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˛ il Sito Italiano di Filosofia, tra le numerose sezioni
in cui esplorare in rete il mondo della filosofia
e dei filosofi, uno spazio raccoglie le recensioni.
Tra questi Bobbio ad uso di amici e nemici,
edito da Marsilio nella collana I libri di Reset,
a cura di Corrado Ocone e della redazione di Reset,
la cui recensione di Salvatore Lucchese, che qui pubblichiamo,
˛ seguita da informazioni sul volume e indicazioni
di link sulla vita e il pensiero del filosofo torinese.
Nel panorama filosofico-politico italiano e internazionale,
la figura di Norberto Bobbio si caratterizza per la
vastità, la profondità e l'incisività
della sua opera e del suo pensiero, tanto nel dibattito
teorico quanto in quello pubblico, nonché per
le critiche, negli ultimi anni sempre più acerrime,
rivolte nei suoi confronti. Il testo in oggetto offre
una ricostruzione analitico-sintetica della figura,
dell'opera e dell'insegnamento del filosofo torinese,
evidenziandone, parimenti pregi e difetti, punti di
forza e limiti, coerenze e contraddizioni. L'analisi
critica delle posizioni di Bobbio è svolta
evitando la critica spicciola o gli attacchi ad
personam che, al contrario, sono stigmatizzati
e respinti come il frutto della cultura dell'intolleranza
e della sopraffazione. Al contrario, il confronto
con il pensiero di Bobbio è condotto "dialogando"
criticamente e costruttivamente con la sua opera,
interrogata alla luce di alcune delle problematiche
di maggior rilievo del nostro tempo. Con ciò
gli autori - come ha evidenziato Giancarlo Bosetti
nell'Introduzione - intendono fare propria
e, allo stesso tempo, praticare quell'etica del "dialogo"
e del "sapere" che ha caratterizzato e che
tuttora caratterizza il magistero accademico e civile
del professore torinese, in modo da procedere bobbianamente
oltre Bobbio.
Pur nell'organicità della sua impostazione
di fondo, il testo si articola in tre parti: la prima
riguarda Bobbio tra amici e nemici; la seconda concerne
le posizioni del professore torinese tra filosofia
e politica; la terza, infine, è incentrata
sull'analisi e sulla rilevanza dei concetti di guerra,
pace e diritti nell'opera di Bobbio.
La prima sezione del testo si apre con un articolo
di Nadia Urbinati - Socrate e i comunisti: il
perché e il come di un dialogo - in cui
l'autrice mette in risalto un aspetto fondamentale
del pensiero di Bobbio: la sua "politica del
dialogo", difendendola dalle critiche rivoltele
a partire dalla fine della guerra fredda, quando "intellettuali
revisionisti conservatori si sono eretti a giudici
della cultura politica italiana rea, anche nei suoi
intellettuali più prestigiosi, di non avere
compreso o di aver volutamente ignorato, il fenomeno
totalitario comunista" (p. 17). All'interno di
questo quadro di riferimento, Bobbio è stato
accusato di "strabismo", ossia di avere
formulato una teoria democratica incentrata su un
liberalismo spurio, che non aveva mai cercato i nemici
a sinistra ma solo a destra. Soffermandosi sull'evoluzione
cronologica delle posizioni di Bobbio relative al
suo rapporto con la teoria marxista e il Partito comunista,
l'autrice confuta questa lettura, evidenziando di
contro la coerenza della bobbiana "politica del
dialogo" con una visione deliberativa della politica
democratica e con la difesa della società aperta.
Da ciò, secondo l'autrice, deriva l'atteggiamento
radicalmente anticomunista di Bobbio, in quanto le
sue posizioni sono incompatibili con l'idea che i
limiti che fissano la partecipazione al dialogo politico
possano essere dedotti da premesse esterne (ideologiche
o religiose) allo stesso dialogo politico. Inoltre,
le posizioni liberal-socialiste di Bobbio, parimenti
al suo metodo critico-dialogico, hanno contribuito
a svelare i limiti dell'impostazione politico-culturale
del Pci, incentrata sulla doppia verità: "Fedeltà
di propaganda a Mosca e alla sua ideologia ufficiale,
ma riformismo nella pratica, fatto ma non ammesso"
(p. 43). Atteggiamento ambiguo che, secondo Urbinati,
è alla base dell'attuale crisi del riformismo
di sinistra, "povero di valori, perché
sempre praticato soltanto come espediente e come mezzo"
(ibid.).
