254 - 29.05.04


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Un conflitto, mille divisioni

Sergio Fabbrini


Le divisioni che sono emerse all'interno del centro-sinistra italiano e tra quest'ultimo e il movimento pacifista, relativamente al finanziamento della presenza militare italiana in Iraq, sono tutt'altro che contingenti. Se œ certo che le basi della politica domestica risiedono nelle fratture sociali e culturali che contrappongono classi, gruppi, comunitù e individui (come ha mostrato da tempo il sociologo della politica norvegese Stein Rokkan - si vedano i suoi saggi postumi raccolti in State Formation Nation-Building and Mass Politics. The Theory of Stein Rokkan, Oxford University Press, 1999), œ assai pi¦ incerto stabilire quali siano le basi della politica internazionale del dopo Guerra Fredda, ovvero le sue linee di frattura. Eppure, senza individuare queste ultime, sarù poco o punto plausibile discutere sulle possibilitù di ricomposizione di quelle divisioni. La mia argomentazione œ la seguente: quelle fratture sono cos– molteplici e complesse che risulterù estremamente difficile, per la politica riformista, ricomporle, se non addirittura rappresentarle. Naturalmente, sono consapevole che, in tempi come questi, œ inevitabile farsi attrarre dalle semplificazioni. Per di pi¦, le interpretazioni semplici possono essere pi¦ facilmente utilizzate per suscitare la mobilitazione delle coscienze o degli interessi. Cos–, i professionisti della semplicitù si impongono nel dibattito pubblico, nei salotti televisivi, nella polemica di partito. Dopo tutto, i drammi che abbiamo vissuto tra l'11 settembre del 2001 e l'11 marzo del 2004 sembrano sollecitare parole rassicuranti. Di qui, la formidabile tendenza che si manifesta a sinistra come a destra a dividere il mondo in buoni o cattivi, anche se l'identificazione degli uni e degli altri cambia in relazione al punto di vista che si adotta. Per i falchi, i buoni sono gli occidentali e i cattivi i mussulmani, per le colombe œ esattamente l'opposto. Ho buone ragioni, tuttavia, per pensare che le cose non stiano cos–. Quello che si œ replicato a Madrid non œ uno scontro unico tra le democrazie occidentali e il terrorismo islamico. Nella tragedia di Madrid vi sono molte pi¦ divisioni, molti pi¦ fronti di contrapposizione, rispetto allo "scontro di civiltù" di cui si continua a parlare dalla (ma anche prima della) tragedia di New York.

Fondamentalismo vs democrazia
Sicuramente, la fine Guerra Fredda tra le due super-potenze ha aperto un nuovo orizzonte di conflitti internazionali. In tale orizzonte, lo scontro tra il fondamentalismo islamico e le democrazie occidentali si œ imposto come preminente. E si œ imposta come area preminente dello scontro la vasta regione del medio-oriente. Dopo tutto, la prima guerra del dopo-Guerra Fredda œ stata quella condotta contro l'Iraq (per la sua invasione del Kuwait) nella primavera del 1991. E, a distanza di dieci anni, œ stato di nuovo l'Iraq, insieme all'Afghanistan, ad essere stato il teatro di un nuovo conflitto militare. In quell'area vi sono paesi (come l'Iran) che non hanno mai nascosto la loro ostilitù nei confronti dell'Occidente, anzi quell'ostilitù hanno utilizzato per definire la propria identitù nazionale. N¹ mancano paesi (come l'Arabia Saudita) che, pur dichiarandosi alleati dell'occidente, hanno continuato e continuano a sostenere (finanziariamente) e ad alimentare (ideologicamente) le formazioni e i gruppi islamici pi¦ fondamentalisti. La contrapposizione con l'occidente ha consentito all'islamismo radicale di avviarsi verso una vera e propria rinascita sociale e religiosa. Questa rinascita ha attraversato tutti i paesi mussulmani, fino al punto di lambire lo stesso arcipelago palestinese. Infatti, la resistenza palestinese all'occupazione israeliana dei territori arabi conquistati dopo la guerra del 1967 aveva conservato (fino a non molto tempo fa) un carattere preminentemente laico. Quello palestinese era progressivamente divenuto un movimento di liberazione nazionale, guidato da una leadership generalmente nazionalista e populista, culturalmente estraneo ai richiami fondamentalisti dell'islamismo radicale. Con il fallimento del tentativo del presidente americano Clinton di trovare una soluzione negoziata al conflitto israelo-palestinese nel dicembre del 2000, anche il movimento palestinese ha cominciato ad essere attratto dalle sirene fondamentaliste. Se ci… avverrù compiutamente, l'islamismo radicale potrù rivendicare la sua pi¦ importante vittoria.

