“Gli storici e gli insegnanti ritengono necessario
e auspicabile apportare il loro contributo all’edificazione
di quell’Europa ‘una’, mostrando
come essa sia già stata tale in passato e sia
destinata a esserlo nuovamente in futuro”. Era
il maggio del 1990, e a Milano un gruppo di storici
europei si indirizzava così, al termine di
un convegno, alle istituzioni di Bruxelles e Strasburgo,
auspicando la scrittura di una “storia europea
dell’Europa”, un manuale per le scuole
medie del continente che fosse fondamento e garanzia
dell’Europa di domani, di una futura coscienza
europea. Del progetto, alla fine, non si fece nulla,
specialmente perché era emersa la tendenza
a privilegiare l’Europa occidentale.
Oggi però, alla luce dei molti successi registrati
nell’ ultimo decennio dall’integrazione
europea, di quel sogno si è ricominciato a
parlare. Lo ha fatto la Fondazione Giovanni Agnelli,
che in ottobre ha dedicato al tema un seminario, all’interno
del quale è stato presentato il libro “Insegnare
l’Europa. Concetti e rappresentazioni nei libri
di testo europei”, a cura di Falk Pingel e pubblicato
quest’anno dalle Edizioni della Fondazione Giovanni
Agnelli. Il volume è il frutto di una ricerca
che l’istituto Georg Eckert per la ricerca internazionale
sui libri scolastici ha condotto su incarico della
stessa Fondazione, replicando uno studio analogo realizzato
dalle due istituzioni già nel 1994. Gli autori
dei saggi sono autorevoli insegnanti universitari
dell’ovest e dell’est del Vecchio continente,
che hanno descritto quale immagine dell’Europa
si ricavi nei più diffusi manuali di storia,
geografia ed educazione civica che nei loro paesi
sono destinati agli studenti di età compresa
tra i 13 e i 16 anni.
I risultati sono estremamente interessanti. Aggiornano
lo stato del nazionalismo nei vari paesi, documentano
quale senso ricopra oggi l’Europa nelle singole
storie, testimoniano quanto sia ancora lontano il
sogno di un manuale unico per tutto il continente.
La difficoltà maggiore sta già nelle
premesse, nella difficoltà stessa di definire
l’Europa e di delimitarne i confini. Se la Cee
dei sei fondatori, corrispondendo pressappoco alla
zona centrale dell’antico impero romano, faceva
intuire un’originaria unità culturale
di fondo, l’incompleto allargamento ad est e
le candidature ufficiali e ufficiose di Turchia e
Russia complicano sì il lavoro degli storici,
ma rappresentano ugualmente una sfida affascinante.
Andiamo a vedere alcuni casi, partendo proprio dai
manuali dei paesi dell’Est, dove prevalgono
due immagini dell’Europa. In alcuni essa è
“la civiltà occidentale”, la democrazia
associata al libero mercato, alla quale l’est,
fallito il suo modello sovietico, ora si annetterebbe.
Per altri, l’allargamento è invece un
“ritorno all’Europa”, che comporta
l’elaborazione di una nuova realtà, non
una semplice occidentalizzazione dei paesi ex-socialisti.
Nei manuali bulgari convivono due immagini: quella
più tradizionale e scettica, che ricorda il
gioco delle potenze sul proprio suolo, e quella più
progressista (molto diffusa anche nelle scuole rumene),
che si rallegra delle possibilità modernizzatrici
che si apriranno con l’allargamento e che prende
contemporaneamente le distanze dal mondo russo. Se
in Serbia i testi sono drammaticamente arretrati,
in Bosnia-Erzegovina l’assenza di un ministero
dell’educazione pubblica comune alle tre etnie
favorisce la diffusione di manuali che accentuano
la divisione etnica. Per quanto riguarda invece la
rappresentazione dei Balcani nei manuali occidentali
è da notare come quell’area non venga
praticamente mai presa in considerazione come futura
parte europea, mentre è sempre ritratta come
una zona di conflitto e di guerre, come se le regioni
più ad ovest non siano state teatro di conflitti
altrettanto sanguinosi.
Per quanto riguarda gli stati già presenti
nell’Ue, in Grecia, Russia e Gran Bretagna troviamo
i manuali meno europeisti. In Grecia il tema dei rapporti
con l’impero ottomano sovrasta quello dell’integrazione,
mentre al di là della Manica il termine Europa
a volte non è nemmeno citato. In Francia si
notano elementi contraddittori: la geografia viene
esplicitamente sviluppata nelle sue connessioni europee,
ma due noti manuali descrivono il paese come “una
potenza europea e mondiale”, che “è
presente in tutto il mondo” e “gode di
un ruolo importante dal punto di vista politico, economico
e culturale”, che ne fa “una delle potenze
del pianeta”. Queste tracce di nazionalismo
scompaiono invece nei due paesi più europeisti
degli ultimi anni, Germania e Italia. Per la prima
vale la considerazione che, senza la partecipazione
all’integrazione europea, non sarebbe stato
possibile realizzare la riunificazione in maniera
così rapida. La caduta del muro è un
po’ il simbolo dell’Europa, tanto che
il manuale francese Hachette, per il volume del XX
secolo, ne porta un’immagine in copertina. I
manuali tedeschi, nel raccontare la nuova Germania
unita, rifuggono persino dalla tentazione di richiamare
l’unificazione imperiale del 1870. I testi italiani,
infine, vengono citati come quelli che descrivono
con più pathos e più completezza l’integrazione
europea. Quello della casa editrice Zanichelli, su
tutti, dedica all’Europa 18 pagine cariche di
forti simboli come il significato della bandiera dell’Ue,
descritta così: “L’azzurro è
il colore del cielo sereno e significa pace”.
