248- 06.03.04


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Amici e nemici del prof. Delle Carte

Salvatore Lucchese

Swif ˛ il Sito Italiano di Filosofia, tra le numerose sezioni in cui esplorare in rete il mondo della filosofia e dei filosofi, uno spazio raccoglie le recensioni. Tra questi Bobbio ad uso di amici e nemici, edito da Marsilio nella collana I libri di Reset, a cura di Corrado Ocone e della redazione di Reset, la cui recensione di Salvatore Lucchese, che qui pubblichiamo, ˛ seguita da informazioni sul volume e indicazioni di link sulla vita e il pensiero del filosofo torinese.



Nel panorama filosofico-politico italiano e internazionale, la figura di Norberto Bobbio si caratterizza per la vastità, la profondità e l'incisività della sua opera e del suo pensiero, tanto nel dibattito teorico quanto in quello pubblico, nonché per le critiche, negli ultimi anni sempre più acerrime, rivolte nei suoi confronti. Il testo in oggetto offre una ricostruzione analitico-sintetica della figura, dell'opera e dell'insegnamento del filosofo torinese, evidenziandone, parimenti pregi e difetti, punti di forza e limiti, coerenze e contraddizioni. L'analisi critica delle posizioni di Bobbio è svolta evitando la critica spicciola o gli attacchi ad personam che, al contrario, sono stigmatizzati e respinti come il frutto della cultura dell'intolleranza e della sopraffazione. Al contrario, il confronto con il pensiero di Bobbio è condotto "dialogando" criticamente e costruttivamente con la sua opera, interrogata alla luce di alcune delle problematiche di maggior rilievo del nostro tempo. Con ciò gli autori - come ha evidenziato Giancarlo Bosetti nell'Introduzione - intendono fare propria e, allo stesso tempo, praticare quell'etica del "dialogo" e del "sapere" che ha caratterizzato e che tuttora caratterizza il magistero accademico e civile del professore torinese, in modo da procedere bobbianamente oltre Bobbio.

Pur nell'organicità della sua impostazione di fondo, il testo si articola in tre parti: la prima riguarda Bobbio tra amici e nemici; la seconda concerne le posizioni del professore torinese tra filosofia e politica; la terza, infine, è incentrata sull'analisi e sulla rilevanza dei concetti di guerra, pace e diritti nell'opera di Bobbio.

La prima sezione del testo si apre con un articolo di Nadia Urbinati - Socrate e i comunisti: il perché e il come di un dialogo - in cui l'autrice mette in risalto un aspetto fondamentale del pensiero di Bobbio: la sua "politica del dialogo", difendendola dalle critiche rivoltele a partire dalla fine della guerra fredda, quando "intellettuali revisionisti conservatori si sono eretti a giudici della cultura politica italiana rea, anche nei suoi intellettuali più prestigiosi, di non avere compreso o di aver volutamente ignorato, il fenomeno totalitario comunista" (p. 17). All'interno di questo quadro di riferimento, Bobbio è stato accusato di "strabismo", ossia di avere formulato una teoria democratica incentrata su un liberalismo spurio, che non aveva mai cercato i nemici a sinistra ma solo a destra. Soffermandosi sull'evoluzione cronologica delle posizioni di Bobbio relative al suo rapporto con la teoria marxista e il Partito comunista, l'autrice confuta questa lettura, evidenziando di contro la coerenza della bobbiana "politica del dialogo" con una visione deliberativa della politica democratica e con la difesa della società aperta. Da ciò, secondo l'autrice, deriva l'atteggiamento radicalmente anticomunista di Bobbio, in quanto le sue posizioni sono incompatibili con l'idea che i limiti che fissano la partecipazione al dialogo politico possano essere dedotti da premesse esterne (ideologiche o religiose) allo stesso dialogo politico. Inoltre, le posizioni liberal-socialiste di Bobbio, parimenti al suo metodo critico-dialogico, hanno contribuito a svelare i limiti dell'impostazione politico-culturale del Pci, incentrata sulla doppia verità: "Fedeltà di propaganda a Mosca e alla sua ideologia ufficiale, ma riformismo nella pratica, fatto ma non ammesso" (p. 43). Atteggiamento ambiguo che, secondo Urbinati, è alla base dell'attuale crisi del riformismo di sinistra, "povero di valori, perché sempre praticato soltanto come espediente e come mezzo" (ibid.).