La prima parte del testo prosegue con l'articolo di
Antonio Carioti su Rassegna degli attacchi e degli
attaccati. L'autore intende mostrare come negli
ultimi anni Bobbio sia stato "trasformato in
simbolo da colpire a prescindere dalle sue reali posizioni,
in quanto padre nobile di una tradizione intellettuale
progressista ritenuta obsoleta o addirittura deleteria"
(p. 45). L'articolo, così impostato, offre
un calideiscopio delle tendenze politico-culturali
oggi dominanti, passando in rassegna gli attacchi
rivolti a Bobbio a partire dall'era Craxi sino a giungere
a quelli più recenti dell'era Berlusconi. L'inconsistenza
delle critiche più recenti è addirittura
palese in quanto, secondo Carioti, da un lato Bobbio
è presentato come uno dei responsabili della
decapitazione per via giudiziaria di un'intera classe
politica, dall'altro è considerato lo strenuo
difensore della stessa partitocrazia eliminata in
occasione di Tangentopoli.
La militanza di Bobbio nel Partito socialista è
ricostruita da Federico Coen, che considera il filosofo
torinese un Profeta inascoltato, per la sua
capacità di indicare, in tempi non sospetti,
i limiti e le potenziali degenerazioni della politica
a vocazione "intermedia" del Psi, senza
tuttavia riuscire a incidere sulla linea politica
dello stesso Partito.
Nell'articolo di Guido Martinotti - La lettera
al Duce: storia di spie e nefasti rancori - si
analizza il caso giornalistico montato con il ritrovamento
di una lettera inviata da Bobbio, allora giovane studioso,
a Mussolini, per svelare gli errori metodologici sottesi
alle critiche rivolte al filosofo torinese. Infatti,
osserva Martinotti, gli storici che hanno sollevato
il caso della lettera al Duce hanno applicato una
tecnica ideologica totalitaria, in quanto "confrontare
il comportamento concreto di una persona con un modello
astratto ideale dedurne un giudizio negativo capzioso,
tutte le volte che questa si scosta dalla norma astratta,
è un tipico procedimento disumanizzante, non
diverso da quello che si pratica facendo indossare
un uniforme a righe a un internato" (p. 65).
A questa logica, Martinotti intende opporre un metodo
diverso, che si caratterizza per la ricostruzione
dell'umanità delle persone. Coerentemente con
la sua impostazione di fondo, l'autore ricorda, tra
le altre, l'immagine di Bobbio che nel pieno degli
eventi del '77 si ostinava a dialogare e ad argomentare
le proprie posizioni a un gruppo di studenti contestatori.
Questo, secondo Martinetti, è il ricordo più
emblematico dell'essenza di Bobbio, che risiede nel
dialogo e nel rispetto delle idee e delle posizioni
altrui. Valori questi che tornano a essere minacciati
da una "visione autoritaria, intollerante e ideologica
del mondo" (p. 71).
Nell'intervista di Antonio Cariati a Ezio Mauro su
Torino, "la Stampa" e il primato
della politica è ricordata la partecipazione
di Bobbio alla singolare esperienza di rapporti critici,
pluralistici e costruttivi tra mondo culturale e mondo
industriale, che ha caratterizzato un momento importante
della storia politico-culturale di Torino.
La prima sezione si chiude con un articolo di Dino
Cofrancesco - Il diritto di criticarlo -
in cui l'autore distingue le posizioni del Bobbio
militante dalle posizioni del Bobbio studioso.
Cofrancesco non considera il Bobbio militante un vero
e proprio liberale in quanto, partecipando al dibattito
politico, il filosofo torinese a volte più
che criticare ha protestato, finendo con l'assumere
posizioni parziali e partigiane. Inoltre, nelle sue
posizioni politiche sono ravvisabili elementi razionalistici
di matrice illuministica, che mal si conciliano con
la difesa della società aperta. Di contro,
secondo Cofrancesco, Bobbio è accumunabile
a Raymondo Aron e a Max Weber per il suo liberalismo
della mente, ossia per "l'amor intellectualis
del concetto, la passione delle analisi e delle distinzioni,
la scomposizione dei problemi nei loro elementi primi,
quell'arte della divisione insomma, che è
il prerequisito funzionale prepolitico della 'società
aperta'" (p. 85).
