248- 06.03.04


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L’Europa e la cura del mondo

Poul Nyrup Rasmussen

L'autore è stato Primo ministro danese dal '93 al 2001, e per dieci anni ('92- 2002) ha guidato il partito socialdemocratico del suo paese. Quello che segue è l'intervento tenuto al convegno "L'Europa nel mondo che cambia" organizzato dai Democratici di sinistra a Firenze il 30 e il 31 gennaio 2004.



Oggi viviamo un momento cruciale in cui, mentre in Italia la sinistra si muove, si intravede la possibilità di creare un nuovo futuro per l’Ue. Io sento, infatti, che il pendolo dell’Europa sta cambiando di nuovo: dopo i tempi difficili che hanno visto le destre protagoniste, ora la sinistra ha la possibilità di tornare al potere. Ma ad una condizione senza la quale perderemo ancora: ricreare le connessioni tra il nostro lavoro e le speranze ed i sogni della gente comune.

Il nostro maggior nemico non è necessariamente rappresentato dalle destre, ma è, invece, l’apatia, la mancanza di speranza tra la gente comune, il non essere chiari nei confronti delle loro domande e dei loro sogni. Noi dobbiamo trovare, tra la politica e le persone comuni, una nuova connessione, un nuovo rapporto che sappia sostituire i vecchi modi di relazionarsi tra governanti ed elettori, che ormai non rispondono più alle mutate esigenze della realtà contemporanea.
C’è stato un tempo in cui in Italia noi socialisti sapevamo rispondere alle domande della gente, quando questa ci chiedeva di trovare la strada verso lavori migliori, verso una maggiore sicurezza, una migliore educazione, una più attenta cura degli anziani. Ma oggi le risposte non si possono più trovare soltanto all’interno dei confini nazionali, e noi dobbiamo sforzarci di trovare risposte e soluzioni che sappiano trascendere le dimensioni dello Stato-nazione portandolo verso la realtà di un nuovo mondo che apre le vie della politica estera allo scenario europeo e a quello globale, sulle strade di quella che tecnicamente chiamiamo multilevel governance.


L’Europa svolga all’interno di questo processo un ruolo da protagonista che la impegna non solo nella creazione di politiche nuove che sappiano essere vicine ai desideri e ai bisogni delle persone, ma anche nelle dinamiche di riforma della globalizzazione che vogliano condurci a governare in un modo migliore, per un pianeta più giusto, più equo, più democratico e più sostenibile. L’agenda politica che verrà definita dopo le prossime elezioni europee dovrebbe essere basata allora su un accordo molto chiaro tra le tre istituzioni dell’Unione europea, ovvero la Commissione, il Consiglio e il Parlamento, in modo da centrare le forze su un obiettivo chiaro come la definizione del ruolo globale dell’Europa in una realtà che non ammette distanze, ma esige alleanze, con mondi diversi da quelli della politica dei palazzi, come le Ong ed i World Social Forum.

I nostri recenti global progressive forum (nati dalla collaborazione tra l’Internazionale Socialista, il Pse e il gruppo parlamentare europeo socialista) potrebbero essere lo scenario di cui abbiamo bisogno per costruire ponti tra le Ong e il nostro partito politico. Qualunque sarà il contesto istituzionale dell’Europa, qualunque sarà il ritratto che verrà fuori dai lavori sulla Costituzione, non potremo affrontare questa responsabilità politica globale nascondendoci dietro una cornice istituzionale. Sono due gli errori che andranno evitati con cura particolare: non riformare i nostri metodi di lavoro e non realizzare il nostro ruolo globale. Ma non ci sono errori da evitare, ovviamente esistono anche punti sui quali concentrarsi per costruire una strategia di lavoro, e mi pare che se ne possano individuare, ntra i più importanti, tre.