Ora, œ indubbio che in questa vasta area territoriale e ideologica vi siano forze che definiscono s¹ stesse in contrapposizione all'occidente. Anche se nel decennio successivo alla prima Guerra del Golfo la contrapposizione era stata principalmente verso gli Stati Uniti, oggi tale ostilitù si œ estesa e si sta estendendo anche all'Europa (ed in particolare ai paesi ricchi della sua parte occidentale). Anche se œ bene tenere presente che si tratta di un'ostilitù di lungo corso, come convincentemente argomentano Ian Buruma e Avishai Margalit (in Occidentalism: The West in the Eyes of Its Enemies, New York, Penguin Press, 2004). Sicuramente, l'intervento militare della Nato (su pressione americana) in Kossovo alla fine degli anni novanta, intervento motivato dalla necessitù di proteggere il gruppo mussulmano dalle violenze serbe, aveva un poco scompaginato lo schema mentale dei fondamentalisti. Ma, naturalmente, l'attentato a New York, e la risposta americana alla strage subita, ha e hanno rimesso le carte a posto. Se questa linea di divisione (tra democrazie occidentali e islamismo radicale) œ evidente, meno chiare mi sembrano le sue basi strutturali. E, ancora meno chiare mi appaiono le sue prospettive. Naturalmente, nell'uno e nell'altro campo non mancano coloro che cercano di dare a tale divisione una sua dignitù ideologica. Ma l'ideologizzazione di questo scontro potrebbe avere le gambe corte. Dopo tutto, come potrebbe essere credibile l'idea di un Islam che si deve mobilitare per fermare i nuovi crociati o di un occidente post-coloniale impegnato ad esportare la propria democrazia?

Pro o contro la modernitù
Se œ indubbio che c'¹ un conflitto tra islamismo fondamentalista e occidente, a me sembra altrettanto indubbio che questo conflitto non esaurisca in s¹ la pluralitù di divisioni che lo attraversano. Innanzitutto, perch¹ c'œ un conflitto ancora pi¦ aspro all'interno stesso del mondo islamico. E, quindi, perch¹ ci sono divisioni altrettanto profonde all'interno stesso dell'occidente. Vediamoli partitamene. Il mondo islamico œ attraversato da una divisione tra due opposti predisposizioni nei confronti della modernitù. Tale divisione œ poco o punto rappresentata da quella tra paesi (politicamente) moderati (come l'Arabia Saudita o l'Egitto) e paesi (politicamente) radicali (come l'Iran e la Libia). Infatti, quest'ultima divisione rinvia a differenti scelte di politica estera da parte di quei paesi, ma non ad una divisione nella loro societù interna. Infatti, se ci poniamo dal punto di vista di quest'ultima, allora possiamo vedere come la divisione tra l'Islam modernista e anti-modernista attraversi tutti i paesi del medio oriente e tutte le comunitù islamiche della diaspora (sia europea che americana). I modernizzatori sono forse pi¦ presenti nell'Iran "radicale" che nell'Egitto "moderato". I tradizionalisti sono forse pi¦ attivi nel Marocco "moderato" che nella Libia "radicale".

Insomma, lo scontro sta attraversando da tempo il mondo islamico al suo interno. La lunga Guerra Fredda l'aveva congelato, se non occultato. Esso œ emerso quasi casualmente con la resistenza all'invasione sovietica dell'Afghanistan, per rendersi quindi evidente con la costruzione del regime talibano proprio in quest'ultimo paese. Con gli anni novanta, l'Islam si œ trovato per la prima volta dopo secoli di fronte alla sfida del suo futuro. Si tratta di una sfida difficilissima. Una sfida (non dimentichiamolo) che ha accompagnato l'Europa cristiana per diversi secoli, dalle guerre di religione del cinquecento all'affermazione di uno stato dei diritti (prima ancora che di una democrazia) nel corso dell'ottocento. Una sfida (per di pi¦) che non si pu… mai considerare conclusa. Basti vedere alla continua rinascita, nel nostro occidente cristiano, di movimenti fondamentalisti (ovvero anti-modernisti) cristiani che regolarmente mettono in discussione le acquisizioni di quel lungo e drammatico percorso, come la separazione tra stato e chiesa o la preminenza dell'individuo rispetto alla comunitù d'origine. Di conseguenza, come ha argomentato Amartya Sen (La democrazia degli altri, Mondatori, 2004), pensare al mondo islamico come ad una "realtù omogenea" œ un'imperdonabile leggerezza.

