247- 21.02.04


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La via di una potenza civile

Mario Telò


L’autore è professore presso l’Université Libre de Bruxelles, dove dirige le ricerche dell’Istituto di Studi Europei. Il pezzo che segue è l’intervento tenuto dal prof. Telò al convegno “L'Europa nel mondo che cambia” organizzato dai Democratici di sinistra a Firenze il 30 e il 31 gennaio 2004.

 

Il Rapporto Rasmussen

Questa riunione di Firenze beneficia della traduzione italiana, con prefazione di P.Fassino, del “Rapporto Rasmussen” sul governo della globalizzazione. Esperti della London School of Economics, dell’Università Libera di Bruxelles (dove sono direttore di ricerca dell’IEE), dell’Università di Parigi ( CERI), dell’Università di Lisbona, dell’Università di Dortmund e di molte altre entità indipendenti della società civile hanno partecipato attivamente alla sua redazione. Promosso nel 2001 dal gruppo parlamentare presieduto da E. Baron (e con partecipazione tra gli altri di P.Lamy, M.Rocard, B.Trentin e di eminenti personalità delle socialdemocrazie svedese, tedesca, olandese,spagnola) questo esercizio è continuato, dal 2002, sotto la direzione dell’ex primo ministro danese Paul Nyrup Rasmussen, in collaborazione con l’Internazionale Socialista, rilanciata dal suo Presidente Antonio Guterres. Il processo di redazione è stato significativo per il dialogo tra politica e cultura, tra partiti e società civile: un vasto work in progress di due anni, sempre più allargato e articolato, con riunioni che si sono tenute in Scandinavia, alla Casa dei Comuni a Londra, a Bruxelles , sinchè il Rapporto è stato presentato al grande Forum progressista mondiale di novembre a Bruxelles, un vivace e ricco incontro di più di un migliaio di rappresentanti di organizzazioni internazionali, movimenti, esperti indipendenti.

Questa appassionata ricerca di una nuova politica europea della globalizzazione deve restare aperta. In un mondo in cui si rilancia la logica della forza, si amplia lo spazio per la cultura del riformismo internazionale, che non si limita alla denuncia, ma cerca di contrastare l’alternativa perdente tra apatia e rivolta avanzando idee concrete di riforma, sia delle concrete politiche, sia delle organizzazioni internazionali, distinguendo con chiarezza le proposte a breve, a medio e a lungo termine. E lo fa con una concretezza di proposte che non è contraddittoria con il dialogo apertissimo con i movimenti giovanili che rilanciano l’utopia di un mondo più giusto e più pacifico, poichè è in grado di raccogliere quella sollecitazione per un dialogo a un livello più alto di sintesi e di proposta, rilanciando cosi’una nozione alta di politica.

Norberto Bobbio e il cantiere aperto di una nuova politica per la pace

Prima di mettere in evidenza quelli che, nella mia interpretazione, sono alcuni dei risultati più rilevanti di questo importante impegno collegiale, che contribuiscono a mio parere a rafforzare il profilo di un’Unione Europea come “potenza civile”, cioè come modello alternativo di entità internazionale in un mondo che rischia la pax americana, vorrei rendere un dovuto omaggio a chi rappresenta in modo esemplare il retroterra culturale di questo esercizio: cioè a Norberto Bobbio, recentemente scomparso, ma intensamente presente nella cultura politica che ispira questo approccio delle questioni della pace e dell globalizzazione.

Nella ricerca del tratto distintivo di un movimento riformatore che voglia tradurre concretamente in politica la domanda dei movimenti per la pace, la rivolta morale contro le ingiustizie della mondializzazione, non ho trovato un altro autore che simbolizzasse altrettanto efficacemente questa peculiarità, questa cultura. Una cultura politica che certo riconosce come suo primo elemento fondativo un valore - l’universalità e indivisibilità dei diritti umani - che in Bobbio risaliva al suo rapporto col pacifismo di Capitini e soprattutto al pensiero quanto mai attuale di Immanuel Kant (un autore di cui quest’anno ricorre il duecentesimo anniversario della morte). L'universalità dei diritti dell’uomo è in Bobbio la premessa, la radice di un pacifismo istituzionale e politico che, certo, riassume il pacifismo religioso, quello morale, anche quello economico dell’apertura internazionale, ma che li assume e sintetizza dando loro la prospettiva di una regolazione politica e giuridica della pace, di una politica della globalizzazione, di una originale combinazione di idealismo e realismo.

