241 - 29.11.03


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Cosa c’è nel manuale

Daniele Castellani Perelli


“Gli storici e gli insegnanti ritengono necessario e auspicabile apportare il loro contributo all’edificazione di quell’Europa ‘una’, mostrando come essa sia già stata tale in passato e sia destinata a esserlo nuovamente in futuro”. Era il maggio del 1990, e a Milano un gruppo di storici europei si indirizzava così, al termine di un convegno, alle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo, auspicando la scrittura di una “storia europea dell’Europa”, un manuale per le scuole medie del continente che fosse fondamento e garanzia dell’Europa di domani, di una futura coscienza europea. Del progetto, alla fine, non si fece nulla, specialmente perché era emersa la tendenza a privilegiare l’Europa occidentale.

Oggi però, alla luce dei molti successi registrati nell’ ultimo decennio dall’integrazione europea, di quel sogno si è ricominciato a parlare. Lo ha fatto la Fondazione Giovanni Agnelli, che in ottobre ha dedicato al tema un seminario, all’interno del quale è stato presentato il libro “Insegnare l’Europa. Concetti e rappresentazioni nei libri di testo europei”, a cura di Falk Pingel e pubblicato quest’anno dalle Edizioni della Fondazione Giovanni Agnelli. Il volume è il frutto di una ricerca che l’istituto Georg Eckert per la ricerca internazionale sui libri scolastici ha condotto su incarico della stessa Fondazione, replicando uno studio analogo realizzato dalle due istituzioni già nel 1994. Gli autori dei saggi sono autorevoli insegnanti universitari dell’ovest e dell’est del Vecchio continente, che hanno descritto quale immagine dell’Europa si ricavi nei più diffusi manuali di storia, geografia ed educazione civica che nei loro paesi sono destinati agli studenti di età compresa tra i 13 e i 16 anni.

I risultati sono estremamente interessanti. Aggiornano lo stato del nazionalismo nei vari paesi, documentano quale senso ricopra oggi l’Europa nelle singole storie, testimoniano quanto sia ancora lontano il sogno di un manuale unico per tutto il continente. La difficoltà maggiore sta già nelle premesse, nella difficoltà stessa di definire l’Europa e di delimitarne i confini. Se la Cee dei sei fondatori, corrispondendo pressappoco alla zona centrale dell’antico impero romano, faceva intuire un’originaria unità culturale di fondo, l’incompleto allargamento ad est e le candidature ufficiali e ufficiose di Turchia e Russia complicano sì il lavoro degli storici, ma rappresentano ugualmente una sfida affascinante.

Andiamo a vedere alcuni casi, partendo proprio dai manuali dei paesi dell’Est, dove prevalgono due immagini dell’Europa. In alcuni essa è “la civiltà occidentale”, la democrazia associata al libero mercato, alla quale l’est, fallito il suo modello sovietico, ora si annetterebbe. Per altri, l’allargamento è invece un “ritorno all’Europa”, che comporta l’elaborazione di una nuova realtà, non una semplice occidentalizzazione dei paesi ex-socialisti. Nei manuali bulgari convivono due immagini: quella più tradizionale e scettica, che ricorda il gioco delle potenze sul proprio suolo, e quella più progressista (molto diffusa anche nelle scuole rumene), che si rallegra delle possibilità modernizzatrici che si apriranno con l’allargamento e che prende contemporaneamente le distanze dal mondo russo. Se in Serbia i testi sono drammaticamente arretrati, in Bosnia-Erzegovina l’assenza di un ministero dell’educazione pubblica comune alle tre etnie favorisce la diffusione di manuali che accentuano la divisione etnica. Per quanto riguarda invece la rappresentazione dei Balcani nei manuali occidentali è da notare come quell’area non venga praticamente mai presa in considerazione come futura parte europea, mentre è sempre ritratta come una zona di conflitto e di guerre, come se le regioni più ad ovest non siano state teatro di conflitti altrettanto sanguinosi.

Per quanto riguarda gli stati già presenti nell’Ue, in Grecia, Russia e Gran Bretagna troviamo i manuali meno europeisti. In Grecia il tema dei rapporti con l’impero ottomano sovrasta quello dell’integrazione, mentre al di là della Manica il termine Europa a volte non è nemmeno citato. In Francia si notano elementi contraddittori: la geografia viene esplicitamente sviluppata nelle sue connessioni europee, ma due noti manuali descrivono il paese come “una potenza europea e mondiale”, che “è presente in tutto il mondo” e “gode di un ruolo importante dal punto di vista politico, economico e culturale”, che ne fa “una delle potenze del pianeta”. Queste tracce di nazionalismo scompaiono invece nei due paesi più europeisti degli ultimi anni, Germania e Italia. Per la prima vale la considerazione che, senza la partecipazione all’integrazione europea, non sarebbe stato possibile realizzare la riunificazione in maniera così rapida. La caduta del muro è un po’ il simbolo dell’Europa, tanto che il manuale francese Hachette, per il volume del XX secolo, ne porta un’immagine in copertina. I manuali tedeschi, nel raccontare la nuova Germania unita, rifuggono persino dalla tentazione di richiamare l’unificazione imperiale del 1870. I testi italiani, infine, vengono citati come quelli che descrivono con più pathos e più completezza l’integrazione europea. Quello della casa editrice Zanichelli, su tutti, dedica all’Europa 18 pagine cariche di forti simboli come il significato della bandiera dell’Ue, descritta così: “L’azzurro è il colore del cielo sereno e significa pace”. Il manuale, che snobba la partecipazione britannica all’integrazione, conclude il capitolo con una sezione di educazione civica, nella quale si indica come compito primario europeo l’educazione politica. La lettura dei testi italiani conferma l’europeismo del nostro paese, che è difatti citato spesso dagli altri manuali stranieri come esempio di nazione europea.

