Gli
italiani preferiscono la tv. Meglio guardare un telegiornale
che sfogliare un quotidiano; meglio un talk-show sorbito
a casa, in prima o seconda serata, a tavola o seduti
in poltrona, piuttosto che affondare nelle pagine
di un dossier o tra le righe di un editoriale; meglio
le immagini che si susseguono rapide sul video piuttosto
che le lettere stampate su una pagina di giornale.
Sarà perché vedere e ascoltare i programmi
televisivi è un’attività meno
impegnativa della lettura, sarà perché
la televisione dà la sensazione di essere informati
e di mantenere un contatto con il mondo senza compiere
grandi sforzi di attenzione e di concentrazione, ma
il dato parla chiaro. Da una serie di ricerche Istat
svolte nel 2000 sul rapporto tra gli italiani e la
stampa, emerge una precisa tendenza a leggere i giornali
in maniera occasionale, tanto che meno della metà
degli intervistati (precisamente il 40,1 per cento)
si dichiara lettore abituale di quotidiani. Per andare
un po’ più in profondità nella
questione sfogliamo il libro Il pubblico dei media
(Carocci, 2003) curato da Marino Livolsi e, nel capitolo
dedicato alla stampa, scopriamo che il numero dei
lettori si assottiglia nelle fasce di età più
giovani (in cui il 60 per cento non legge affatto
quotidiani e più della metà dei ragazzi
che lo fanno si interessano solo alle testate sportive).
Alcuni tra i numeri più interessanti li troviamo
però là dove si cercano di scovare i
motivi che tengono le persone così lontane
dalla lettura dei quotidiani: qui le risposte che
guidano la lista delle alternative riguardano il “disinteresse
per i giornali” e la dichiarata “preferenza
a guardare la tv”.
A sentire cosa dicono gli italiani, alla televisione
spetta il primato nel mercato dell’informazione.
E quando parliamo di tv, diciamo televisione generalista.
Che si tratti di servizio pubblico o di tv commerciale,
il mercato televisivo italiano è dominato
da Rai e Mediaset, dai canali finanziati da canone
e pubblicità, mentre non hanno ancora molta
presa tra i gusti e le spese del pubblico i servizi
offerti dalle tecnologie digitali. E’ questo
un dato che vede l’Italia nettamente in ritardo
rispetto ai maggiori paesi dell’Unione europea
ed è significativo del consumo e della produzione
televisiva nel nostro paese. I dati ci vengono da
una ricerca condotta dal Servizio Analisi Economiche
e di Mercato dell’Autorità per le Garanzie
nella Comunicazione, e riportata nel volume Il mercato
televisivo italiano nel contesto europeo, a cura di
Antonio Perrucci e Giuseppe Richeri (il Mulino 2003).
Il testo raccoglie le cifre dei mercati televisivi
di Italia, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna
con lo scopo “di confrontare la struttura del
settore nei diversi paesi, al fine di individuare
l’esistenza di connotati comuni, ovvero di acquisire
elementi utili ad individuare un modello europeo o
più modelli nazionali”.
Ne emerge un panorama estremamente vario e diversificato
che non si può ridurre a un unico modello europeo.
Ci sono infatti realtà in cui il pubblico televisivo
dimostra di essere disposto a pagare per avere a disposizione
canali tematici e avere la possibilità di scegliere
tra l’ampio ventaglio di programmi offerti dalle
possibilità del digitale, come il caso del
Regno Unito con i canali di BSkyB di Rupert Murdoch
e soprattutto in Francia, unico paese in cui la pay
tv Canal Plus sale al secondo posto, dopo la tv di
stato, nel mercato televisivo nazionale.
Il panorama italiano ci presenta un paese ancora relegato
al dominio del duopolio (Rai e Mediaset concentrano
nelle loro mani l’81% del mercato televisivo
nazionale, mentre negli altri stati i primi due operatori
totalizzano cifre di molto inferiori: 69,1 in Germania,
57,4 nel Regno Unito, 44, 5 in Francia e 43,3 in Spagna).
Ma il dato forse più interessante si trova
andando a leggere le quote di mercato sostenute dalla
pubblicità nel mercato televisivo e le spese
sostenute dagli utenti.
Quando si parla di televisione, la maggior parte del
denaro speso dagli italiani è dedicato al canone
della Rai, mentre pochissimi sono i soldi indirizzati
alle pay tv. Strettamente legati a queste cifre sono
quelle che si riferiscono alle “famiglie multicanale”,
cioè “le famiglie in grado di ricevere
attraverso satelliti e cavo un ampio ventaglio di
canali”, e agli investimenti pubblicitari.
Da una parte i telespettatori italiani possono disporre
di una vasta offerta televisiva solo per il 9,6% (mentre
Francia e Regno Unito superano di poco il 30 e la
Germania arriva addirittura all’89); sul versante
degli investimenti, il mercato italiano è occupato
principalmente dalla pubblicità, mentre negli
paesi (soprattutto Francia e Gran Bretagna) le quote
si distribuiscono in maniera più equa tra inserzioni
pubblicitarie, abbonamenti a pay tv e finanziamento
pubblico.
Dai numeri dei mercati televisivi dei cinque più
grandi paesi dell’Unione europea, dal loro confronto,
si vede quanti soldi si spendono, e come, per vedere
la tv, e come si distribuiscono gli investimenti.
Tra queste cifre potrebbe essere scritto qualcosa
che ci racconta come è la televisione che guardiamo
e come ci comportiamo di fronte allo schermo.
L’analisi quantitativa dei soldi spesi dai telespettatori
per accedere alle tv digitali, a canali tematici,
e a pay tv in genere, è indice dello stato
di evoluzione del sistema televisivo. Da una parte
infatti le cifre ci parlano del rischio che si assumono
gli operatori nel produrre programmi, nel creare canali
che dipendano dagli investimenti pubblicitari o direttamente
dall’interesse dei contenuti. Nel primo caso
le tv non vendono programmi direttamente al pubblico,
ma vendono l’attenzione dei loro spettatori
agli inserzionisti pubblicitari che finanziano l’informazione
e l’intrattenimento; nel secondo caso invece
i programmi sono costruiti per un pubblico di nicchia
che ha deciso di pagare del denaro per vedere le immaggini
che scorrono sullo schermo.
D’altra parte però i numeri ci parlano
anche “di profili di consumo che comportano
una maggiore accuratezza e consapevolezza del consumatore
nel processo di scelta del prodotto da acquistare”.
Le cifre quindi disegnano il comportamento dei telespettatori,
ci dicono quanto tengano alla qualità di quello
che entra dentro le loro case direttamente dal video
della tv. “Se pago – dicono i consumatori
di tv – voglio stare attento a quello che ho
comprato, mi deve piacere, deve essere un buon prodotto”.
Ma il panorama italiano presenta una contraddizione.
Il pubblico dimostra di preferire il mezzo televisivo
alla carta stampata, la visione alla lettura, ma allo
stesso tempo, contrariamente a quanto accade nei maggiori
paesi dell’Unione europea, non vuole impegnare
attenzione né investire denaro nella scelta
attenta dei programmi televisivi e nelle possibilità
della televisione digitale.
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