“Un anello per domarli tutti, un anello
per trovarli, un anello per ghermirli e nell'oscurità
incatenarli”. Potrebbe essere una buona
sintesi riprendere la più celebre delle frasi
del romanzo di Tolkien per celebrare la nascita di
un soggetto partitico unitario in una delle due coalizioni
politiche italiane. Un partito per domarli tutti?
La frammentazione dell’offerta nel centrosinistra,
lungi dall’essere elemento virtuoso sul modello
gauche plurielle, è in lenta ma progressiva
fase di ricomposizione, prima con la Margherita (tre
in uno), poi con il Partito democratico (due
in uno), e come auspicio anche con la costruzione
del partito della sinistra radicale (e pluribus
unum?). Una riduzione più che di ideologie
ormai ampiamente secolarizzate, di apparati oligarchici,
orfani e ultimi epigoni della stagione dei partiti
del novecento, con enormi burocrazie articolate sul
territorio anche se capaci – un tempo - di essere
soggetti popolari, di massa.
Il rapido e traumatico scongelamento del sistema
politico italiano, il crollo della Prima Repubblica,
ad opera degli elettori tarda a “essere nuovamente
congelato” con un’offerta politica stabile
da parte dei partiti, e fa della Seconda Repubblica,
almeno fino alle Europee 2004, più i titoli
di coda della Prima che l’avvio di una nuova
fase storica. Le fratture che avevano strutturato
la politica del novecento, e in particolare i cleavage
tradizionali stato/chiesa e capitale/lavoro,
hanno una minore presa nello strutturare il campo
(oggi non esiste un voto cattolico polarizzato come
descrive bene Segatti in riferimento al voto 2006),
e altre sono le variabili che si aggiungono nel determinare
il voto (territori, età, esposizione ai mass
media, titolo di studio). L’Italia e non solo
si trasforma e il famoso ceto medio (uno dei frutti
positivo della stagione scudocrociata) si erode tra
chi (pochi) salgono e chi scende o teme di scendere.
I nuovi ceti popolari scrivono Magatti e De Benedittis,
sono “fluidi, diversificati, politicamente
e socialmente invisibili, e fra essi è in atto
una “subordinazione invisibile” che sostituisce
il conflitto sociale con un diffuso senso di insicurezza
e un mix di pragmatismo e conservatorismo valoriale”.
Una sintesi condivisa da molti dei recenti rapporti
e studi, che fotografa l’effetto di un ciclo
economico e sociale di tipo europeo (e non solo),
non imputabile alla politica economica di un governo
nazionale. Se la società cambia i partiti cosa
fanno?
Dopo una lunga stagione dove le elite dei partiti
rappresentavano la guida di processi sociali di integrazione
o di trasformazione, da molti anni ormai accade l’inverso,
sono i cittadini la tète de la course e
i partiti i poursuivant. Da qui i fenomeni
ciclici di antipartisitmo e antipolitica degli anni
novanta (introdotti dagli albori leghisti), di interessi
in libera uscita che si autorappresentano, di società
civile contro i partiti, di movimenti che sfidano
la rappresentanza, di cittadini che partecipano e
si informano oltre i partiti, senza i partiti. Fenomeni
spesso scomposti, fluidi, contraddittori, intercettati
da grandi speranze e da altrettanto grandi illusioni,
da primavere di rinascita e dal Grande Imprenditore
dell’Antipoliica Berlusconi Un partito per
ghermirli e nell’oscurità incatenarli?
Il Partito Democratico dovrà procedere per
prima cosa ricucendo la distanza creatasi in questi
lunghi anni tra elettori e partiti, senza ghermirli
con vane promesse di una improbabile nouvelle
vague della partecipazione politica nei luoghi
della militanza tradizionale. Il partito in fieri
non dovrà imbrigliare gli elettori cercando
di rispolverare l’antidoto dell’ideologia
per sanare la perdita (o la mancanza) di legittimazione
delle elite, antico problema affrontato fin dai tempi
della legge ferrea delle oligarchie da Roberto Michels.
“Il Partito che già c’è
senza volerlo ammettere”, dovrà
far tesoro della fine dell’era glaciale del
novecento (pensateci guerra fredda, sistemi congelati,
ecc), e dovrà essere consapevole che la fine
dei dinosauri-partiti se non chiama ad una completa
palingenesi altrettanto non ammette restaurazioni.
Il Pd apre un cantiere in cui non sarà sufficiente
cooptare i vertici della società civile, anche
perché spesso fra partiti e società
civile si colloca un terzo incomodo, la società
tout court, senza aggettivi ma non senza
peso politico. Il cammino verso il ritorno del
re (i partiti) non potrà quindi essere
il ritorno del vecchio re, il partito di massa, e
non potrà eludere il confronto con il processo
di personalizzazione della politica e ancora di più
con il ruolo della leadership nella politica contemporanea.
La vulgata corrente salottiera vuole i partiti strumenti
vuoti, incapaci di funzione espressiva e identitaria,
arroccati in una proceduralità a cui si accompagna
la sbandata commerciale e pubblicitaria, cardini di
critiche spesso associate ad un nostalgico rimpianto
del come eravamo e alla individuazione del Grande
Male, la spettacolarizzazione della politica. Demonizzare
la leadership è come demonizzare le maree,
e fare affidamento su una“diga del Mose”politica
sembra quanto meno avventato. Al contrario il Partito
democratico sfrutti le virtù della leadership
politica come strumento per superare le secche della
burocratizzazione e della immobilità di oligarchie
partitiche chiuse nello stato e non più intermediarie
tra il cielo e la terra, il potere e la società.
