Sono diversi secoli che in Europa (e dintorni: dalla
Russia all’America), quando le cose si mettono
male, non si capisce più dove buttano, cosa
sta succedendo, si tende a dar la colpa agli ebrei
(o comunque all’altro, al diverso, allo straniero,
all’immigrato). Succede nei momenti di maggior
confusione, cambiamento e ansietà per il futuro.
E comunque quando sono crollati o si sono indeboliti
i punti di riferimento, s’è fatta piazza
pulita della storia. Quando sulle complessità
della politica e della ragione prevalgono le semplificazioni
della propaganda e dell’oscurantismo, le favole
ancestrali o moderne, la cultura da quiz, telenovela
o rissoso ma vacuo talk show televisivo.
In questo senso è inquietante che quasi il
60 per cento dei rispondenti ad un sondaggio promosso
dalla Commissione europea dichiarino di ritenere Israele
un “pericolo per la pace mondiale” più
di quanto ritengono che lo siano la Corea del Nord,
l’Iran e gli Stati uniti di George W. Bush.
Ma altrettanto inquietanti sono alcune delle reazioni
che ha suscitato. Il ministro “russo”
di Ariel Sharon, Natan Sharansky non ha dubbi: “dar
colpa agli ebrei per i guai del mondo” è
“un’ulteriore prova che dietro la critica
‘politica’ di Israele c’è
il puro antisemitismo”, l’Europa “farebbe
meglio a porre un freno al lavaggio dei cervelli e
alla demonizzazione di Israele prima che la situazione
si deteriori nuovamente in direzione dei capitoli
più oscuri del suo passato”. Non gli
fa senso che tra chi ora in Europa lo applaude ci
siano anche quelli che hanno l’Olocausto nel
Dna politico.
Altri,
nello stesso governo israeliano, propendono per una
diagnosi più complessa, tendono a dare una
lettura più “politica”, collegano
gli umori all’asprezza della politica di questo
governo israeliano, notano che il 95% degli incidenti
di antisemitismo in Europa lo scorso anno avevano
coinvolto immigrati islamici (ad avvertire recentemente
che le tattiche usate contro i palestinesi rischiano
di rivelarsi “contrarie ai nostri interessi
strategici”, di fargli “esplodere in faccia”
odio e terrorismo anziché combatterli, era
stato niente meno che l’attuale capo di Stato
maggiore israeliano, il generale Moshe Yaalon). L’ex
capo della diplomazia israeliana Alon Liel è
andato oltre e ha suggerito che sarebbe più
saggio chiedersi perché tanti europei la pensino
a quel modo: “Davvero ci odiano, o sono davvero
allarmati? La nostra predilezione è tirare
in ballo l’antisemitismo, ma probabilmente in
questo caso è fuori posto”. Persino un
commento sul Jerusalem Post, molto schierato sulla
linea dura di Sharon, nota che “definire antisemita
chi ritiene che le politiche dell’attuale governo
israeliano siano un pericolo per la pace è
uno spregevole svilimento del termine antisemitismo”.
L’antisemitismo vero, quello di cui è
lastricata la strada per l’inferno di Auschwitz,
nasce dall’ignoranza e dalle semplificazioni.
Prospera quando saltano le bussole. Nella storia d’Europa
è esploso nei momenti di più acuto malessere,
quando si annebbiavano le prospettive e mancavano
modi per capacitarsi di quel che stava succedendo.
C’è chi ha osservato che ritorna in molte
forme (di cui indubbiamente una è l’avversione
bigotta agli immigrati), proprio nel momento in cui
il vecchio continente è in una difficile fase
di transizione, dall’era della guerra fredda
in cui l’Europa occidentale era tutt’uno
con gli Stati uniti, a qualcosa che nessuno sa se
potranno essere i futuri “Stati uniti d’Europa”.
In America, ebbe la sua più acuta espressione
nel vecchio Henry Ford, il protagonista dell’innovazione
che avrebbe segnato l’intero secolo: la catena
di montaggio. Era convinto che gli ebrei fossero il
male della terra, avessero scatenato la prima guerra
mondiale, si stessero impadronendo della politica
americana, di Wall Street e della Federal Reserve,
di Hollywood e persino del football. Lo scrisse e
divenne il maestro di Hitler.
In Russia risale a molto prima che Vadimir Putin
lo rispolverasse, nelle lotte di potere al Cremlino,
per montare sull’avversione popolare agli “oligarchi”
(additati come quasi tutti ebrei). Ci si è
rimesso persino il vate Aleksandr Solzhenitsyn, fresco
autore di Dvesty let vmeste, 1795-1995, in
cui vorrebbe spiegare il perché della difficile
convivenza tra russi ed ebrei negli ultimi “duecento
anni insieme”. Già nel suo interminabile
romanzo storico La ruota rossa i cattivi
erano immancabilmente gli ebrei. Forse c’è
un filo rosso tra le teorie (ricorrenti: c’è
un boom dei falsi Protocolli di Sion su internet)
del complotto ebraico per cui ebrei erano i capitalisti
e i rivoluzionari comunisti, ebrei o condizionati
dagli ebrei sarebbero stati Roosevelt e Churchill,
oltre a Rockefeller, e l’idea che la politica
estera di Bush (come un tempo si diceva della politica
dell’impero britannico) sarebbe determinata
da una “cabala” di ebrei e da Israele.
Queste sono sciocchezze davvero pericolose. E non
ha scusanti che, con le bussole rotte, possano attecchire
anche “a sinistra”.
Ma altrettanto inescusabile è che si tenda
a tacciare di “antisemitismo” qualsiasi
critica all’attuale politica israeliana (come
di “antiamericanismo” qualsiasi dubbio
sull’attuale politica della Casa bianca). Antisemita
l’ex presidente della Knesset israeliana Avraham
Burg (sette generazioni a Hebron, metà famiglia
massacrata dagli arabi, l’altra metà
salvata da un arabo) che scrive: “Dopo duemila
anni di lotta per la sopravvivenza la realtà
di Israele è uno stato coloniale, governato
da una cricca corrotta che si fa beffe della legge
e della morale civica”? Antisemita Tony Judt,
ebreo britannico e professore di storia a New York,
che annuncia che “la novità deprimente
è che oggi in Israele non stanno bene gli ebrei”,
sostiene che “lo stato ebraico è un anacronismo”,
e propone, controcorrente, un unico Stato binazionale?
Antisemita l’economista ebreo Paul Krugman,
quasi linciato perché in una delle sue column
sul New York Times si è azzardato a sostenere
che le dichiarazioni del premier uscente malese Mahathir
Mohamad (“Gli europei hanno ucciso 6 milioni
di ebrei su 12. Ma oggi sono gli ebrei a governare
per procura il mondo”) sono inaccettabili, ma
bisogna cercare di capire perché si sia messo
a dire cose del genere e che parte ne abbia la politica
di Bush? Si può essere d’accordo con
loro o no. Si può contestarne le argomentazioni.
Ma non dargli dell’antisemita. E non solo perché
sono ebrei. Perché l’antisemitismo, quello
vero, è sempre stato legato al semplificare
– per fini ignobili - il mondo che diviene più
difficile a capire, non a interrogarsi sulle sue complessità.
Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti
da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it