Fin dalla culla siamo attorniati da
oggetti, spesso utili, a volte atti ad appagare il nostro senso estetico, in qualche caso
in grado di svolgere entrambe le funzioni. Proprio l'esigenza di costruire oggetti in
serie ha spinto verso la standardizzazione delle forme e dal XIX secolo si è innescato il
bisogno di rendere gli oggetti sempre più razionali, facendo nascere l'industrial
design. La differenza tra il design e l'artigianato sta proprio nell'esigenza per il
processo industriale di progettare a monte e non nella fase di esecuzione, dove è invece
l'abilità manuale dell'artigiano a conferire la qualità estetica al prodotto. Ma già
agli inizi dell'era industriale la necessità di coniugare la produzione in serie con la
bellezza dell'oggetto conferita dall'intervento dell'uomo, aveva dato l'impulso alla
nascita del movimento inglese di Arts & Craft, fondato da William Morris, che ha
certamente segnato il futuro del design.
Dai primi decenni del nostro secolo il Movimento Moderno nell'architettura e nel design
ha dominato la scena, ponendosi anche lo scopo di elevare l'oggetto a simbolo di progresso
sociale. L'idea di razionale rigore attribuita solitamente a questo movimento ha frenato
lo sviluppo di altri aspetti più creativi e trasgressivi che alcuni designer hanno
comunque ricercato e sperimentato, soprattutto negli ultimi decenni. E' proprio su questi
momenti che la mostra Designed for Delight vuole porre l'accento, quasi in antitesi con il
Modernismo funzionale, quello per intenderci della Bauhaus e dei vari Gropius, Mies Van
der Rhoe e Alvar Alto.
L'esposizione è divisa in quattro sezioni tematiche che sviluppano diversi approcci
alla progettazione di oggetti. La prima, "Il "linguaggio del corpo", mostra
come il corpo umano, soprattutto quello femminile, viene trasformato e spesso trasfigurato
per adattarsi a divenire un oggetto d'uso quotidiano. Questa attività ha esempi molto
antichi: vasi e brocche che si rifanno alle forme umane erano costruiti già da civiltà
antiche di millenni. Alcuni tra gli esempi a noi contemporanei esposti sono le poltrone
antropomorfe create nel 1981-82 da Niki de Saint- Phalle che si rifanno alla cultura
messicana, l'anatomica teiera di Richard Notkin che riproduce perfettamente la forma di
cuore (1989) e le discinte bottiglie di profumo del 1995 di Jean-Paul Gautier.
La seconda sezione, "Inversione e Trasformazione", mostra invece i
rimaneggiamenti subiti dagli oggetti di uso quotidiano, come il prototipo di un servizio
da tè (1938) di Andrea Branzi, le forme sinuose impostate sulle cassettiere Parte 1 e
Parte 2 (1970) di Shiko Kuramata, e la poltrona Bolle (1979) fatta di cartone e
legno da Frank Gehry, l'architetto del museo Guggenheim di Bilbao. Sono esposti anche una
serie di tessuti dove, al posto dei materiali più tradizionali come il cotone, sono state
utilizzate fibre di metalli come l'argento, il rame, l'acciaio e materie plastiche come il
poliestere, trovando spesso l'assenso dei più blasonati stilisti di moda.
La terza sezione pone provocatoriamente la domanda: "L'Ornamento è un
crimine?", alla quale rispondono nelle maniere più disparate molti designer, con
oggetti che vanno dal vaso verde di Hoffman del 1956, al corsetto multicolore (1965) di
Emilio Pucci, fino al mobile Calamobio di Alessandro Mendini, creato nel 1985.
Infine "Voli di Fantasia" racchiude, in un ampio ventaglio, dalle immortali
lampade Tiffany alla infinita serie degli orologi Swacth, come pure il Vestito di edera
di Adelle Lutz indossato da David Byrne, l'ex-cantante dei Talking Heads.
L'esposizione, composta da circa duecento oggetti anche di Picasso, Philippe Stark,
Giacomo Balla, Ettore Sottsass, si può visitare presso le belle sale del Chiostro del
Bramante a Roma fino al 21 novembre. Questa raccolta proviene dal Musée des Arts
Décoratif di Montreal, il primo museo canadese dedicato esclusivamente al design, uno dei
maggiori al mondo, mentre l'allestimento è opera di Gianni Mercurio. Nel catalogo, curato
da Martin Eidelgerg, edito da Flammarion, le immagini degli oggetti in mostra invece di
essere corredate da schede tecniche sono accompagnate da testi scritti anche degli stessi
creatori.
Bisogna purtroppo notare qualche assenza non perdonabile, come quella di Bruno Munari:
non c'era proprio spazio per lui? A parziale compensazione, su questo artista totale morto
di recente dopo una lunga vita interamente dedicata a indagare le possibilità della
creatività umana, da pochi giorni si è chiusa una mostra a Gorizia, mentre un'antologica
si è aperta il 24 ottobre presso la fondazione Bandera dell'Arte a Busto Arsizio.
Se Designed for Delight vuole racchiudere buona parte della produzione del secolo che
si sta concludendo, al Victoria and Albert Museum di Londra si guarda al futuro con una
mostra che analizza il ruolo che il design avrà nell'era digitale.