di 370 milioni di cittadini che disciplinatamente lo hanno esercitato con modernissime macchinette elettroniche che hanno permesso in poche ore, dall'inizio dello scrutinio, di conoscere con esattezza vincitori e vinti), la più grande democrazia del mondo ha letteralmente mandato a casa il Bjp, il “partito del popolo” indiano, ovvero la destra nazionalista indù, guidata dal primo ministro-poeta, Atal Vajpayee, insediando al potere il partito di Sonia Gandhi.

A dir tutta la verità, il Congresso e i suoi alleati (che hanno dato vita all'Alleanza Progressista Unita), non hanno avuto la maggioranza assoluta dei seggi della Camera Bassa del Parlamento federale: per governare il Congresso ha bisogno del sostegno della sinistra, i due partiti “comunisti marxisti” che governano o hanno governato per anni Kerala e West Bengala, e di un importante partito “locale” dell'Uttar Pradesh, lo stato più importante e popoloso del Nord del paese (circa 180 milioni di persone).

Sinistra e partito dell'Uttar Pradesh hanno garantito questo sostegno e il Congresso ha conquistato il potere centrale, il “Centro”, come viene definito dalla stampa indiana.

Ma che diamine è accaduto? La domanda è obbligatoria. Le elezioni nazionali infatti sono state anticipate per decisione unanime della coalizione allora al potere, l'Alleanza Democratica Nazionale (Nda), il cui centro era appunto il Bjp. L'Nda era assolutamente convinta non di vincere ma di stravincere queste consultazioni e d'altra parte i primi sondaggi avevano confermato in pieno questa impressione. La decisione, fatale per la destra, era stata assunta dopo la vittoria del Bjp (anche questa del tutto imprevista!) nelle elezioni in quattro importanti stati dell'Unione Indiana, dello scorso 1 dicembre. In quell'occasione, il Congresso, che alla vigilia delle elezioni era dato per vincitore, era riuscito a mala pena a conservare la maggioranza nello stato della capitale, perdendo tutto il resto. Da allora la leadership del Bjp aveva pianificato la strategia per la vittoria definitiva adottando la scelta delle elezioni anticipate e proponendo un programma politico abbastanza “moderato” (per la storia del nazionalismo indù), insistendo sulla crescita economica, sul prestigio internazionale dell'India, sulla pace con il Pakistan. E sull'autocritica per gli “eccessi” dell'estrema destra contro i mussulmani nel Gujarat, nei pogrom del 2002.

Tutto sembrava mettersi per il verso giusto (per la destra nazionalista ovviamente), ma già dai primi exit poll nella prima fase del “lungo voto”, si era capito che qualcosa non andava secondo i piani del Bjp. A dir la verità, un’autorevole rivista indiana di centrosinistra, “FrontLine”, aveva avvertito osservatori e politici: nel mondo rurale lo scontento per una politica economica e sociale tutta a favore dei ceti urbani era forte e potente e avrebbe potuto rovesciare le ipotesi della vigilia. “FrontLine” è stata semplicemente preveggente e proprio grazie al voto rurale e alle alleanze giuste, il Congresso ha riconquistato il Centro.

A quel punto tutto sembrava predisposto per il “grande ritorno” della Dinastia Nerhu con la consegna del governo nelle mani di Sonia Gandhi. La destra nazionalista si era ben preparata per costruire una fortissima opposizione di delegittimazione contro Sonia, la “straniera”, “l'italiana”: mobilitazione di piazza dei movimenti estremisti e dei partiti 'moderati' dell'Nda, proteste istituzionali del primo ministro del Madhia Pradesh, operazioni e manovre di Borsa da parte di giovani operatori vicini al mondo della destra erano già pronte. La Borsa di Bombay ha iniziato a crollare e persino il moderato Georges Fernandez, già ministro della difesa e uomo dell'ex primo ministro-poeta, aveva organizzato la sua brava manifestazione popolare contro Sonia. Se questa si fosse insediata al potere, l'India sarebbe stata scossa per uno o due anni con mobilitazioni, proteste, contestazioni senza precedenti. La delegittimazione sarebbe stata radicale; il paese si sarebbe profondamente polarizzato. E la destra avrebbe evitato di spaccarsi sulla sua sconfitta elettorale.

Invece Sonia ha tolto di mezzo il giocattolo della 'straniera' e ha insediato, con una mossa a sorpresa (che però, a leggere bene la stampa indiana, non era poi tanto sorprendente), M. Singh alla guida del governo. A febbraio, un'altra importante rivista indiana, “Outlook”, aveva annunciato che proprio Singh sarebbe stato il candidato effettivo del Congresso alla guida del paese. M. Singh è un personaggio importante, per dirla con la Bbc, è “l'architetto delle riforme economiche liberali”. Ma specialmente è un sikh. E questo ci riporta alla storia politica recente dell'India: Indira Gandhi infatti fu uccisa da una guardia sikh, per aver ordinato a suo tempo l'attacco al Tempio sacro di questa importante comunità (i sikh sono il nerbo delle forze armate indiane).

Con la sua mossa, Sonia ha politicamente distrutto l'intera strategia di opposizione del Bjp, ha accresciuto enormemente il suo prestigio politico, ha assunto una posizione di leadership senza precedenti nella storia recente del suo paese (e infatti il presidente pakistano Perez Musharraf l'ha immediatamente invitata a visitare il paese) e ha insediato al potere un sikh riappacificando la Dinastia con quella comunità (a metà strada fra Islam e Induismo) e facendo dell'India il più grande laboratorio della democrazia del ventunesimo secolo, la democrazia del relativismo e del pluriculturalismo: per la prima volta l'India ha un premier non indù e un Presidente musulmano. Buona fortuna Sonia!






 

 

 

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