La prima parte del testo prosegue con l'articolo di Antonio Carioti su Rassegna degli attacchi e degli attaccati. L'autore intende mostrare come negli ultimi anni Bobbio sia stato "trasformato in simbolo da colpire a prescindere dalle sue reali posizioni, in quanto padre nobile di una tradizione intellettuale progressista ritenuta obsoleta o addirittura deleteria" (p. 45). L'articolo, così impostato, offre un calideiscopio delle tendenze politico-culturali oggi dominanti, passando in rassegna gli attacchi rivolti a Bobbio a partire dall'era Craxi sino a giungere a quelli più recenti dell'era Berlusconi. L'inconsistenza delle critiche più recenti è addirittura palese in quanto, secondo Carioti, da un lato Bobbio è presentato come uno dei responsabili della decapitazione per via giudiziaria di un'intera classe politica, dall'altro è considerato lo strenuo difensore della stessa partitocrazia eliminata in occasione di Tangentopoli.

La militanza di Bobbio nel Partito socialista è ricostruita da Federico Coen, che considera il filosofo torinese un Profeta inascoltato, per la sua capacità di indicare, in tempi non sospetti, i limiti e le potenziali degenerazioni della politica a vocazione "intermedia" del Psi, senza tuttavia riuscire a incidere sulla linea politica dello stesso Partito.

Nell'articolo di Guido Martinotti - La lettera al Duce: storia di spie e nefasti rancori - si analizza il caso giornalistico montato con il ritrovamento di una lettera inviata da Bobbio, allora giovane studioso, a Mussolini, per svelare gli errori metodologici sottesi alle critiche rivolte al filosofo torinese. Infatti, osserva Martinotti, gli storici che hanno sollevato il caso della lettera al Duce hanno applicato una tecnica ideologica totalitaria, in quanto "confrontare il comportamento concreto di una persona con un modello astratto ideale dedurne un giudizio negativo capzioso, tutte le volte che questa si scosta dalla norma astratta, è un tipico procedimento disumanizzante, non diverso da quello che si pratica facendo indossare un uniforme a righe a un internato" (p. 65). A questa logica, Martinotti intende opporre un metodo diverso, che si caratterizza per la ricostruzione dell'umanità delle persone. Coerentemente con la sua impostazione di fondo, l'autore ricorda, tra le altre, l'immagine di Bobbio che nel pieno degli eventi del '77 si ostinava a dialogare e ad argomentare le proprie posizioni a un gruppo di studenti contestatori. Questo, secondo Martinetti, è il ricordo più emblematico dell'essenza di Bobbio, che risiede nel dialogo e nel rispetto delle idee e delle posizioni altrui. Valori questi che tornano a essere minacciati da una "visione autoritaria, intollerante e ideologica del mondo" (p. 71).


Nell'intervista di Antonio Cariati a Ezio Mauro su Torino, "la Stampa" e il primato della politica è ricordata la partecipazione di Bobbio alla singolare esperienza di rapporti critici, pluralistici e costruttivi tra mondo culturale e mondo industriale, che ha caratterizzato un momento importante della storia politico-culturale di Torino.

La prima sezione si chiude con un articolo di Dino Cofrancesco - Il diritto di criticarlo - in cui l'autore distingue le posizioni del Bobbio militante dalle posizioni del Bobbio studioso. Cofrancesco non considera il Bobbio militante un vero e proprio liberale in quanto, partecipando al dibattito politico, il filosofo torinese a volte più che criticare ha protestato, finendo con l'assumere posizioni parziali e partigiane. Inoltre, nelle sue posizioni politiche sono ravvisabili elementi razionalistici di matrice illuministica, che mal si conciliano con la difesa della società aperta. Di contro, secondo Cofrancesco, Bobbio è accumunabile a Raymondo Aron e a Max Weber per il suo liberalismo della mente, ossia per "l'amor intellectualis del concetto, la passione delle analisi e delle distinzioni, la scomposizione dei problemi nei loro elementi primi, quell'arte della divisione insomma, che è il prerequisito funzionale prepolitico della 'società aperta'" (p. 85).