Bobbio era un intellettuale europeo, e la sua morte è stata l’occasione di celebrazioni nel mondo intero. Posso testimoniare come egli tenesse molto al suo profilo europeista ed europeo. Questo tratto era parte del realismo di Bobbio, perché ogni discorso sulla pace e sulla globalizzazione assume un senso politico solo se si affronta la questione del cambiamento dei rapporti di forza internazionali che traducono l’ambizione morale e la rivolta morale in una proposta politica fattibile. Le responsabilità politiche sono certo anche locali e nazionali: ma è soprattutto l’Unione europea il canale adeguato di cui disponiamo per cambiare la struttura e il governo del mondo.

Bobbio ci ha lasciato il cantiere aperto di una nuova politica della pace. Certo il mondo è cambiato rispetto al Ventesimo secolo in cui ha vissuto il filosofo torinese, ma questo cantiere aperto è il centro di una politica riformista e progressista della globalizzazione. E chi lo ha incontrato negli ultimi anni sa come era drammatica in lui l’alternativa posta dai casi in cui la comunità internazionale è chiamata a intervenire per difendere i diritti dell’uomo e la pace. Bobbio ci ha lasciato il cantiere aperto della responsabilità della comunità internazionale nel difendere i diritti dell’uomo e la democrazia al di là del semplice richiamo al rispetto della sovranità nazionale. Ed egli distingueva con chiarezza la guerra in Iraq del 1991 (un'azione di polizia, l’ha definita, il massimo di illegittimità internazionale) la guerra in Iraq del 2003 e il caso più controverso, la guerra nel Kosovo del 1999. Su questa strada, la ricerca è aperta, specie per noi europei: il “Rapporto Rasmussen” vi contribuisce ,ad esempio opponendo al concetto di “guerra preventiva” quello di “politica preventiva”.

Tre nodi per un’Europa potenza civile

Vorrei attirare l’attenzione sui tre capitoli più interessanti di questa riflessione.

Il primo è che l’UE va vista come attore decisivo non solo per una governance mondiale, come si dice - ma io preferisco il termine di Dante, visto che siamo a Firenze, “governazione” (vedi Convivio,Trattato quarto, dove Dante si riferiva alla povera Italia priva di governo) ma anche per l’ordine politico mondiale. Il termine governazione è intriso degli ottimismi degli anni ’90, seguiti alla caduta del muro di Berlino. Redigendo il Rapporto Rasmussen non abbiam potuto evitare di affrontare la questione drammatica degli anni seguiti all’11 settembre, marcati da terrorismo e guerre, per cui l’Europa non ha solo il problema di contribuire a una migliore “governazione” civile internazionale, ma anche di assumere una responsabilità crescente nel governo politico dell’ordine internazionale. Questa è la grande novità, la nuova sfida. In questo, nonostante le divergenze in seno al Pse, il “Rapporto Rasmussen” compie una forzatura innovativa nella direzione dell’autonomia politica dell’Europa.

