Giovanni Reale, Radici culturali e spirituali
dell'Europa, Raffaello Cortina, 2003, pp. 183, euro
18,50.
Che
fine ha fatto la questione della religione nella futura
Costituzione europea? Pare ieri che lo scontro tra
laicismo francese e cristianità latina animava
i palazzi della politica e le pagine dei giornali.
Ci si divideva sull'opportunità di citare nel
Preambolo generale alla Carta le "radici cristiane
dell'Europa". Sì, no, però. È
possibile che uno Stato laico faccia riferimento nella
sua pagina fondamentale a una determinata religione?
Questa presenza non mina già la base di una
democrazia liberale? E perché non citare le
altre confessioni, perché solo il cristianesimo?
Ma è possibile, d'altra parte, non riconoscere
che l'Europa affonda buona parte delle sua cultura
proprio in quei valori cristiani? Fu Romano Prodi,
presidente della Commissione europea, a sostenere
che eliminare il cristianesimo significa negare 1500
anni di civiltà e che sarebbe stato meglio
il silenzio sull'intero passato del continente piuttosto
che una menzogna.
Insomma, si trattava di un groviglio di questioni
che tuttavia sembrano sparite dall'agenda politica
continentale. Il 9 dicembre, il ministro degli Esteri
italiano Franco Frattini nel presentare la bozza della
Costituzione ha sottolineato che starà ai singoli
governi nazionali scegliere se citare o meno le "radici
cristiane dell'Europa". Ognuno farà le
proprie valutazioni e poi ci si conterà. Niente
più ricerca di un minimo comune denominatore
sulla religione che possa tenere tutti insieme. Si
farà a maggioranza. Almeno per ora.
Eppure, la fiaccola della discussione è
ancora accesa. In Francia, in questi giorni, si è
deciso per il compromesso: ognuno può manifestare
la propria appartenenza religiosa ma non nei luoghi
pubblici. Per esempio, niente velo, kippah o crocifissi
vistosi nelle scuole.
A difendere le ragioni del cristianesimo nella Costituzione
europea è arrivato da qualche tempo il libro
di Giovanni Reale, Radici culturali e spirituali
dell'Europa (Raffaello Cortina). Storico della filosofia antica al San
Raffaele di Milano, Reale traccia nel volume una genealogia
filosofica dell'uomo europeo. Quali sono i valori
che realmente tengono, o meglio, dovrebbero tenere
insieme le centinaia di milioni di nuovi compatrioti?
Se sta per nascere uno Stato che va dall'Atlantico
agli Urali, dalla Scandinavia al Mediterraneo è
opportuno, spiega il filosofo, andare alla ricerca
delle radici del cittadino europeo. Non tanto per
spirito d'erudizione quanto piuttosto per un compito
morale che tracci il perimetro, il limes
entro il quale l'Europa continui malgrado tutto a
sopravvivere. Insomma, sapere da dove veniamo serve
anche per capire dove andremo. E ciò non può
essere deciso burocraticamente né essere il
prodotto di una carta costituzionale, per quanto ben
scritta. Piuttosto va cercato, spiega Reale, nella
storia del nostro continente con l'intento di far
rinascere quello spirito che la società contemporanea
sembra aver dimenticato. Ça va sans dire,
che lo spirito in questione è quello cristiano.
Sostiene
Reale: alle origini dell'Europa – di un continente
che più che un'entità geografica o politica
è un tutto spirituale – si trovano: 1)
la cultura greca; 2) il messaggio cristiano; 3) la
rivoluzione scientifica. Certo, sono meriti enormi
quelli di Platone e Aristotele (e Euclide e tutti
gli altri) di avere "inventato" qualcosa
di inaudito come la theoria, ovvero la possibilità
di una conoscenza universale, e di qualcosa come la
psyche, l'anima come essenza peculiare dell'uomo.
E non è trascurabile neanche il "paradigma
culturale" realizzato dalla scienza moderna e
il ruolo che ha svolto nel creare l'uomo europeo.
Tuttavia, è il concetto di "persona"
che è fondamentale per definire cosa significa
essere europei. Solo se si è persone e si riconoscono
gli altri come persone possono nascere la solidarietà,
l'unità spirituale e può risorgere un
vero umanesimo.
Quello di "persona" è un concetto
esclusivamente cristiano, sottolinea Reale, che è
stato cancellato dalla rivoluzione scientifica e tecnologica.
Non che Copernico, Galileo o Keplero siano i diretti
responsabili della crisi nichilistica di cui è
preda la nostra epoca. Reale lo sa bene e se la prende
piuttosto contro una certa ideologia che pretende
di trovare un'etica, un qualche valore assoluto nella
ricerca della tecno-scienza mentre al contrario essa
produce una certa "disumanizzazione e spersonalizzazione
dell'uomo".
I riferimenti per quest'analisi di Reale sono
molti. Dalla critica alla civiltà dell'Homo
videns di Giovanni Sartori al catastrofismo della
"bomba informatica" di Paul Virilio passando
per Gadamer e Popper. Internet, new media,
tv: ecco la caverna platonica nella quale noi uomini
del XXI secolo saremmo ingabbiati. Un ammonimento
nel quale risuonano le parole di Edmund Husserl. “La
crisi dell'esistenza europea – affermava nel
1937 il padre della fenomenologia - ha solo due sbocchi:
il tramonto dell'Europa, nell'estraniazione rispetto
al senso razionale della propria vita, la caduta nell'ostilità
allo spirito e nella barbarie oppure la rinascita
dell'Europa dallo spirito della filosofia, attraverso
un eroismo della ragione capace di superare definitivamente
il naturalismo”. Ovvero il superamento di quello
sguardo rivolto esclusivamente verso il puro dato
matematizzabile e quantificabile e che dimentica la
radice spirituale della stessa scienza.
“Il compito più arduo, oggi, consiste
nel tentare di porre rimedio allo squilibrio sempre
crescente fra il progresso tecnologico ed economico,
da un lato, e il mancato progresso dell'uomo nelle
dimensioni spirituale, etica e sociale, dall'altro.
Anzi, sconcerta il fatto che l'uomo sembri aumentare
sempre più ciò che ha mentre
regredisce in ciò che è”.
Essere o avere? Reale non ha dubbi: l'Europa deve
recuperare i valori caduti nell'oblio. Quella "cura
dell'anima" va riscoperta, come ha insegnato
il filosofo cecoslovacco Jan Patocka. “Il principio
assiologico fondativo di una comunità europea
non potrà che essere quello umanistico-cristiano,
in base al quale l'Europa si è generata e costituita”.
Contro qualsiasi forma di relativismo culturale, l'identità
europea, spiega in conclusione Reale, dovrà
avere basi solide per permettere l'incontro (inevitabile)
con le culture diverse, con l'Altro. “Il multiculturalismo
porta alla Bosnia e alla Balcanizzazione; è
l'interculturalismo che porta all'Europa”. L'autore
condivide le parole di Sartori. Per la convivenza
pacifica delle culture è necessario che le
identità siano ben definite. Pena la scomparsa
delle stesse, dell'Europa in primo luogo. Una reductio
ad unum dell'identità culturale del Vecchio
continente non solo è auspicabile, ma è
anche obbligata per poter tenere insieme il mosaico
europeo. Ovviamente, sotto la luce del messaggio cristiano.
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