Unilateralismo vs multilateralismo
Ma ci sono ulteriori divisioni nel conflitto tra democrazia e fondamentalismo islamico. Esse attraversano l'occidente politico e culturale. E lo attraversano da tempo. Pure in questo caso, la Guerra Fredda si œ dimostrata una formidabile congelatore. In prima istanza, c'œ una divisione tra unilateralisti e multilateralisti. Essa œ emersa negli anni novanta negli Stati Uniti (attraverso il furibondo scontro tra il Congresso repubblicano guidato da Newt Gingrich e la Presidenza democratica di Bill Clinton, scontro che ha portato al tentativo di impeachment di quest'ultimo nel 1999, fallito per pochissimo), per poi estendersi all'Europa integrata. E infine esplodere, nel marzo del 2003, come un conflitto tra le due sponde dell'Atlantico. Ma, in anche in questo caso, avrei non pochi dubbi a concettualizzare tale conflitto nei termini di differenti prospettive di politica estera. Certamente, questa differenza conta. Tuttavia, essa œ l'effetto, piuttosto che la causa, della frattura che attraversa tutti i paesi occidentali (e non giù che ne contrappone alcuni ad altri). Quella frattura ha le sue radici in una differente interpretazione dell'occidente e del ruolo che esso "dovrebbe" esercitare nel mondo unipolare. Insomma, œ vero che siamo tutti occidentali, ma lo siamo in modo diverso.

Per alcuni occidentali (quelli che si riconoscono nell'amministrazione americana di Bush o nel governo inglese di Blair), la natura unipolare del sistema internazionale œ un fatto. Un fatto che pu… essere utilizzato per promuovere globalmente interessi e valori coerenti con il modello democratico e capitalistico dell'occidente. Qui, l'unilateralismo viene interpretato come la conseguenza logica di un mondo ad esclusiva dominanza americana. Unilateralismo e unipolarismo vengono quindi fatti coincidere, anche se il primo rinvia all'esercizio del potere internazionale mentre il secondo alla struttura di quest'ultimo. Come hanno scritto David Frum e Richard Perle (An End to Evil: How to Win the War on Terror, Random House, 2004), la struttura del potere impone nei fatti le modalitù del suo esercizio. Per altri occidentali (quelli che si riconoscono nella presidenza francese o nel cancelliere tedesco), invece, l'esercizio unilaterale del potere da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati costituisce un pericolo per la stabilitù dell'ordine internazionale. Il potere assoluto, anche se democratico, pu… corrompere in modo assoluto. Di qui il multilateralismo, interpretato come modalitù per promuovere un sistema internazionale multipolare. Per i multilateralisti occorre ricostruire un sistema internazionale di bilanciamento del potere, anche a costo di favorire una re-distribuzione di quest'ultimo tra paesi o blocchi non democratici (come la Cina e la Russia). Pure in questo caso, l'esercizio del potere internazionale viene fatto coincidere con la struttura di quest'ultimo. Dunque, per gli uni, la risposta al fondamentalismo deve passare attraverso l'azione dell'iper-potenza americana e dei suoi volenterosi alleati mentre, per gli altri, essa deve essere promossa e organizzata dalle istituzioni internazionali multilaterali (in particolare quelle che riconoscono un potere di veto anche ai paesi non democratici, come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite). Ma, naturalmente, struttura del potere e modalitù del suo esercizio non coincidono, cosicch¹ entrambe le posizioni appaiono zoppicanti.

