Anne Marie Thiesse
La creazione delle identità nazionali in Europa,
Il Mulino, Bologna 2001,
295 pp. Euro 14,00
L’euro,
il parlamento europeo, il trattato di Schengen, la
bandiera: l’Europa si è data una serie
di strutture che derivano da quelle statali eppure
sembra mancare di tutto ciò che corrisponde
effettivamente a una nazione. Ma di che cosa è
fatta veramente l’anima, la sostanza di una
nazione? Qual è il “kit di costruzione”
ideale di una nazione e della coscienza collettiva
di un popolo? E ancora: in base a che cosa un “popolo”
può definirsi tale?
Il libro della storica francese Anne Marie Thiesse
affronta la questione in un momento in cui i nazionalismi
sembrano voler mostrare il loro volto più odioso,
fatto di razzismo, xenofobia e intolleranza. Lo stesso
concetto di nazione sembra doversi ripensare, ricreare,
ma a partire da dove? Come confrontarsi con il multiculturalismo
della tradizione - che grazie al web e ai mezzi di
comunicazione di massa vede contatti e contaminazioni
continue tra realtà e culture altrimenti lontane
tra loro - per arrivare a una sintesi originale che
riesca a rispecchiare l’identità europea?
Proprio alla “grande avventura della creazione
identitaria” nei paesi europei è dedicata
la prima parte del libro, La rivoluzione estetica:
a partire dal XVIII secolo (“non essendovi nazioni
in senso moderno, cioè politico, prima di questa
data”), dal fervore della ricerca di studiosi
e letterati ansiosi di trovare nuovi punti di riferimento
per superare finalmente l’egemonia dei modelli
della classicità greca e romana nascono i personaggi
del bardo Ossian, dei galli, degli scaldi e dei cavalieri
della tavola rotonda: epopee nuove di zecca, estratte
dalla “miniera di cultura” rappresentata
dalle tradizioni popolari delle varie zone dell’Europa,
spesso grazie al “ritrovamento” di fantomatici
manoscritti (il più delle volte frutto, per
l’appunto, di una fortunata sintesi creativa
tra il materiale offerto dai canti e dalle leggende
popolari e l’estro dello scrittore/etnografo).
Il racconto dei singoli casi è assai avvincente,
la lettura di questa prima parte è interessante
e a tratti gustosa. Le note poste al termine di ogni
capitolo forniscono poi occasione di approfondimento
e abbondanti riferimenti bibliografici: forse l’aggiunta
di fotografie e illustrazioni avrebbe reso la pubblicazione
più completa, specialmente per quanto riguarda
il capitolo dedicato ai “ritratti della nazione”.
L’analisi
del termine “folclore”, termine nato nel
1847 come traduzione dal tedesco “volkskunde”
(scienza del popolo), porta nella seconda parte del
volume ad esaminare l’ideale del ritorno alla
natura e alle origini, il mito dell’innocenza
e della vitalità del popolo, visto a seconda
dei casi come fossile da rianimare o reperto/reliquia
da conservare onde conservare la “radice primigenia”
della propria identità.
Industrializzazione, consumo di massa, nascita del
tempo libero e necessità di occuparlo: turismo
e intrattenimento fanno leva anch’essi sul mito
del folclore, dell’artigianato, del presunto
“autentico”, oggetto o immagine che possa
restituire un ricordo/souvenir del sapore e del colore
dei luoghi visitati (o meglio consumati).
Maghi della comunicazione ante litteram procedono
nell’ibridazione di vecchie forme con nuovi
contenuti, utili per creare coesione sociale oppure,
come nel caso del nazionalsocialismo in Germania,
per espellere “diversi” e oppositori o
per combattere contro altre nazioni. Il libro analizza
ampiamente le pratiche di “invenzione della
tradizione” (tramite innesto su precendenti
usanze e ibridazioni varie a seconda dei casi, arrivando
a un vero “folclorismo di stato”) nella
storia dei regimi comunisti, per arrivare fino ai
moderni riti di identificazione nazionale: esempio
ideale, gli eventi sportivi – che si tratti
dei campionati di calcio, dei giochi olimpici o del
Tour de France – creatori di una forte aggregazione
attorno all’idea di nazionalità, proprio
grazie alla “messa in scena del patrimonio identitario”,
resa possibile dalla complicità degli ormai
onnipresenti media.
E’ un lungo e affascinante viaggio nell’Europa
dei bardi, dei celti e dei cavalieri, delle vicende
linguistiche del greco demotico, del norvegese e dello
yiddish, delle rivendicazioni patriottiche avanzate
sull’onda della musica, delle cattedrali innalzate,
distrutte e ricostruite per riaffermare la sovranità
di alcune popolazioni e negare l’influenza di
altre: il punto di arrivo si presenta inevitabilmente
problematico.
Se ammettiamo dunque che l’identità
di una nazione (e quindi anche l’identità
europea che di nazioni e’ costituita) non può
nascere senza una tradizione, e che bisogna che essa
sia salda e credibile e tuttavia capace di far sognare,
offrendo simboli e personaggi che rappresentino ideali
capaci di riunire la collettività: tutto ciò
non può comunque prescindere da un progetto
politico.
Esso deve porsi l’obiettivo di fronteggiare
problemi ed esigenze di una società che attraversa
grandi cambiamenti - spesso traumatici - e allo stesso
tempo essere capace di esprimersi anche in termini
culturali, andando oltre vuote formule di propaganda
e resistendo alla tentazione di “appiattire”
tutto alla ricerca di una omogeneità impossibile
(e del resto neanche desiderabile).
E’ ancora possibile tutto ciò, avendo
davanti agli occhi non solo il passato con i suoi
temibili eccessi ma anche un presente affollato di
conflitti etnici e sociali?
Il compito appare arduo: può essere utile leggere
tra le righe degli esempi del passato - di cui questo
libro è davvero ricco - facendo attenzione
a non cadere in quelle “trappole dell’appartenenza”
che troppo spesso si rivelano tragiche scorciatoie
verso il razzismo e la rigidità culturale.
Questo il monito dell’autrice, che accenna alla
disgregazione della Jugoslavia e al conflitto in Kosovo
- il libro è uscito in Francia nel 1999 - come
esempi della pericolosità del territorio in
cui ci si addentra ragionando su termini come identità,
nazione, popolo, lingua, cultura.
Link
Da “Le monde diplomatique”: in un articolo
del 1999, intitolato emblematicamente “L’invenzione
delle identità nazionali”, la Thiesse
affronta la disputa sul possesso del Kossovo analizzando
le rinvendicazioni dei nazionalisti serbi e albanesi.
(in italiano)
www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/Giugno-1999/9906lm12.01.html
Dalla “Revue des livres”, una recensione
del libro (in francese):
http://assoc.wanadoo.fr/revue.de.livres/cr/thiesse.html
Per continuare il discorso:
Daniel Dayan, Elihu Katz, Le grandi cerimonie
dei media. La storia in diretta, Baskerville,
Bologna 1995
Clifford Geertz, Mondo globale, mondi locali:
Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo,
Il Mulino, Bologna, 1999
Francesco Remotti, Contro l’identità,
Laterza, Roma Bari 1996.
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