Aznar
ha mentito, e gli elettori lo hanno punito. Schroeder
ha dimostrato nel 2002 coerenza con la sua linea contro
l’intervento in Iraq, e gli elettori lo hanno
premiato. Blair ha insistito sulla presenza di armi
di distruzione di massa ma le sue informazioni non
avevano fondamento, e la fiducia degli inglesi verso
di lui ne esce ridimensionata.
Gli elettori sembrano guardare molto attentamente
ai loro governanti, e sono pronti a dare e togliere
voti, a premiare e punire, alzando la voce di una
opinione pubblica che in Europa si fa sentire non
solo nelle piazze ma anche nelle cabine elettorali.
Ma da qui a parlare di una opinione pubblica europea
di strada ce ne è ancora molta, dice Sara Bentivegna,
soprattutto perché “i cittadini non hanno
un rapporto diretto con le istituzioni dell’Unione;
se queste rappresentano soltanto dei riferimenti in
negativo che impongono delle misure sui bilanci o
che introducono una nuova moneta. In queste condizioni
è molto difficile che si formi una sfera pubblica
europea, uno spazio pubblico in cui si sviluppino
delle mediazioni tra i privati e le istituzioni. Però
possiamo dire che esiste una opinione pubblica europea
che si manifesta su questioni specifiche. E le iniziative
che hanno portato in piazza milioni di persone in
tutto il continente dopo gli attentati di Madrid ne
sono una testimonianza”.
Sara
Bentivegna è docente di Comunicazione politica
e Teoria e tecnica delle comunicazioni di massa all’Università
La Sapienza di Roma; per capire in quale terreno va
a scavare la sua ricerca basta leggere i titoli di
alcuni dei suoi libri, come Mediare la realtà
(Franco Angeli, 1994), Al voto con i media
(Carocci, 1997), La politica in rete (Meltemi,
1999), Comunicare in politica (Carocci, 2001)
e il più recente Politica e nuove tecnologie
della comunicazione (Laterza, 2002). Al circuito
che prende corpo tra potere politico, mezzi di comunicazione
e opinione pubblica guarda la Bentivegna, affondando
l’occhio della ricerca al racconto della realtà
a cui i media danno vita nel delicato rapporto tra
istituzioni politiche e cittadini.
Di fronte a eventi eclatanti come gli attentati
di Madrid, che hanno mobilitato manifestazioni di
piazza su tutto il territorio dell’Unione, possiamo
dire che facciamo parte di una opinione pubblica europea?
E’ difficile trovare una definizione per individuare
l’opinione pubblica europea, ma io credo che
questa esista e si manifesta su questioni specifiche
come la pace e la paura degli attentati. E’
un discorso complicato perché da una parte
l’idea che i cittadini hanno dell’Europa
è molto rarefatta. Allo stesso tempo però
esistono delle condizioni per cui l’opinione
pubblica si dimostra a livelli molto più ampi
di quelli che abbiamo conosciuto in passato. Le manifestazioni
seguite ai fatti di Madrid ne sono un esempio: la
società civile dei paesi dell’Unione
ha dimostrato di reagire rivendicando una sua presenza
a livello continentale perché era stato colpito
un paese europeo e abbiamo pensato tutti che potevamo
essere colpiti anche noi come la Spagna.
E gli spagnoli non si sono limitati a scendere
per le strade, ma in cabina elettorale hanno manifestato
un giudizio sul potere politico. Le ultime elezioni
in Spagna fanno pensare che la paura del terrorismo
sia stato un elemento che abbia sollecitato i cittadini
a svolgere un ruolo attivo nella vita politica del
paese a partire dal voto.
In un libro recentemente pubblicato in Italia (La
lezione spagnola, il Mulino), Victor Perez-Diaz
sostiene che la società spagnola sia riuscita
a metabolizzare la dittatura e i problemi che hanno
caratterizzato la storia recente grazie al ruolo della
società civile. Alla luce di questa affermazione
è interessante leggere i motivi che hanno portato
gli elettori a rovesciare tutte le previsioni che
davano per certa la vittoria del candidato del Partito
popolare di Aznar. Io credo che in occasioni drammatiche,
come quelle nate dagli attentati, la società
civile sia in grado di manifestare un grande attivismo
che in questo caso si è risolto nella bocciatura
della spregiudicatezza del potere politico. Di fronte
a eventi che coinvolgono tutti, il potere politico
ha tentato di alterare le carte in tavola, ha cercato
di utilizzare quegli eventi drammatici per tentare
di difendere innanzitutto se stesso e il suo futuro
politico, e questo comportamento è stato sanzionato
in un modo molto e netto.