Il nuovo partito si presenti agli elettori senza il
mito del militante, sempre più raro e sempre
meno gratuito nelle proprie motivazioni. Il Pd dovrà
fissare con trasparenza alcuni diritti chiari e precisi
su cui chiedere adesione e per convincere “solo”
rispettarli. Quali? Il popolo dei quattro milioni
di votanti alle primarie non chiede retorica, chiede
poche cose ma concrete. In Europa, e nello spesso
mal compreso sistema americano, si moltiplicano strumenti
di democrazia interna nei partiti quali le primarie
interne (vere, in un partito, e non simulacri di votazione
per quote di coalizione) per selezionare la leadesrhip
di vertice, la possibilità di esprimersi
sulle grandi scelte, e la conoscenza e pubblicità
(nel senso non commerciale) delle attività
del partito. Il professor Vassallo a Orvieto ha suscitato
“le ire funeste del Pelide Achille partiotocratico”,
ma di fatto non ha detto che una massima del buon
senso. “una testa, un voto”, destando
la mai sopita sindrome Gargonza (Chianciano, Gargonza,
ecc, per la buona salute del Pd proviamo a cambiare
set geografico), assai simile ad un “hic manebimus
optime”., dove “hic” sta per
i partiti del vecchio conio . I partiti sono
importanti, solo se sono capaci di guidare il processo
politico e non ne sono ostacolo: fra Biancaneve e
i sette nani forse dovremmo guradre con più
attenzione a Biancaneve e non alle caratteristiche
dei nani, spesso con un “glorioso passato alle
spalle”. Tutto il resto, il bagaglio del passato
fatto di mistica del buon militante devoto e operoso
nelle micro-attività quotidiane, nelle liturgie
di sezione, è, con più o meno rimpianto,
un bel film in bianco e nero, da rivedere ma da cineteca.
Il partito chiesa, casa, scuola, tutore, integratore
e interprete dalla culla alla tomba non serve più
e riproporlo suona come più come invadente
intromissione in una sfera pubblica ri-aperta piuttosto
che come rinascita di partecipazione. Il Partito democratico
è la scommessa di un cammino necessario per
uscire da quel ciclo di crisi quasi ventennale, “la
storia infinita”diremmo con M. Ende, tanto
lento quanto inadeguato nella società dei
5 secondi (il tempo medio che impiega un qualsiasi
motore di ricerca per fornire la risposta ad una ricerca
o del tempo di invio di una mail o di un sms).
Certo non si costruisce un partito nel tempo di uno
spot tv, ma l’innesto di tradizioni, culture,
amicizie, conoscenze maturate nelle istituzioni e
nella società è ormai avvenuto. Quanto
far durare ancora il travaglio? Per altro costruire
il Pd sarà determinante come motore dell’intero
sistema politico italiano, ed è auspicabile
che sia in grado di produrre una sorta di spill
over o, nei termini classici di Duverger negli
anni dei partiti di massa, un nuovo “contagion
from the (center)left”. La nascita del
Pd può innescare (e di fatto già lo
ha fatto) un processo speculare anche nel centro destra,
con il formarsi graduale di un partito conservatore,
unica vera strada per archiviare la grande supplenza
del leader populista alla guida del partito del telecomando,
che pur negli anni novanta ha introdotto, riconosciamolo,
qualche elemento di rottura e novità nella
politica italiana. Dai partiti del leader a partiti
con leader capaci di segnare la rotta, con la
politica che si rimette in moto e non abdica più
a poteri esterni, giudici, imprenditori, banchieri
ecc.
Una raccomandazione finale. Non sono le leggi elettorali
e i sistemi di governo a fare la politica ma, al contrario,
è quest’ultima che ne determina la validità
e l’efficacia. Detto questo il partito in
fieri non potrà non riflettere sulla riforma
di un sistema elettorale (quello attuale è
sciagurato senza se e senza ma) verso un modello maggioritario
a doppio turno e il superamento del tabù della
leadership. Senza paura e con tanti pesi e contrappesi,
il tema della leadership è ormai più
una legittimazione ex post che una rottura istituzionale.
Nei partiti moderni è un dato e non una funesta
profezia che siano i leader la sintesi politica, non
più i quadri di partito, tutto sta nel costruire
percorsi di vera democrazia interna e controllo nella
loro selezione e insieme dei partiti organizzati per
le nuove sfide. Continuare sulla strada della partitocrazia
senza i partiti equivale a far trionfare populismi
antipartitici, con leader più “Masaniello”
che “Mitterand”, più tribuni della
plebe che De Gasperi.
Per tornare alla citazione iniziale, questo è
il tempo in cui sostare nella terra di mezzo
(non ce ne voglia l’amarcord di qualche neocentrista)
equivale a rinunciare alla modernizzazione del nostro
sistema politico, per di più con la prova provata
che Il Pd raccoglie più di quanto semina. Se
pensiamo che in materia elettorale l’aritmetica
non corrisponde mai alla legge ferrea del 1+1=2 e
se valutiamo l’andamento elettorale della lista
unitaria dalle europee in poi, osserviamo che questa
volta l’aritmetica regge e se difetta, di poco,
lo fa per eccesso rispetto alle liste di partito.
Segno che la compagnia del PD dalle primarie in poi
è pronta, e ha forse più coraggio dei
suoi leader.
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