“L’innovazione
più importante per la tv è il digitale,
il linguaggio del computer applicato alla diffusione
e alla produzione di programmi televisivi. Quando
poi i costi e le condizioni delle tecnologie consentiranno
a un elevato numero di persone di accedere alla programmazione
digitale, allora forse potranno nascere dei veri e
propri canali europei”. Per Alessandro Ovi,
direttore dell’edizione italiana di Technology
Review, amministratore delegato di Tecnitel e consigliere
del Presidente della Commissione europea Romano Prodi
per le Politiche industriali e per l’innovazione,
il satellite è la tecnologia che ha i più
ampi spazi di diffusione e di applicazione per la
tv del futuro.
Che cos’è che la fa guardare
con tanto favore alla televisione digitale?
Le caratteristiche del digitale applicate alla tv.
Sono principalmente tre: una qualità dell’immagine
molto superiore a quella che eravamo abituati a vedere
con la televisione analogica, la moltiplicazione dei
canali e una elevata capacità di interazione.
Però ci sono diversi modi per diffondere canali
televisivi in digitale: il cavo, il satellite, oppure
il digitale terrestre che è uno dei punti più
in evidenza della legge Gasparri e del progetto di
riforma della tv italiana.
Io ho parlato delle tre caratteristiche che differenziano
profondamente il digitale dalla televisione analogica,
che rappresentano gli elementi di innovazione. Poi,
che queste si realizzino via satellite, via cavo o
per via terrestre non fa alcuna differenza. Il problema
vero riguarda la diffusione e le infrastrutture. In
Italia non abbiamo una cablatura tale da giustificare
e permettere una diffusione via cavo. Rimangono il
satellite e il digitale terrestre, di cui ora tanto
si parla. Ora, il primo è uno strumento molto
diffuso tra gli utenti italiani, basta considerare
che sono stati venduti circa sei milioni di decoder.
Il digitale terrestre, invece, è stato preso
in considerazione soltanto da poco tempo, ed è
una tecnologia che richiede una infrastruttura che
in Italia non esiste e che andrebbe realizzata dal
nulla, con costi evidenti e molto elevati.
Qual
è la differenza tra la diffusione via satellite
e il digitale terrestre?
Le differenze riguardano il tragitto che compie il
segnale dall’emittente fino ad arrivare al televisore
che abbiamo dentro casa. Nel primo caso un emittente
acquista un trasponder su un satellite, cioè
uno spazio per irradiare il proprio segnale su tutto
il territorio coperto dal satellite e trasmetterlo
a chiunque possegga un impianto di ricezione adeguato.
Con il digitale terrestre invece le emittenti inviano
il loro segnale a una serie di punti radio distribuiti
sul territorio che, utilizzando le stesse frequenze
che sono attualmente in uso, emettono verso gli apparecchi
ricettori delle informazioni in forma digitale. Rispetto
al modo di diffusione analogico, il vantaggio è
che su una stessa frequenza possono viaggiare diversi
segnali digitali.
Entrambi segnali digitali, uno arriva da
un satellite, l’altro da una serie di ponti
radio che sono sul territorio. Lei perché preferisce
il satellite?
Innanzitutto, come ho già accennato, perché
è una tecnologia che è già in
uso, ha un’utenza diffusa e quindi aumentarne
l’utilizzo da parte dei telespettatori è
un’operazione che non prevede costi elevati.
Il digitale terrestre invece presenta una serie di
problemi. L’infrastruttura necessaria per realizzarlo
non esiste e va costruita dal nulla, se poi pensiamo
ai tempi necessari per coprire l’intero territorio
italiano allora non possiamo certo ragionare in tempi
brevi. Un altro aspetto riguarda gli utenti. Tutti
sarebbero costretti a comprare un nuovo decoder per
guardare la nuova televisione.
E poi c’è un aspetto che non va sottovalutato.
La televisione satellitare consente di diffondere
programmi su tutto il territorio europeo e di vedere
trasmissioni di canali non solo italiani, ma provenienti
da tutta l’Europa. Il digitale terrestre è
invece strettamente legato alla dimensione nazionale,
riguarda solo la televisione italiana. E poi bisogna
anche eliminare un luogo comune che avvolge la tv
satelittare: la si associa spontaneamente alla pay
tv, ma così non è. Nel mondo i decoder
chiamati free ware, cioè quelli che consentono
di vedere canali gratuiti non sottoposti a criptaggio
sono molto di più dei decoder per la tv a pagamento,
questo testimonia che è molto diffusa la tendenza
a utilizzare il satellite come strumento di tv gratuita.