La seconda parte del testo si apre con un intervento
di Salvatore Veca, che mette in risalto la centralità
del pensiero di Bobbio per definire e affrontare tematiche
attuali quali la giustizia, la libertà e i
diritti. Veca ritiene che la filosofia di Bobbio possa
essere considerata alla stregua di un "bobbio",
ossia di una "canna da pesca di tipo particolare
che, utilizzando come esca l'aggettivo quale? cattura
prede del tipo 'democrazia' 'socialismo' e Dio sa
che altro" (p. 91). In altri termini, Veca vuol
fare leva sulla tensione, caratterizzante il pensiero
di Bobbio, tra liberalismo e socialismo, per enuclearne
posizioni teorico-politiche capaci di offrire una
risposta ai problemi della globalizzazione. In questo
modo Veca, sulla base della priorità della
difesa delle libertà fondamentali delle persone,
interpreta il concetto di uguaglianza nel solo modo
a essa compatibile, come uguaglianza delle opportunità.
La quale, a sua volta, coerentemente con le posizioni
di fondo del socialismo liberale, deve caratterizzare
l'agenda politica delle forze progressiste per "mirare
a rendere eguale o meno diseguale il valore che la
libertà ha per le persone" (p. 36). Nel
suo complesso, il "bobbio" pensiero "tenendo
assieme lealtà ai valori e innovazioni nelle
politiche, ci orienta nella navigazione incerta in
tempi difficili come quelli dell'avvio del ventunesimo
secolo, nella cornice della costellazione postnazionale"
(p. 97).
L'articolo di Danilo Zolo - Machiavelli o Kant?
Un falso problema - mira a mostrare come la tensione
interna all'opera di Bobbio tra realismo e normativismo
non costituisca un limite, ma una fonte di problematicità
che ha sempre condotto il filosofo torinese a cogliere
l'emergenza delle dinamiche effettive della politica,
senza appiattirsi pragmaticamente su di esse, per
poi stagliare la sua riflessione entro l'orizzonte
valoriale.
Di contro alla lettura di Zolo, l'articolo di Sebastiano
Maffettone - Troppo realismo può far male
- evidenzia l'esito paradossale della componente realistica
dell'eclettica formazione filosofica di Bobbio: il
capovolgimento della difesa delle istituzioni liberal-democratiche
nella tesi dell'impossibilità della democrazia.
Nonostante questo paradosso, conclude Maffettone,
Bobbio ci ha indicato l'unica via praticabile dal
riformismo nella difesa e nel potenziamento delle
regole.
Gianfranco Pasquino - Ottime regole per l'ottima
repubblica - ritiene che Bobbio, contrariamente
a quanto spesso si sostiene, non abbia formulato una
teoria generale della politica. Infatti, secondo Pasquino,
il filosofo torinese, durante il suo lungo percorso
di studi che va dalla constatazione dell'assenza di
una teoria marxista dello Stato alla problematizzazione
della democrazia, dall'individuazione dell'eguaglianza
quale valore discriminante tra Destra e Sinistra al
rafforzamento e alla diffusione dei diritti, "mette
da parte quasi tutto quello che riguarda le regole,
i meccanismi e le istituzioni" (p. 119). Dunque,
pur riconoscendo a Bobbio il merito di avere finemente
analizzato e chiarito aspetti e figure e concetti
fondamentali del pensiero politico occidentale, Pasquino
evidenzia i limiti dell'opera del filosofo torinese
in sede di elaborazione teorico-politica, per far
valere l'esigenza di un dialogo tra filosofia politica
e scienza politica, al fine di passare dalla teorizzazione
della migliore forma di governo all'individuazione
delle istituzioni capaci di produrre una democrazia
sostenibile.
All'articolo di Pasquino segue quello di Pizzorno
- Liberalismo, politica società -
nel quale, confrontandosi con la concezione bobbiana
della libertà, il politologo propone la sua
teoria della libertà, incentrata sul concetto
di conversione. Esso si caratterizza per
la "qualità dell'agire della persona di
fronte all'altra persona, non nella partecipazione
al governo della collettività" (p. 128).
In quanto tale, la libertà di cui parla Pizzorno
implica anche una disponibilità alla conversione,
ossia una capacità di confrontarsi con una
pluralità di identità per innovare sé
stessi insieme agli altri.