Unilateralisti di destra e di sinistra
Come se non bastasse, all'interno degli unilateralisti e dei multilateralisti vi sono divisioni ulteriori. Comincio dai primi. Gli unilateralisti non sono esclusivamente della destra politica, ma sono anche presenti nella sinistra politica. Inoltre, all'interno degli uni e degli altri, vi sono ulteriori divisioni che sarebbe superficiale trascurare. Tra gli unilateralisti della destra (in particolare americana), vi œ una divisione significativa tra "gli imperialisti democratici" e i "nazionalisti assertivi", come li hanno definiti Ivo Daalder e James Lindsay (America Unbound. The Bush Revolution in Foreign Policy, Brookings Institution Press 2003). Gli imperialisti democratici costituiscono il core group dei neo-conservatori che controllano sia la Presidenza che il Congresso. Influenzati da Leo Strass (si vedano i contributi di Shadia Drury, Raimondo Cubeddu e Giovanni Borgognone su "Reset" di gennaio-febbraio 2004), gli imperialisti democratici vedono l'occidente come una fortezza assediata. E ritengono che esso sia assediato proprio perch¹ œ percepito al suo esterno come un mondo decadente. Tale decadenza pu… avere cause diverse: egoismo sociale, perdita dei valori, insicurezza da opulenza. Fatto si œ che l'occidente, a causa delle politiche liberal del contenimento e dell'accordo, ha smarrito la propria missione. Quella, cioœ, di civilizzare il mondo, aprendolo all'influenza della sua democrazia e del suo mercato. In questo contesto, la guerra potrebbe essere addirittura l'occasione di una rinascita. L'opportunitù per ritrovare la virilitù dei propri valori. E poich¹ l'occidente ha una forza militare senza precedenti, quella virilitù potrù essere (diciamo cos–) istruttiva anche per i suoi nemici, disincentivandoli ad agire contro di esso. L'agenda dei nazionalisti assertivi, al contrario, œ assai pi¦ limitata. La loro preoccupazione œ di tipo neo-realista. Per loro, si tratta di promuovere e garantire gli interessi dell'America, controllando le aree con risorse petrolifere o pi¦ generalmente economiche utili allo sviluppo e all'espansione di quest'ultima. Se cambiare i regimi anti-democratici che dominano in tali aree strategiche pu… risultare funzionale allo scopo, essi non si opporranno di certo. A condizione, per…, che i costi dell'operazione non superino i benefici. Inoltre, contrariamente ai primi, i nazionalisti non hanno sposato interamente la causa israeliana. Per loro, anzi, Israele œ parte del problema, non giù della soluzione. Se gli imperialisti democratici si identificano nell'imperialismo regionale israeliano, i nazionalisti continuano a ritenere che Israele debba limitare le proprie aspirazioni espansionistiche, riconoscendo la necessitù di una conclusione negoziata del conflitto con i palestinesi.

Assai diverse sono le prospettive perseguite dagli unilateralisti di sinistra, come i laburisti del premier inglese Tony Blair. Qui l'unilateralismo non œ giustificato sulla base di considerazioni di teologia politica, bens– di interventismo democratico. Per questi unilateralisti œ un bene che nel mondo ci sia l'iper-potenza americana, perch¹ solamente una grande e potente democrazia pu… promuovere la stabilitù e la giustizia internazionali. A condizione, per…, che essa accetti di condividere la leadership internazionale con gli altri paesi democratici. Una condizione che potrù essere tanto meglio realizzata quanto pi¦ quell'iper-potenza percepirù la lealtù e la solidarietù di questi ultimi (in particolare ora che œ sfidata da un formidabile terrorismo internazionale). Gli unilateralisti di sinistra, dunque, sembrano riconoscere l'implausibilitù del ritorno all'ottocentesco equilibrio di potenze. Contrariamente ai multilateralisti, essi sono consapevoli che la sicurezza e la giustizia internazionali richiedono l'egemonia delle democrazie, e non giù il bilanciamento di poteri tra queste ultime e le non-democrazie. Tuttavia, sembra poco plausibile pensare che si possa promuovere una gestione multilaterale (da parte delle democrazie) del potere internazionale unipolare solamente sulla base di dimostrazioni di lealtù e solidarietù verso l'iper-potenza. Quell'esito œ conseguibile solamente aggregando un blocco democratico europeo, capace di dialogare e di cooperare con gli Stati Uniti. E non giù dividendo l'Europa integrata, come ha finito per fare il governo laburista inglese fino a poco tempo fa. Forse, la decisione inglese (del dicembre 2003) di accettare l'avvio della formazione di un (seppure limitato) apparato militare europeo potrebbe segnalare la presa d'atto, da parte degli unilateralisti di sinistra, della debolezza della strategia che hanno perseguito prima e dopo il marzo 2003.