Esiste quindi una possibilità molto forte di
offrire servizo pubblico gratuito via satellite, un
servizio che adesso, senza alcuna spesa aggiuntiva
per le infrastrutture, sarebbe visto da sei milioni
di famiglie, cioè molte più persone
di quante, ad esempio, non vedono Rai Tre a dieci
anni dalla sua nascita.
Lei ci ha spiegato che la televisione digitale offre
la poissibilità di moltiplicare i canali fino
a un numero elevatissimo. Questo significa che ci
sarebbe la possibilità di vedere più
attori sul mercato televisivo nazionale per poter
realizzare un pluralismo che superi il duopolio italiano.
Allo stesso tempo però, in un suo articolo
ha scritto che la frammentazione dell’audience
e la nascita di canali di nicchia conduce a una dimnuzione
delle risorse a disposizione e quindi soltanto “chi
avrà modo di scaricare costi di produzione
su più mercati potrà sostenere l’onere
di produzioni tematiche costose”. Il pensiero
corre a Rupert Murdoch: se l’intero mercato
della tv satellitare è nelle mani di un solo
soggetto, che fine fanno le speranze di pluralismo?
Murdoch ha potuto assumere una posizione dominante
sul mercato della tv satellitare solo a fronte di
obblighi molto cogenti che gli sono stati imposti
dalla Commissione europea. Primo fra tutti è
il fatto che Sky è obbligata a concedere accesso
ai propri canali a chiunque lo chieda, soprattutto
se si tratta di canali sviluppati in una delle lingue
europee, a costi ragionevoli indicati dall’andamento
del mercato. Se io voglio fare un canale e diffonderlo
via satellite, Murdoch deve permettermi di utilizzare
la sua piattaforma al prezzo di costo, quindi senza
speculazioni. Inoltre deve impegnarsi a dare visibilità
a questi canali inserendoli per ordine tematico all’interno
della Epg (electronic programs guide) la guida elettronica
dei programmi in cui sono contenute le offerte di
tutti i canali. Quindi è vero che c’è
un monopolista, ma le norme imposte dalla Commissione
europea garantiscono l’accesso alla diffusione
televisiva, e quindi le condizioni del pluralismo
favorite anche dalla tecnologia digitale.
Una caratteristica del digitale è
che un canale può essere visto su un territorio
molto vasto. Un programma può allora avere
contempraneamente telespettatori italiani, tedeschi,
francesi e scandinavi. Ma esiste davvero un’Europa
televisiva?
No, l’unico canale che forse può dirsi
europeo in senso pieno del termine è Euronews,
che nasce da un consorzio di tv dei diversi paesi
d’Europa, ma non si può dire che sia
un successo visto che gli ascolti sono abbastanza
bassi. A parte gli argomenti sportivi, è difficile
trovare programmi di successo che abbiano un’impronta
europea. Uno degli ostacoli più evidenti è
la lingua, non è facile trovare un’audience
numerosa in grado di guardare programmi in una lingua
straniera.
E allora come può cambiare il consumo
e l’offerta della tv in una realtà che
va oltre i confini geografici e culturali dei singoli
stati come l’Unione europea?
Ci sono teorie diverse. C’è chi sostiene
che la programmazione televisiva, soprattutto per
quello che riguarda l’informazione, dovrebbe
tendere a un processo che la porterebbe a “regionalizzarsi”
più che a “continentalizzarsi”,
dando così spazio ai mercati locali e a canali
attenti alle dimensioni molto piccole, in grado di
servire le esigenze e i gusti di un pubblico ristretto.
Altri sostengono invece che l’Europa diventerà
un unico mercato come gli Stati Uniti, ma io ho molti
dubbi perché il tema della lingua, anche se
la tecnologia digitale offre delle soluzioni –
come la possibilità di fruire di programmi
stranieri nella propria lingua - , rimane un tema
delicato e prima che il digitale abbia una diffusione
tale da ammettere questo multilinguismo passerà
ancora del tempo.
Ma è un mercato che ancora non ha detto tutto,
anzi deve ancora farci vedere molto. Stiamo attraversando
una fase in cui ci sono segnali che ci indicano una
direzione precisa anche se non si vede nitidamente
dove conduce. Un tendenza evidente è quella
dell’abbattimento dei costi del decoder, quando
costerà davvero poco, allora saranno in molti
a poter accedere alle piattaforme digitali e allora
forse si potrà pensare a delle vere e proprie
tv europee, perché allora ci sarà un
audience che la giustificherebbe.
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