Lo
scorso anno l’Eumc,
Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia
con sede a Vienna, aveva commissionato al Centro per
la ricerca dell'Antisemitismo di Berlino la compilazione
di un dossier che verificasse le manifestazioni di
antisemitismo in tutti i paesi membri dell’Unione.
Il risultato fu un documento in cui si leggeva un’escalation
di episodi antisemiti a partire dal 2000: molte le
reazioni da parte da parte del mondo ebraico e delle
istituzioni politiche, soprattutto di fronte alla
scelta dell’Eumc che, dopo aver commissionato
lo studio, ha deciso di non pubblicarlo. A Francesco
Margiotta Broglio, professore ordinario all’Università
di Firenze e membro dell’Eumc, abbiamo chiesto
di aiutarci a capire meglio questi fatti.
Professor Margiotta Broglio, negli ultimi
tempi l’antisemitismo ha conquistato un ruolo
da protagonista nelle discussioni dell’opinione
pubblica. Prima il sondaggio dell’Eurobarometro
per cui la maggioranza dei cittadini europei considererebbe
Israele un pericolo per la pace mondiale; poi il dossier
sull’antisemitismo che l’Eumc non ha voluto
pubblicare; poi le polemiche tra Prodi e i presidenti
dei Congressi ebraici mondiale ed europeo; e, ultimo
in ordine cronologico, il Rapporto Eurispes secondo
il quale si può parlare dell’Italia di
un paese in cui esiste un latente sentimento antisemita.
Come mai, secondo lei, l’antisemitismo è
tornato ad essere un argomento così diffuso?
L’Unione
europea (e prima la Comunità europea) ha iniziato
a preoccuparsi di razzismo e antisemitismo ben prima
della tardiva e superficiale scoperta mediatica di
questi fenomeni. Il Parlamento Europeo mise in guardia
contro il razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo
con due risoluzioni dell’aprile e del dicembre
1993, ribadendo condanne e avvertimenti nell’ottobre
dell’anno successivo. Il Consiglio europeo iniziò
a condannare razzismo, xenofobia e antisemitismo nell’ottobre
’95, invocando anche il coinvolgimento, nella
lotta a questi fenomeni, dei sistemi educativi nazionali.
Il 1997 venne poi proclamato “Anno europeo contro
il razzismo” e tutte le istituzioni comunitarie
vennero coinvolte nel programma che si sviluppò
sulla base dell’art.3 del Trattato sull’Unione
Europea. La Dichiarazione di intenti congiunta (Unione,
Parlamento, Commissione) del 30 gennaio ’97
invitava inoltre espressamente le istituzioni europee,
i poteri pubblici e le organizzazioni private nazionali
ed europee a “contribuire alla lotta contro
il razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo”
nella vita quotidiana, nella scuola e nel lavoro.
Ne seguì una serie di azioni che portarono
alla formazione dell’Osservatorio di Vienna,
voluto e presieduto nel suo primo triennio da Jean
Kahn, Presidente del Concistoro ebraico di Francia,
una delle più eminenti personalità dell’ebraismo
europeo. Le accuse che si vogliono rivolgere alla
Commissione, a Prodi e alle istituzioni europee sono,
quindi, ingiuste e ingiustificate.
Quanto poi al sondaggio di Eurobarometro, anche se
la domanda poteva non essere formulata in modo appropriato,
è anche vero che il sondaggio ha rivelato uno
stato d’animo di cui è necessario tener
conto ma che va depurato di un equivoco che coinvolge
la politica del governo israeliano: non può
essere chiamato antisemita chi critica le scelte di
Sharon, che tra l’altro ha avversari e critiche
anche all’interno del suo stesso paese.
Se prendiamo poi la presa di posizione del presidente
della Commissione di fronte alle accuse lanciate dalle
pagine del Financial Times, va ricordato
che Prodi si è impegnato molto nella lotta
al razzismo e l’antisemitismo e quindi le sue
reazioni mi sono parse del tutto comprensibili e giustificate.
Ripeto: per anni le istituzioni europee si sono impegnate
nella definizione di problemi legati al razzismo e
alla xenofobia e nella ricerca di soluzioni a questioni
che sono da tempo sul tavolo delle istituzioni e per
cui questa recente impennata mediatica da parte dell’opinione
pubblica mi pare un po’ tardiva.
Cos’è che ha portato l’Eumc
a non pubblicare il dossier commissionato sull’antisemitismo?
I motivi riguardano il non apprezzabile impianto
scientifico della ricerca, la mancata disamina della
ricca e validissima letteratura francese e italiana
sulla materia e lo scarso rigore metodologico. Pensi
che le fonti sull’antisemitismo in Italia considerate
dal dossier ammontavano semplicemente ad un paio di
titoli; inoltre non si riusciva a capire dalle pagine
del dossier che cosa gli autori intendessero, in maniera
chiara ed univoca, per antisemitismo.
Un altro difetto era nella prospettiva storica con
cui è stato affrontato il lavoro. E’
importante notare che mancava integralmente, all’interno
dello studio, ogni dato, analisi e valutazione dei
residui del razzismo degli anni 30 e 40 del Novecento:
si pensi che in alcuni paesi non si riesce ancora
a recuperare i beni sottratti agli ebrei europei dai
nazisti e finiti nei musei o in collezioni private;
in italia, ad esempio, solo l’anno scorso si
è riconosciuto il diritto all’indennizzo
dei cittadini ebrei espulsi nel 1938 dalle scuole
pubbliche.
Inoltre manca nella ricerca qualsiasi riferimentio
alle politiche antisemite dei diversi stati europei
tra il 1933 e il 1945, come se la “questione
ebraica” fosse stata la medesima in tutti i
paesi e come se fosse possibile analizzare l’antisemitismo
di oggi senza tenere conto della ben diversa eredità
storico-politica dell’antisemitismo nei singoli
paesi membri dell’Unione. Insomma, una totale
mancanza di prospettiva storica e di dimensione politica
di una questione cha ha antiche e profonde radici
dalle quali è necessario partire se si vuole
studiare seriamente il fenomeno attuale.
Dalle discussioni nate intorno all’antisemitismo,
emerge il fatto che resistono all’interno della
società europea dei luoghi comuni come l’idea
di una cospirazione mondiale ebraica, le accuse dii
deicidio o la confusione tra antisemitismo e antisionismo.
Come giudica la resistenza di questi luoghi comuni?
La questione che lei pone è proprio quella
che i ricercatori di Berlino non hanno voluto o saputo
affrontare. La resistenza dei luoghi comuni si può
spiegare solo tenendo in debito conto il peso della
storia e della tradizione antisemita e, ripeto, non
confondendo il razzismo antisemita con i diffusi sentimenti
critici verso l’attuale politica del governo
israeliano.
Cosa resta da fare alle istituzioni europee
per continuare in modo costruttivo la questione sull’antisemitismo?
Le istituzioni europee devono continuare a tenere
sotto attenta osservazione le manifestazioni di antisemitismo
nel quadro della politica dell’Unione contro
il razzismo e la xenofobia. Sulla base delle analisi
e dei dati raccolti, le istituzioni dell’Ue
possono adottare nuove e più mirate azioni
per contrastare tali fenomeni nel quadro più
generale della protezione dei diritti dell’uomo
(individuali e collettivi) e delle identità
religiose e culturali, senza isolare l’antisemitismo
da fenomeni paralleli come la xenofobia e l’islamofobia.
Fenomeni che, peraltro, sono storicamente diversissimi
e cronologicamente molto più recenti.
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