Il secondo nodo con cui è necessario confrontarsi è il seguente: ogni ambizione dell’Europa a svolgere un ruolo attivo, di giustizia e di pace nel quadro della globalizzazione non ha senso se non si rinnova il modello socio-economico europeo. Non ci sarà futuro nella politica internazionale dell’Europa se non avrà successo la “Strategia di Lisbona”, la prospettiva decennale di riforma del modello economico e sociale europeo, verso una “società europea della conoscenza”, lanciata da Antonio Guterres, e dalla presidenza portoghese dell’unione europea nel 2000. E’ la sfida decisiva. La sua peculiarità sta proprio nel ricomporre il discorso sull’eguaglianza col discorso sull’efficienza, la coesione sociale con la competitività internazionale dell’Europa, cioè la giustizia e la forza. E’ appena uscito un corposo Rapporto di sintesi della Commissione europea in vista del Consiglio europeo di primavera che dovrà fare un bilancio: è chiaro che la Strategia di Lisbona non è un insuccesso. E' aumentata l’occupazione nonostante una congiuntura internazionale assai negativa, avanza la costruzione di una moderna società della conoscenza. Le difficoltà della Strategia di Lisbona ci sono, ma stanno da un lato nella necessaria riforma del Patto di stabilità e, dall’altro, nella mancata concretizzazione nazionale da parte di certi Stati che non mantengono gli impegni assunti nei piani nazionali approvati secondo gli orientamenti comuni del Consiglio e della Commissione. Qui c’è spazio per una mobilitazioned degli attori sociali nazionali. La Strategia di Lisbona è stata lanciata come strategia globale e a lungo termine nel momento in cui i rapporti di forza nel Consiglio europeo erano particolarmente favorevoli alla sinistra: essa va concepita come un terreno avanzato di battaglia per una modernizzazione che sia coerente con i valori europei e che rafforzi l’identità internazionale dell’Unione europea come laboratorio di una regolazione della globalizzazione.

L’importanza del testo costituzionale approvato dalla Convenzione è il terzo punto su cui vorrei attirare la vostra attenzione. La politica europea della pace e della globalizzazione ha bisogno di istituzioni dell’Ue forti e democratiche. La coscienza di questo nesso fa del necessario rapporto coerente tra i fini, gli obiettivi, i valori da una parte e, dall’altra, i mezzi istituzionali, il tratto essenziale della cultura riformista. La Convenzione è stata la forma più avanzata di traduzione democratica dell’obiettivo di costruire un’Europa politica, attraverso un dibattito democratico aperto e decentrato, senza precedenti, durato 16 mesi. L’impegno per la difesa del testo costituzionale, nonostante i suoi limiti (ad esempio il fatto che nel preambolo non sia ricordata la Shoah, come ha fatto notare la Comunità Sant’Egidio), è essenziale se si intende fare avanzare l’Unione Europea nel suo ruolo internazionale.

Infatti il testo della Convenzione rafforza l’identità internazionale dell’Unione. Basta ricordare la Carta dei Diritti finalmente incorporata come elemento giuridico e insieme simbolico, la personalità giuridica internazionale, il Ministro degli Esteri come elemento di ricomposizione tra Commissione e Consiglio nell’azione internazionale, come promessa di coerenza ed efficacia nelle relazioni esterne di quello che è il secondo attore globale. L’Agenzia degli armamenti, non nel senso di una politica di un’impossibile potenza militare dell’Europa, ma come prova di credibilità per essere davvero potenza civile. E infine le “cooperazioni rafforzate”. Per varie ragioni.

Con coraggio, Romano Prodi ha dichiarato alla Bbc lo scorso dicembre che il Consiglio europeo di Bruxelles a Presidenza italiana è fallito perché si sono riprodotti gli schieramenti della guerra in Iraq. Sarebbe stato strano che non fosse così; nel senso che l’idea che, con un rovesciamento delle alleanze, il governo italiano potesse ricomporre il nucleo dei sei paesi fondatori a difesa del testo della Convenzione era una illusione. In realtà il richiamo all’ordine da parte degli Usa è stato efficace, contribuendo ad una stagione di declino e marginalizzazione della posizione dell’Italia in Europa. Ad ogni italiano tutti i termini e le cause di questo declino, grave per l’interesse nazionale, dovrebbero essere resi consapevoli attraverso un’informazione esauriente su come stanno le cose. Come anche dovrebbe essere sostenuta l’urgenza sottolineata dal Presidente Ciampi di restare nel gruppo di testa, proprio quando invece, anche per responsabilità italiana, si prospetta la possibilità di un direttorio dei tre più grandi paesi europei che escluda l’Italia, come alternativa al mancato accordo sul testo della Convenzione (che prevede cooperazioni rafforzate ma in un quadro istituzionale unico).
La sfida per l’approvazione del testo costituzionale della convenzione, incluse le disposizioni che facilitano le cooperazioni rafforzate è una sfida per l’autonomia politica dell’Europa.

 

 


 

 

 

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