Il manuale, che snobba la partecipazione britannica
all’integrazione, conclude il capitolo con una
sezione di educazione civica, nella quale si indica
come compito primario europeo l’educazione politica.
La lettura dei testi italiani conferma l’europeismo
del nostro paese, che è difatti citato spesso
dagli altri manuali stranieri come esempio di nazione
europea.
Lo studio promosso dalla Fondazione Agnelli si è
concentrato sui manuali di educazioni civica, storia
e geografia. I primi sono risultati i meno diffusi,
perché la loro materia viene spesso trattata
nei testi di storia, e i più problematici,
perché ad est il concetto di educazione civica
non è ancora ben definito. Anche qui però
gli autori della ricerca segnalano la peculiarità
europeista dei manuali italiani, con il testo della
Loescher che dedica tanto spazio alla descrizione
delle istituzioni politiche italiane quanto a quelle
dell’Ue. I manuali di storia, quasi sempre organizzati
in forma cronologica, si concentrano essenzialmente
su tre momenti centrali dello sviluppo dell’Europa:
il medioevo, il Rinascimento e soprattutto gli ultimi
cinquant’anni dell’integrazione. Quelli
di geografia, infine, si dividono per il tipo di struttura,
nel senso che alcuni trattano la materia per temi
ed altri continente per continente, partendo dal nostro.
Le tematiche che con più attenzione vengono
trattate negli ultimi anni sono le regioni (specialmente
nei testi spagnoli e tedeschi), la multiculturalità,
l’immigrazione, la globalizzazione e l’islam
(visto quasi come minaccia da un manuale spagnolo,
che su dieci immagini di commento ne porta sei di
scontri e guerre).
Nell’introduzione al volume Falk Pingel, vicedirettore
dell’Istituto Georg Eckert, ricorda come una
delle funzioni principali dell’educazione storico-politica
sia “far prendere coscienza delle proprie radici
storiche e del dovere di porsi compiti in comune come
scopo delle azioni future”. Pingel lamenta da
un lato che l’educazione non sia stata finora
tra le priorità dell’Unione, ma dall’altro
ammette che le istituzioni dell’Ue difficilmente
potrebbero andare oltre un semplice stimolare il discorso
senza rischiare di finire col “prescrivere o
dettare in modo burocratico lo spirito di unità”.
La Commissione europea ha formulato una serie di programmi
educativi, ma inerenti solo lo scambio di studenti
e insegnanti tra scuole e università degli
stati membri, o la documentazione dei diversi sistemi
educativi. Con l’articolo 128 del Trattato di
Maastricht, però, alla Commissione viene anche
riconosciuto il mandato di rafforzare la coscienza
dei legami culturali, con un esplicito riferimento
alla storia europea. Il Consiglio d’Europa ha
invece attivato un gruppo di lavoro incaricato di
rilevare il quadro generale dell’insegnamento
dell’educazione civica e di discuterne i metodi
innovativi.
Falk Pingel, nel suo intervento, consiglia agli storici
e agli insegnanti di sottolineare le analogie tra
i paesi europei (e concretamente tra gli stessi giovani
europei), di limitare lo spazio della storia nazionale,
di saper parlare delle guerre senza suscitare né
rafforzare negli alunni l’odio nei confronti
del “nemico”, di spiegare i vari momenti
che portano alle dittature, di evitare semplificazioni
del tipo “buono-cattivo”, di approfondire
il tema dei diritti umani, di stimolare gli studenti
a riflettere su come si possa ottenere e mantenere
la pace. Il professore francese Charles-Olivier Carbonell,
in un saggio del volume, invita alla scrittura di
una storia europea dell’Europa, in cui si dovrebbe
“liberare il tronco comune delle memorie europee,
sfrondarlo delle memorie nazionaliste, e di fatto
stataliste, infittitesi al punto da fargli ombra”;
adottare come criterio di delimitazione spaziale la
storia e non la geografia, perché “è
europeo ciò che appartiene all’Europa
in quanto civiltà, non ciò che si colloca
nell’Europa in quanto continente”; scegliere
un punto di vista lontano, “Samarcanda, Timbuctù
o il Messico, perché ‘Da lontano –
ha detto Denis de Ruogemont – l’Europa
è evidente’”. Più che suggerire
ed alimentare il dibattito sulla storia e l’educazione
politica europea, l’abbiamo visto, le istituzioni
dell’Unione non potranno fare. Sarà compito
degli storici e degli insegnanti far scoprire ai giovani
studenti il loro essere cittadini dell’Europa.
Sarà anche loro il compito, una volta fatta
l’Europa, di fare finalmente gli Europei.
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