La seconda parte del testo si apre con un intervento di Salvatore Veca, che mette in risalto la centralità del pensiero di Bobbio per definire e affrontare tematiche attuali quali la giustizia, la libertà e i diritti. Veca ritiene che la filosofia di Bobbio possa essere considerata alla stregua di un "bobbio", ossia di una "canna da pesca di tipo particolare che, utilizzando come esca l'aggettivo quale? cattura prede del tipo 'democrazia' 'socialismo' e Dio sa che altro" (p. 91). In altri termini, Veca vuol fare leva sulla tensione, caratterizzante il pensiero di Bobbio, tra liberalismo e socialismo, per enuclearne posizioni teorico-politiche capaci di offrire una risposta ai problemi della globalizzazione. In questo modo Veca, sulla base della priorità della difesa delle libertà fondamentali delle persone, interpreta il concetto di uguaglianza nel solo modo a essa compatibile, come uguaglianza delle opportunità. La quale, a sua volta, coerentemente con le posizioni di fondo del socialismo liberale, deve caratterizzare l'agenda politica delle forze progressiste per "mirare a rendere eguale o meno diseguale il valore che la libertà ha per le persone" (p. 36). Nel suo complesso, il "bobbio" pensiero "tenendo assieme lealtà ai valori e innovazioni nelle politiche, ci orienta nella navigazione incerta in tempi difficili come quelli dell'avvio del ventunesimo secolo, nella cornice della costellazione postnazionale" (p. 97).

L'articolo di Danilo Zolo - Machiavelli o Kant? Un falso problema - mira a mostrare come la tensione interna all'opera di Bobbio tra realismo e normativismo non costituisca un limite, ma una fonte di problematicità che ha sempre condotto il filosofo torinese a cogliere l'emergenza delle dinamiche effettive della politica, senza appiattirsi pragmaticamente su di esse, per poi stagliare la sua riflessione entro l'orizzonte valoriale.

Di contro alla lettura di Zolo, l'articolo di Sebastiano Maffettone - Troppo realismo può far male - evidenzia l'esito paradossale della componente realistica dell'eclettica formazione filosofica di Bobbio: il capovolgimento della difesa delle istituzioni liberal-democratiche nella tesi dell'impossibilità della democrazia. Nonostante questo paradosso, conclude Maffettone, Bobbio ci ha indicato l'unica via praticabile dal riformismo nella difesa e nel potenziamento delle regole.

Gianfranco Pasquino - Ottime regole per l'ottima repubblica - ritiene che Bobbio, contrariamente a quanto spesso si sostiene, non abbia formulato una teoria generale della politica. Infatti, secondo Pasquino, il filosofo torinese, durante il suo lungo percorso di studi che va dalla constatazione dell'assenza di una teoria marxista dello Stato alla problematizzazione della democrazia, dall'individuazione dell'eguaglianza quale valore discriminante tra Destra e Sinistra al rafforzamento e alla diffusione dei diritti, "mette da parte quasi tutto quello che riguarda le regole, i meccanismi e le istituzioni" (p. 119). Dunque, pur riconoscendo a Bobbio il merito di avere finemente analizzato e chiarito aspetti e figure e concetti fondamentali del pensiero politico occidentale, Pasquino evidenzia i limiti dell'opera del filosofo torinese in sede di elaborazione teorico-politica, per far valere l'esigenza di un dialogo tra filosofia politica e scienza politica, al fine di passare dalla teorizzazione della migliore forma di governo all'individuazione delle istituzioni capaci di produrre una democrazia sostenibile.

All'articolo di Pasquino segue quello di Pizzorno - Liberalismo, politica società - nel quale, confrontandosi con la concezione bobbiana della libertà, il politologo propone la sua teoria della libertà, incentrata sul concetto di conversione. Esso si caratterizza per la "qualità dell'agire della persona di fronte all'altra persona, non nella partecipazione al governo della collettività" (p. 128). In quanto tale, la libertà di cui parla Pizzorno implica anche una disponibilità alla conversione, ossia una capacità di confrontarsi con una pluralità di identità per innovare sé stessi insieme agli altri.