Anzitutto dobbiamo assicurare nell’Europa sicurezza e stabilità. L’Ue dovrebbe equipaggiarsi con i mezzi politici, finanziari e militari adeguati per giocare un ruolo attivo nella prevenzione e nella risoluzione di conflitti. C’è chi sostiene che gli Stati Uniti dimostrino il loro desiderio di pace con le invesioni di paesi stranieri. Se noi vogliamo una nuova pace, possiamo inseguirla creando nuovi membri dell’Unione europea. Questo fa la differenza tra guerre preventive e politiche preventive. Ma oltre a questa che possiamo definire soft-policy per il mantenimento della pace abbiamo anche bisogno di una hard-policy. Nell’Enrivo IV di Shakespeare c’è un dialogo in cui Glendower, nemico del re, dice a Hotspur, un giovane che combatteva per i suoi ideali: “Sai, giovane uomo, io posso invocare gli spiriti dai più profondi abissi”; e il giovane guerriero risponde: “Certo che puoi. Posso chiamarli anch’io. Ma dimmi una cosa: quando li chiami, loro vengono?”. Ecco, se noi vogliamo che la nostra politica morbida, fatta di accordi per il mantenimento della pace funzioni, abbiamo anche bisogno di essere forti e concreti, abbiamo bisogno che gli spiriti degli abissi vengano a noi quando abbiamo la necessità di invocarli.

Un altro punto importante per la definizione concreta di un ruolo da protagonista nella politica estera riguarda il fatto che l’intera politica mediterranea europea meriterebbe un occhio particolare, che guardi nella direzione di rinforzare la partnership euro-mediterranea soprattutto attraverso un considerevole incremento delle risorse finanziarie. Fino ad ora, quando si parlava di politica estera, ci siamo chiesti semplicemente se si trattava di paesi che appartenevano o potevano appartendere all’Ue o meno. Ma ora dobbiamo sviluppare una nuova partnership più forte e attiva di quella che c’è stata finora con i paesi che ci sono vicini. Sappiamo che l’Ue ha una responsabilità sulle realtà e sul futuro non solo dei Paesi africani, soprattutto quelli che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche verso il mondo arabo.

Diamo uno sguardo alle popolazioni nordafricane. Vivono in condizioni di sicurezza sociale molto bassa, allo stesso tempo il loro tasso di scolarizzazione è del 2% più alto della media africana, la percentuale di persone che posseggono un telefono cellulare è di cinque punti più alta della media continentale. Non è difficile immaginare allora quali siano i sogni e le aspirazioni di questi giovani, di queste donne, di questi uomini: ammirano in tv il nostro stile di vita, e alla fine della giornata hanno una sola scelta tra l’immigrazione o la scuola coranica. Io penso che sia un nostro obbligo dare loro la possibilità di una scelta migliore, nel loro e nel nostro interesse.

Il terzo e ultimo punto su cui vorrei fermare la mia attenzione è sul fatto che la Ue dovrebbe ora rinforzare il suo ruolo di partner privilegiato del mondo in via di sviluppo. Lula, la nostra nuova speranza in America Latina, ha chiesto all’Ue di aiutare il Brasile nella sua lotta contro la povertà, ma il suo richiamo è stato ignorato fino ad ora. Almeno tredici milioni di africani sono oggi colpiti dal virus dell’hiv, e tuttavia l’Europa copre solo il 20% del bisogno annuale dei fondi globali per la lotta all’Aids. Non possiamo continuare così, dobbiamo incrementare i nostri aiuti, dobbiamo lavorare nella direzione di sostenere i processi di integrazione di questi paesi all’interno dello scenario globale. Così dovremmo aiutare il sud-est asiatico ad integrarsi, sotto l’egida dell’Asean, e dovremmo aiutare l’America Latina ad integrarsi, sotto l’egida del Mercosur. E dovremmo ovviamente assistere l’Africa in una integrazione simile. Se avviciniamo la Cina, l’India e gli Stati Uniti all’Europa, allora potremo vedere la nascita di un nuovo ordine mondiale, basato su regioni che si integrino in modo sempre più forte, perché sappiamo per esperienza che l’integrazione è la migliore assicurazione a lungo termine contro il ritorno della guerra.

In conclusione la domanda che ci poniamo, alla vigilia delle elezioni che si svolgeranno a giugno, è: quale sarà il nostro spazio politico di manovra nel futuro immediato? Credo che la risposta a questa domanda stia soltanto e semplicemente nel tentativo che dovremmo fare di politicizzare l’Europa. Dovremmo portare gli elettori a fare una scelta politica chiara e univoca, che risponda all’esigenza di un’Europa aperta, responsabile e pronta ad imparare. Un’Europa che si prenda cura di sè e del mondo che le sta intorno e che lascerà alle generazioni future.





 

 

 

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