Londra
17 novembre 2003. Al numero 8 di Artillery Row, presso
la libreria Politico’s, il primo rivenditore
di testi politici della città, Anthony Giddens
ha presentato al pubblico inglese il suo ultimo lavoro
– The Progressive Manifesto, Cambridge,
Polity Press, 2003, pp. 222 – una raccolta di
saggi di diversi autori, da lui curata con una lunga
introduzione intitolata Neoprogressivism.
A New Agenda for Social Democracy. Le parole
dei “neoprogrs”, il linguaggio nuovo con
cui il sociologo inglese prova ad indicare una via
nuova per le politiche di centro-sinistra, cercando
di costruire un nuovo lessico e nuove proposte per
le forze progressiste, hanno una traduzione italiana
stampata nelle pagine dell’ultimo numero della
rivista Reset.
Dopo aver spiegato che gli scrtti del volume sono
nati in occasione della Progressive Governance Conference,
tenutasi a Londra nel Luglio 2003 e organizzata da
Policy
Network, il think-tank internazionale che lavora
per facilitare lo scambio di idee progressiste nel
centro-sinistra in Europa e nel mondo, Giddens ha
puntato verso i concetti e i termini che caratterizzano
il libro.
“Chi
lamenta la natura provinciale della discussione politica
britannica avrà forse piacere nel trovare in
questi saggi un approccio comparativo determinato
dai contributi di colleghi di diversi paesi: Folke
Schuppert da Berlino, Gøsta Espino-Andersen
da Barcellona, Nicola Rossi da Roma e altri ancora”.
Così ha esordito il sociologo inglese prima
di passare a definire l’elemento alla base della
discussione, cioè la constatazione della necessità
di un rinnovamento all’interno delle forze politiche
progressiste. Mentre durante gli anni novanta i governi
o le coalizioni di centro-sinistra raggiunsero una
grande visibilità in Europa e negli Stati Uniti,
ma anche altrove, grazie soprattutto a una modernizzazione
dei programmi socialdemocratici, l’attuale panorama
politico mondiale, in cui spicca in maniera evidente
la diffusione di governi di destra, mostra il tempestivo
decadimento che minaccia qualunque misura innovativa
a causa della continua mutevolezza della realtà
sociale contemporanea. Ciò significa che l’urgenza
di un costante cambiamento di iniziative, proposte
e programmi politici è sempre attuale e dunque,
“se siamo pronti a riconoscere che c’è
stato un fallimento della sinistra in Europa negli
ultimi anni, dobbiamo anche riconoscere che la ragione
di questo è stata la mancanza di un’evoluzione
nel modo di pensare a sinistra”. Così
la nota formula della “terza via”, spunto
ideologico per il centro-sinistra, non solo anglosassone,
di fine millennio, deve essere sostituita oggi da
un’ulteriore verifica e aggiornamento metodologici,
da un nuovo “manifesto progressista”,
che tenga conto dei mutamenti cui la società
è andata incontro da allora.
Se l’istanza era, negli anni passati, quella
di proporre un “manifesto per la rifondazione
della socialdemocrazia”, ora pare piuttosto
piuttosto necessaria la proposta di nuove idee, “a
new agenda for social democracy”, come recita
l’introduzione di Giddens: “Abbiamo dunque
bisogno di una nuova struttura (framework)
su cui costruire quello che ho deciso di chiamare
‘neoprogressismo’ (o movimento neoprogressista)
sebbene l’espressione ‘quarta via’
sarebbe stata più che adeguata. I neoprogressisti
(neoprogs) devono partire dalla terza via
e aggiornarla, avanzarla in termini propositivi laddove
quella era definita più in termini di ciò
cui andava contro che in quelli di ciò cui
era in favore». Si legge infatti nel saggio
del sociologo: “La terza via si è sviluppata
soprattutto come una critica alla destra neoliberale.
[…] Io credo piuttosto che i socialdemocratici
abbiano bisogno di una presa di posizione ideologica
per uscire da questa situazione. Tale scissione ideologica
richiede nuovi concetti e nuove prospettive politiche.
Dobbiamo continuare a pensare in modo radicale, ma
radicalismo significa essere aperti a idee fresche,
e non ricadere nel vecchio tradizionalismo di sinistra.
Non chiamerò infatti questa nuova prospettiva
la ‘quarta via’, per quanto l’idea
mi tenti. Piuttosto parlerò di neoprogressismo
e di neoprogressisti”.
Su questo impianto Giddens ha poi sottolineato come
il nuovo framework debba crearsi intorno
a tre questioni fondamentali: quella che riguarda
il tipo di società che si vuole costruire,
quella di un nuovo concetto di stato, e infine, ma
non ultima, quale nuova politica adottare per trattare
le disuguaglianze a partire dai sistemi educativi
dell’infanzia. Nell’introduzione al libro
infatti Giddens delinea i propositi fondamentali del
neoprogressismo quali quello di una più forte
sfera pubblica, affiancata da una fiorente economia
di mercato; una società pluralistica e inclusiva;
un più vasto mondo cosmopolita fondato su principi
di legge internazionale. “Rinnovare l’importanza
degli interessi e dei beni pubblici (a livello nazionale
e internazionale) mi sembra l’aspetto più
cruciale. […] Una sana economia necessita di
mercati funzionali, ma anche di un ben sviluppato
dominio pubblico, in cui lo stato mantenga un ruolo
essenziale. Rafforzare la vita pubblica non vuol dire
tornare allo stato assistenziale (nanny state).
Significa ripensare cosa è lo stato e per cosa
esiste, in relazione ai concetti di interesse pubblico
e bene pubblico. Chiamo questo processo ‘pubbicizzazione’
(publicisation). La prima parte del dopo
guerra è stata l’epoca dello stato burocratico.
Successivamente c’è stata una fase di
privatizzazione e deregulation. Ora stiamo
potenzialmente entrando in un altro stadio –
caratterizzato non dal ritorno dello stato burocratico,
ma da una più inclusiva definizione dello scopo
pubblico. Dopo la privatizzazione viene la pubblicizzazione.
Con pubblicizzazione io intendo la difesa della fondamentale
importanza della sfera pubblica in una società
decente – in cui i cittadini possano perseguire
le loro aspirazioni, ma anche sentirsi protetti e
sicuri. La prima ondata del pensiero della terza via
è risultata efficace nell’articolare
la prima istanza, ma è stata meno capace di
evidenziare la seconda”.
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