Il saggio breve di Franco Sbarberi - Mettere insieme regole e partecipazione - presenta Bobbio come il teorico di un modello democratico conflittuale e partecipativo. La natura prescrittiva di questo modello delinea un progetto da realizzare grazie all'apporto dal basso di tutti i cittadini attivi.

Sul concetto di cittadinanza attiva si sofferma anche Giovanna Zincone (Facciamo le leggi, ma chi fa gli elettori?), seconda la quale Bobbio come educatore politico ha contribuito alla formazione di un'opinione pubblica critica, attenta alle tematiche riguardanti la difesa della democrazia.

La sezione si conclude con un articolo di Eugenio Somaini su Come definire la libertà. L'autore, dopo avere evidenziato il rigore analitico del filosofo torinese, si sofferma sulla sua definizione di libertà, incentrata sulla ricomposizione delle tradizionali libertà di e libertà da nell'alveo comune della sola libertà negativa. "La prima starebbe in sostanza ad indicare l'assenza di ciò che interferisce con l'espressione della volontà, la seconda le facoltà di compiere certe azioni che è conferita dal godimento della libertà negativa" (p. 143). Nell'ambito delle libertà positive rientrano invece quelle collettive. Secondo Somaini, la ripresa e la reinterpretazione della coppia libertà negative-libertà positive, da un lato ha il vantaggio di accrescere lo status etico delle libertà nella sfera sociale, dall'altro rischia di generare una confusione tra libertà sociali e libertà tradizionali, con il pericolo di vedere offuscata l'esigenza "che alla difesa delle seconde sia riconosciuta la priorità rispetto alla realizzazione delle prime" (p. 146).

La terza parte del testo si apre con un intervento di Michelangelo Bovero su Bobbio. Un realista insoddisfatto, in cui l'autore legge e interpreta le posizioni del filosofo torinese sulla base della distinzione tra realismo metodologico, realismo ontologico e realismo pratico. Secondo Bovero, Bobbio è fra i maestri italiani del realismo metodologico, inteso come prospettiva conoscitiva della realtà politica. Ma Bobbio, prosegue Bovero, va oltre l'impostazione prospettica del realismo metodologico, per elaborare una vera e propria concezione della natura della politica, da lui stesso definita realistica in contrapposizione alle concezioni idealizzanti. Tuttavia, differentemente dalla plurisecolare tradizione del realismo ontologico, in Bobbio l'immagine polemologica della politica corrisponde solo all'ambito della conquista del potere e non a quello dell'esercizio dello stesso. Infatti, secondo il filosofo torinese, bisogna vincere per governare, ma governare significa risolvere conflitti e non alimentarli. Per quanto concerne il realismo pratico di Bobbio, Bovero osserva che il filosofo torinese, pur ricostruendo, comparando e classificando le diverse teorie che hanno cercato di offrire una spiegazione e una giustificazione del divorzio tra politica e morale, non perviene alla tesi dell'amoralità della politica. La sua posizione al riguardo è quanto mai problematica e, secondo Bovero, dovrebbe essere ricostruita analiticamente rispondendo alla domanda: quali fini, giustificano, secondo il filosofo torinese quali mezzi.
La sezione prosegue con un intervento di Furio Cerutti - Kantiano nel cuore, hobbesiano nello sguardo - in cui l'autore evidenzia le tensioni interne al pensiero di Bobbio fra normativismo e realismo in relazione alla politica internazionale, per sottolinearne pregi e difetti. I primi risiedono nella problematicità delle sue posizioni che, lungi dall'appiattirsi su un cinico pragmatismo o identificarsi con un cosmopolitismo pacifista, astratto e moralista, si caratterizza per un insegnamento di metodo che si rivela all'altezza della complicatezza e della tragicità del mondo. Il limite delle posizioni di Bobbio risiede in una concezione della politica internazionale dominata dall'immagine hobbesiana dell'anarchia. In realtà, osserva Cerutti, "la maturazione e l'intreccio delle stesse linee d'azione egoistiche degli stati hanno generato un mondo di regole ed istituzioni che, mentre non crea ceto un super-leviatano, attenua il rilievo della pura potenza politico-militare e della decisione sovrana e autosufficiente su guerra o pace, tendono piuttosto ad imbrigliare attori grandi e piccoli delimitandone le attese e rendendo la cooperazione negoziata una scelta più conveniente della cruda affermazione dei propri interessi" (pp. 170-171).