Il saggio breve di Franco Sbarberi - Mettere insieme
regole e partecipazione - presenta Bobbio come
il teorico di un modello democratico conflittuale
e partecipativo. La natura prescrittiva di questo
modello delinea un progetto da realizzare grazie all'apporto
dal basso di tutti i cittadini attivi.
Sul concetto di cittadinanza attiva si sofferma anche
Giovanna Zincone (Facciamo le leggi, ma chi fa
gli elettori?), seconda la quale Bobbio come
educatore politico ha contribuito alla formazione
di un'opinione pubblica critica, attenta alle tematiche
riguardanti la difesa della democrazia.
La sezione si conclude con un articolo di Eugenio
Somaini su Come definire la libertà.
L'autore, dopo avere evidenziato il rigore analitico
del filosofo torinese, si sofferma sulla sua definizione
di libertà, incentrata sulla ricomposizione
delle tradizionali libertà di e libertà
da nell'alveo comune della sola libertà negativa.
"La prima starebbe in sostanza ad indicare l'assenza
di ciò che interferisce con l'espressione della
volontà, la seconda le facoltà di compiere
certe azioni che è conferita dal godimento
della libertà negativa" (p. 143). Nell'ambito
delle libertà positive rientrano invece quelle
collettive. Secondo Somaini, la ripresa e la reinterpretazione
della coppia libertà negative-libertà
positive, da un lato ha il vantaggio di accrescere
lo status etico delle libertà nella sfera sociale,
dall'altro rischia di generare una confusione tra
libertà sociali e libertà tradizionali,
con il pericolo di vedere offuscata l'esigenza "che
alla difesa delle seconde sia riconosciuta la priorità
rispetto alla realizzazione delle prime" (p.
146).
La terza parte del testo si apre con un intervento
di Michelangelo Bovero su Bobbio. Un realista insoddisfatto,
in cui l'autore legge e interpreta le posizioni del
filosofo torinese sulla base della distinzione tra
realismo metodologico, realismo ontologico e realismo
pratico. Secondo Bovero, Bobbio è fra i maestri
italiani del realismo metodologico, inteso come prospettiva
conoscitiva della realtà politica. Ma Bobbio,
prosegue Bovero, va oltre l'impostazione prospettica
del realismo metodologico, per elaborare una vera
e propria concezione della natura della politica,
da lui stesso definita realistica in contrapposizione
alle concezioni idealizzanti. Tuttavia, differentemente
dalla plurisecolare tradizione del realismo ontologico,
in Bobbio l'immagine polemologica della politica corrisponde
solo all'ambito della conquista del potere e non a
quello dell'esercizio dello stesso. Infatti, secondo
il filosofo torinese, bisogna vincere per governare,
ma governare significa risolvere conflitti e non alimentarli.
Per quanto concerne il realismo pratico di Bobbio,
Bovero osserva che il filosofo torinese, pur ricostruendo,
comparando e classificando le diverse teorie che hanno
cercato di offrire una spiegazione e una giustificazione
del divorzio tra politica e morale, non perviene alla
tesi dell'amoralità della politica. La sua
posizione al riguardo è quanto mai problematica
e, secondo Bovero, dovrebbe essere ricostruita analiticamente
rispondendo alla domanda: quali fini, giustificano,
secondo il filosofo torinese quali mezzi.
La sezione prosegue con un intervento di Furio Cerutti
- Kantiano nel cuore, hobbesiano nello sguardo
- in cui l'autore evidenzia le tensioni interne
al pensiero di Bobbio fra normativismo e realismo
in relazione alla politica internazionale, per sottolinearne
pregi e difetti. I primi risiedono nella problematicità
delle sue posizioni che, lungi dall'appiattirsi su
un cinico pragmatismo o identificarsi con un cosmopolitismo
pacifista, astratto e moralista, si caratterizza per
un insegnamento di metodo che si rivela all'altezza
della complicatezza e della tragicità del mondo.
Il limite delle posizioni di Bobbio risiede in una
concezione della politica internazionale dominata
dall'immagine hobbesiana dell'anarchia. In realtà,
osserva Cerutti, "la maturazione e l'intreccio
delle stesse linee d'azione egoistiche degli stati
hanno generato un mondo di regole ed istituzioni che,
mentre non crea ceto un super-leviatano, attenua il
rilievo della pura potenza politico-militare e della
decisione sovrana e autosufficiente su guerra o pace,
tendono piuttosto ad imbrigliare attori grandi e piccoli
delimitandone le attese e rendendo la cooperazione
negoziata una scelta più conveniente della
cruda affermazione dei propri interessi" (pp.