Lo studio promosso dalla Fondazione Agnelli si è concentrato sui manuali di educazioni civica, storia e geografia. I primi sono risultati i meno diffusi, perché la loro materia viene spesso trattata nei testi di storia, e i più problematici, perché ad est il concetto di educazione civica non è ancora ben definito. Anche qui però gli autori della ricerca segnalano la peculiarità europeista dei manuali italiani, con il testo della Loescher che dedica tanto spazio alla descrizione delle istituzioni politiche italiane quanto a quelle dell’Ue. I manuali di storia, quasi sempre organizzati in forma cronologica, si concentrano essenzialmente su tre momenti centrali dello sviluppo dell’Europa: il medioevo, il Rinascimento e soprattutto gli ultimi cinquant’anni dell’integrazione. Quelli di geografia, infine, si dividono per il tipo di struttura, nel senso che alcuni trattano la materia per temi ed altri continente per continente, partendo dal nostro. Le tematiche che con più attenzione vengono trattate negli ultimi anni sono le regioni (specialmente nei testi spagnoli e tedeschi), la multiculturalità, l’immigrazione, la globalizzazione e l’islam (visto quasi come minaccia da un manuale spagnolo, che su dieci immagini di commento ne porta sei di scontri e guerre).

Nell’introduzione al volume Falk Pingel, vicedirettore dell’Istituto Georg Eckert, ricorda come una delle funzioni principali dell’educazione storico-politica sia “far prendere coscienza delle proprie radici storiche e del dovere di porsi compiti in comune come scopo delle azioni future”. Pingel lamenta da un lato che l’educazione non sia stata finora tra le priorità dell’Unione, ma dall’altro ammette che le istituzioni dell’Ue difficilmente potrebbero andare oltre un semplice stimolare il discorso senza rischiare di finire col “prescrivere o dettare in modo burocratico lo spirito di unità”. La Commissione europea ha formulato una serie di programmi educativi, ma inerenti solo lo scambio di studenti e insegnanti tra scuole e università degli stati membri, o la documentazione dei diversi sistemi educativi. Con l’articolo 128 del Trattato di Maastricht, però, alla Commissione viene anche riconosciuto il mandato di rafforzare la coscienza dei legami culturali, con un esplicito riferimento alla storia europea. Il Consiglio d’Europa ha invece attivato un gruppo di lavoro incaricato di rilevare il quadro generale dell’insegnamento dell’educazione civica e di discuterne i metodi innovativi.

Falk Pingel, nel suo intervento, consiglia agli storici e agli insegnanti di sottolineare le analogie tra i paesi europei (e concretamente tra gli stessi giovani europei), di limitare lo spazio della storia nazionale, di saper parlare delle guerre senza suscitare né rafforzare negli alunni l’odio nei confronti del “nemico”, di spiegare i vari momenti che portano alle dittature, di evitare semplificazioni del tipo “buono-cattivo”, di approfondire il tema dei diritti umani, di stimolare gli studenti a riflettere su come si possa ottenere e mantenere la pace. Il professore francese Charles-Olivier Carbonell, in un saggio del volume, invita alla scrittura di una storia europea dell’Europa, in cui si dovrebbe “liberare il tronco comune delle memorie europee, sfrondarlo delle memorie nazionaliste, e di fatto stataliste, infittitesi al punto da fargli ombra”; adottare come criterio di delimitazione spaziale la storia e non la geografia, perché “è europeo ciò che appartiene all’Europa in quanto civiltà, non ciò che si colloca nell’Europa in quanto continente”; scegliere un punto di vista lontano, “Samarcanda, Timbuctù o il Messico, perché ‘Da lontano – ha detto Denis de Ruogemont – l’Europa è evidente’”. Più che suggerire ed alimentare il dibattito sulla storia e l’educazione politica europea, l’abbiamo visto, le istituzioni dell’Unione non potranno fare. Sarà compito degli storici e degli insegnanti far scoprire ai giovani studenti il loro essere cittadini dell’Europa. Sarà anche loro il compito, una volta fatta l’Europa, di fare finalmente gli Europei.




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