Isolazionisti vs internazionalisti
Le divisioni non mancano anche nel campo dei multilateralisti. Se œ vero che essi sono (stati) generalmente contro l'intervento militare in Iraq, se œ vero che essi sono (stati) generalmente a favore della leadership internazionale delle Nazioni Uniti, nondimeno tali preferenze convergono solo sulla superficie delle grandi manifestazioni pacifiste. Perch¹ in realtù, nel campo multilateralista, vi sono componenti decisamente isolazioniste ed altre decisamente internazionaliste. Per gli isolazionisti (che rappresentano larga parte del pacifismo militante), la risposta al terrorismo deve risiedere nel ritiro dell'occidente dal mondo che ha finora arbitrariamente occupato. Infatti, dietro l'isolazionismo pacifista, c'œ l'idea che il terrorismo sia l'equivalente funzionale dell'antico anti-colonialismo o del pi¦ recente anti-imperialismo. Le stragi dell'11 settembre 2001 e dell'11 marzo 2004 costituiscono la risposta, se non legittima certamente comprensibile, all'espansionismo occidentale (e americano in particolare). Insomma, quelle stragi ce le siamo cercate, se non meritate. Per questo motivo, l'occidente e l'America debbono rientrare nei loro confini, smettendola di agire (e di percepirsi) come i gendarmi del mondo. Ci…, peraltro, pu… aiutare gli occidentali a ritrovare la loro anima, cioœ pu… consentire loro di riscoprire quella cultura della pace e della convivenza cancellata dallo sviluppo del capitalismo e dall'esplosione della politica di potenza. Anzi, se œ possibile, l'occidente dovrebbe assorbire al proprio interno le culture non-occidentali, piuttosto che dominarle o cancellarle. Piuttosto che l'occidentalizzazione del mondo, essi sembrano auspicare l'orientalizzazione dell'occidente.

Altri multilateralisti, invece, sono esplicitamente internazionalisti. Essi riconoscono che il conflitto tra democrazie e fondamentalismo non œ originato esclusivamente dal comportamento delle prime, ma ha una sua potente base di supporto nei regimi anti-democratici che proteggono e finanziano quest'ultimo. Ovvero, riconoscono che il conflitto con il fondamentalismo non ha una radice economica e sociale, ma preminentemente ideologica e religiosa. Certamente, la riduzione della povertù e dell'analfabetismo nei paesi mussulmani (e non solo) potrù aiutare a circoscrivere il malessere che alimenta il fondamentalismo. Certamente, la soluzione negoziata ed equa del conflitto tra israeliani e palestinesi potrù sottrarre un alibi importante al furore anti-occidentale dei fondamentalisti. Ma quel conflitto ha una sua natura specifica che non pu… essere addomesticata con la fuga dal mondo. Esso, infatti, non œ geograficamente limitato, ma œ ideologicamente globalizzato. Per questo motivo, il mondo non pu… essere lasciato a s¹ stesso, ma richiede di essere guidato. La scelta œ tra il dominio globale di una iper-potenza democratica (cioœ gli Stati Uniti) oppure la leadership condivisa da una coalizione di paesi democratici (tra cui gli Stati Uniti), come argomenta Zbigniew Brzezinski (in The Choice: Global Domination or Global leadership, New York, Basic Books, 2004). Qui, dunque, siamo di fronte ad una proposta di multilateralismo attivo che riconosce alle democrazie un ruolo predominante. Perch¹ solamente le democrazie possono farsi carico della giustizia internazionale, oltre che della stabilitù globale. E le democrazie possono esercitare tale ruolo in virt¦ della loro civiltù giuridica, al cui servizio deve essere posta la forza militare.

Conclusione
Non voglio farla troppo lunga. Ma se ci… che ho detto œ plausibile, allora le stragi di New York e di Madrid non possono essere riconducili ad uno unico schema interpretativo, n¹ la risposta al terrorismo potrù trovarci tutti dalla stessa parte. Nella contrapposizione tra democrazie e fondamentalismo si intrecciano molte linee di divisione, cos– da rendere difficile l'individuazione di una strategia univoca e condivisa. Non œ facile per i neo-progressisti (per usare il linguaggio di Anthony Giddens) aggregare i "versanti buoni" delle varie fratture. Dovranno stare con la democrazia contro il fondamentalismo, senza trasformare questo conflitto in uno scontro di civiltù. Dovranno intrecciare alleanze con le societù islamiche, a prescindere dalle politiche estere dei loro governi. Dovranno accentuare le divisioni all'interno dello schieramento unilateralista, individuando proposte con cui collegare la sua componente di sinistra con i multilateralisti attivi. Dovranno dialogare con la componente isolazionista del multiculturalismo, senza diventare subalterni al pacifismo radicale. Insomma, non sarù facile passare attraverso tale meandro di contrasti, costruendo una coalizione unitaria di prospettive molteplici. Eppure, non c'œ un'alternativa a tale strategia di ricomposizione, se non ci si vuole condannare alla ininfluenza. Riconoscere i problemi per come sono continua ad essere una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per iniziare a risolverli.









 

 

 

 

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