Aznar avrebbe potuto scegliere di difendere la sua
politica estera
mettendo davanti agli occhi di tutti i costi della
partecipazione alle operazioni in Iraq, ribadendo
sin dall’inizio il suo governo era consapevole
dei rischi verso cui stava portando il paese e soprattutto
dichiarando che le indagini procedevano a tutto campo,
senza escludere alcuna alternativa. Invece, al posto
di questo coraggio, c’è stato il tentativo
di aggirare le conseguenze della presenza di truppe
spagnole in Iraq.
Nel fatto che gli elettori abbiano sanzionato in maniera
inequivocabile le menzogne del governo sta la grande
maturità dimostrata dalla società civile
spagnola.
Qundi Aznar, secondo lei, avrebbe potuto evitare
la sconfitta elettorale .
L’opinione pubblica spagnola si è sempre
dimostrata largamente contraria all’intervento
in Iraq, eppure tutto ciò non si traduceva
in azioni di sfiducia verso il governo, perché
sappiamo che i sondaggi avevano già parlato
della nuova vittoria del Ppe; questo ci fa pensare
che esistesse uno iato tra la posizione sulla guerra
e le scelte della politica interna, altrimenti i sondaggi
avrebbero dovuto evidenziare un forte calo dei partiti
di governo, cosa che invece non sarebbe accaduta.
La sconfitta è nata da una spregiudicatezza
eccessiva. Noi siamo abituati a pensare che il potere
politico possa dire e fare tutto, invece esistono
dei limiti che portano a una saturazione degli abusi
concessi al potere politico: oltre quei limiti non
si può andare e la Spagna lo ha dimostrato.
Manipolazione e controllo sono due estremi
opposti nei discorsi sui rapporti tra media e politica.
Da una parte il potere che cerca di utilizzare la
comunicazione per creare consenso anche a costo di
alterare la realtà, dall’altra i media
che cercano di smascherare le malefatte dei politici
e di gettare luce sul loro operato. Nel caso spagnolo
c’è stato un corto circuito: il tentativo
di mistificazione da parte del governo è stato
scoperto ed è fallito. Come si è sviluppata
la vicenda degli attentati di Madrid dal punto di
vista dei mezzi di comunicazione?
E’ stato un caso esemplificativo del rapporto
tra sistema dei media e sistema politico. Quest’ultimo
ha immediatamente tentato di controllare l’attenzione
dei media nella maniera più diretta possibile.
Lo staff di Aznar ha lavorato molto per avvisare direttamente
le redazioni degli organi di informazione e accreditare
la responsabilità del terrorismo basco sulle
bombe. E’ stato un tentativo comprensibile all’interno
della strategia politica che Aznar aveva scelto di
adottare.
Cosa esattamente è stato comprensibile?
Che il governo abbia tentato di influenzare i media.
Nel momento in cui il potere politico ha bisogno di
avvalorare un’affermazione è necessario
fare pressioni sui media. Ma questo non è stato
sufficiente, perché si tratta di un’operazione
molto difficile per motivi diversi. Innanzitutto il
sistema dei media si è evoluto verso una moltiplicazione
di forme e di strumenti che rendono il successo delle
manipolazioni della realtà sempre più
difficile. Nel caso di Madrid, poi, la mobilitazione
civile, la forte presenza dell’opinione pubblica
che è andata in piazza, è intervenuta
in maniera così compatta da scompaginare il
racconto dei media, per cui mentire era difficile
oltre che rischioso. Infine sono convinta che il sistema
dei media ha dei meccanismi che ne proteggono l’autonomia,
non si può forzare la manipolazione oltre un
certo limite perché alla perdita di credibilità
segue la delegittimazione da parte del pubblico e
di conseguenza una caduta nel sistema editoriale e
commerciale.
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