170-171).
Sulle tematiche concernenti la guerra e la politica
internazionale si sofferma anche l'articolo di Luigi
Bonanate - La via d'uscita del federalismo
- in cui si evidenzia la centralità del federalismo
nel pensiero di Bobbio. Secondo Bonanate, il filosofo
torinese, individuando la causa ultima delle guerre
nella politica di potenza cui gli Stati sono destinati,
ha coerentemente prospettato un loro superamento attraverso
la progressiva costruzione di un sistema di federazione
di Stati, accompagnato dall'estensione del riconoscimento
dei diritti dell'uomo.
L'articolo successivo di Luigi Ferrajoli - Comportamenti
e diritti - si sofferma sulle riflessioni elaborate
da Bobbio circa il rapporto tra democrazia e diritti,
diritto e ragione, ragione e pace, pace e diritti
umani. Per quanto concerne il rapporto tra democrazia
e diritti, Ferrajoli osserva che il merito di Bobbio
consiste nell'avere mostrato che la democrazia implica
sempre il diritto, ossia l'insieme delle "regole
costituzionali che assicurano il potere della maggioranza
ed insieme i limiti ed i vincoli del potere di maggioranza"
(p. 180). Passando al rapporto tra diritti e ragione,
Ferrajoli evidenzia la componente razionale nella
progettazione e nell'elaborazione del diritto. Per
quanto concerne il rapporto tra ragione e pace, Bobbio
sostiene che lo Stato, la democrazia e la pace sono
costruzioni umane, ossia il frutto della "volontà
razionale dell'uomo" (p. 181). Ma la pace, ricorda
Bobbio, può essere costruita solo garantendo
i diritti umani, "la cui violazione in tutto
il mondo è la causa principale della violenza,
delle guerre, del terrorismo" (p. 182). Nel suo
complesso, conclude Ferrajoli, l'insegnamento di Bobbio
ci ha resi consapevoli del fatto che "la pace
e la democrazia sono possibili, e che nella loro costruzione
non esistono alternative al diritto, ai diritti e
alla ragione" (p. 183).
L'intervento di Giovanni Sartori - Maestro tra
azione e riflessione - si sofferma sulle posizioni
assunte da Bobbio rispetto al problematico rapporto
tra politica e cultura, evidenziandone la specificità.
Infatti, osserva Sartori, Bobbio ha seguito e indicato
una via intermedia tra cultura politicizzata "che
obbedisce a direttive, programmi, imposizioni che
vengono dai politici" (p. 185) e cultura apolitica
"staccata dalla società in cui vive e
dai problemi che in questa società si discutono"
(ibid.). Una politica culturale sorretta da un notevole
rigore metodologico, che ha sempre caratterizzato
le sue ricerche e il suo pensiero.
La terza parte del testo si conclude con un articolo
di Marina Calloni - Scienza, morale e vita umana:
i nuovi dilemmi - in cui l'autrice pone l'esigenza
di enucleare la concezione antropologica di Bobbio,
evidenziandone la speranza che sorge dal pessimismo.
Infatti, il pensiero di Bobbio si caratterizza per
una contraddizione performativa, che costituisce il
fondamento della sua visione dualistica della natura
umana: "Il pessimismo di Bobbio non riesce infatti
a mascherare l'anelito a che non solo si sia uguali
alla nascita, bensì si debba evitare di essere
diseguali e discriminati durante il corso della propria
vita" (p. 202).
Nella postfazione, Giuliano Amato accomuna i recenti
sviluppi del pensiero di Bobbio alle ricerche di Dahl
e Sen, con le quali la riflessione del filosofo torinese
condivide la convinzione che la democrazia deve essere
ripensata a partire dai diritti.
Dunque, nel complesso il testo in questione restituisce
la vastità, la complessità e l'attualità
del pensiero e della personalità di Norberto
Bobbio, individuando la matrice del livore degli attacchi
ancora oggi a lui rivolti nel pericoloso humus
della cultura intollerante, autoritaria, dogmatica
e servile contro la quale il filosofo torinese ha
fatto sempre valere la forza del dialogo e della ragione.
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