Sulle tematiche concernenti la guerra e la politica internazionale si sofferma anche l'articolo di Luigi Bonanate - La via d'uscita del federalismo - in cui si evidenzia la centralità del federalismo nel pensiero di Bobbio. Secondo Bonanate, il filosofo torinese, individuando la causa ultima delle guerre nella politica di potenza cui gli Stati sono destinati, ha coerentemente prospettato un loro superamento attraverso la progressiva costruzione di un sistema di federazione di Stati, accompagnato dall'estensione del riconoscimento dei diritti dell'uomo.

L'articolo successivo di Luigi Ferrajoli - Comportamenti e diritti - si sofferma sulle riflessioni elaborate da Bobbio circa il rapporto tra democrazia e diritti, diritto e ragione, ragione e pace, pace e diritti umani. Per quanto concerne il rapporto tra democrazia e diritti, Ferrajoli osserva che il merito di Bobbio consiste nell'avere mostrato che la democrazia implica sempre il diritto, ossia l'insieme delle "regole costituzionali che assicurano il potere della maggioranza ed insieme i limiti ed i vincoli del potere di maggioranza" (p. 180). Passando al rapporto tra diritti e ragione, Ferrajoli evidenzia la componente razionale nella progettazione e nell'elaborazione del diritto. Per quanto concerne il rapporto tra ragione e pace, Bobbio sostiene che lo Stato, la democrazia e la pace sono costruzioni umane, ossia il frutto della "volontà razionale dell'uomo" (p. 181). Ma la pace, ricorda Bobbio, può essere costruita solo garantendo i diritti umani, "la cui violazione in tutto il mondo è la causa principale della violenza, delle guerre, del terrorismo" (p. 182). Nel suo complesso, conclude Ferrajoli, l'insegnamento di Bobbio ci ha resi consapevoli del fatto che "la pace e la democrazia sono possibili, e che nella loro costruzione non esistono alternative al diritto, ai diritti e alla ragione" (p. 183).

L'intervento di Giovanni Sartori - Maestro tra azione e riflessione - si sofferma sulle posizioni assunte da Bobbio rispetto al problematico rapporto tra politica e cultura, evidenziandone la specificità. Infatti, osserva Sartori, Bobbio ha seguito e indicato una via intermedia tra cultura politicizzata "che obbedisce a direttive, programmi, imposizioni che vengono dai politici" (p. 185) e cultura apolitica "staccata dalla società in cui vive e dai problemi che in questa società si discutono" (ibid.). Una politica culturale sorretta da un notevole rigore metodologico, che ha sempre caratterizzato le sue ricerche e il suo pensiero.

La terza parte del testo si conclude con un articolo di Marina Calloni - Scienza, morale e vita umana: i nuovi dilemmi - in cui l'autrice pone l'esigenza di enucleare la concezione antropologica di Bobbio, evidenziandone la speranza che sorge dal pessimismo. Infatti, il pensiero di Bobbio si caratterizza per una contraddizione performativa, che costituisce il fondamento della sua visione dualistica della natura umana: "Il pessimismo di Bobbio non riesce infatti a mascherare l'anelito a che non solo si sia uguali alla nascita, bensì si debba evitare di essere diseguali e discriminati durante il corso della propria vita" (p. 202).

Nella postfazione, Giuliano Amato accomuna i recenti sviluppi del pensiero di Bobbio alle ricerche di Dahl e Sen, con le quali la riflessione del filosofo torinese condivide la convinzione che la democrazia deve essere ripensata a partire dai diritti.

Dunque, nel complesso il testo in questione restituisce la vastità, la complessità e l'attualità del pensiero e della personalità di Norberto Bobbio, individuando la matrice del livore degli attacchi ancora oggi a lui rivolti nel pericoloso humus della cultura intollerante, autoritaria, dogmatica e servile contro la quale il filosofo torinese ha fatto sempre valere la forza del dialogo e della ragione.




 

 

 

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