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Degas in Toscana

 

Consolato Paolo Latella

 

 

Tra i grandi eventi espositivi di fine secolo non sarà certo menzionata "In Toscana, dopo Degas. Dal sogno medievale alla città moderna", presentata nella Villa il Poggio a Crespina in provincia di Pisa fino al 24 ottobre 1999. E allora perché parlarne? Perché ci vuole un po’ di coraggio nel cercare di educare il pubblico a non fermarsi sempre sugli stessi temi e artisti, soprattutto se si parla dell'Ottocento, quasi completamente adombrato dalla gonfiata mole degli impressionisti francesi. Questa mostra fa parte invece di una politica espositiva portata avanti dal direttore della Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze, Carlo Sisi, da alcuni anni impegnato a far conoscere aspetti poco noti dell'arte dell'Ottocento italiano.

Edgar Degas (Parigi 1834-1917) è una figura particolare nel panorama dell'arte della seconda metà dell'800, poiché riesce a conciliare il passato ed il presente, è un innovatore eppure ha ben chiara la lezione dei grandi dei secoli precedenti. Appena sfiorato dall'Impressionismo, la sua pittura segue un'altra linea, è il frutto di elaborazioni e non di veloci impressioni: "Nessuna arte è meno spontanea della mia. Quel che faccio è il risultato della riflessione e dello studio sui grandi maestri."

Come molti suoi compatrioti Degas viaggiò in Italia più volte, grazie anche alla disponibilità finanziaria della famiglia, visitando Perugia, Assisi, Orvieto, Viterbo, Arezzo, Firenze, Napoli. A differenza degli altri creò e mantenne numerosi rapporti non solo con gli artisti ma anche con famiglie a cui era legato da antichi rapporti di parentela: il padre, ricco banchiere, era infatti nato a Napoli. In modo particolare la sua permanenza a Firenze nel giugno del 1858 gli permise di dedicarsi moltissimo alla copia delle opere conservate nei musei fiorentini, folgorato dal "culto dei primitivi", come erano definiti i pittori italiani del Quattrocento.

In quel periodo Degas dipingeva soggetti storici con un cromatismo vivace e un po’ neo-veneto e una base disegnativa, incentivando le tendenze dei giovani pittori toscani, in particolare le composizioni storiche di Stefano Ussi, gli esordi accademici di Giovanni Fattori e i temi medievaleggianti di Cristiano Banti. Bisogna aggiungere Abbati, Sernesi, Cabianca, Borriani e Lega, pittori che ravvivarono nel corso degli anni Sessanta il genere della pittura di storia nei temi e nel cromatismo, e Boldini e Gordiani che idearono una ricetta di sofisticata mondanità, dove l'inclinazione degasiana era certo una componente importante, nel ritratto.

Questa è stata la prima fase dell'apporto all'arte toscana del pittore francese, così delineata da Diego Martelli, scrittore e critico d'arte, nonché nume tutelare dei Macchiaioli, in una famosa conferenza nel 1879 in cui Martelli presentò le novità degli impressionisti. La seconda fase, sempre secondo il critico, vede il pittore parigino coinvolto dal "palpito della vita attuale", in cui gli interessi sono concentrati sul movimento, sui giochi di luci, sugli ambienti del cafè concert (le famose ballerine) e sugli ippodromi, ma dove non è dimenticata la traccia disegnativa degli antichi maestri. Questi temi, sono i suoi dipinti più conosciuti, furono introdotti in Toscana dalle opere di Federico Zandomeneghi, intimo amico di Degas. I soggetti cittadini ed i ritratti ambientali negli anni settanta e ottanta saranno parte della produzione di Telemaco Signorini, del quale Degas ammirò molto "La sala delle agitate", ma anche di Enrico Banti, Ruggero Panerai e Francesco e Luigi Gioli.

Molto più diluita risulta, anche secondo questa mostra, l'influenza del francese su Alessandro Franchi e Angiolo Visconti (allievi del senese Luigi Mussini, maestro del rigoroso purismo ed intenso ammiratore di Ingres), i quali durante il loro soggiorno di studi a Roma conobbero i borsisti francesi dell'Accademia di Francia a Villa Medici ed il giovane Degas e cominciarono a ribellarsi agli insegnamenti ricevuti a Siena.

Può sembrare una contraddizione, quella di tuonare prima contro le esposizioni senza anima o sempre con gli stessi temi, e poi recensire una mostra in cui il riferimento centrale è proprio uno degli artisti più noti, Degas appunto. Ma la storia dell'arte è fatta anche di episodi, rapporti umani, confronti di pensieri, e il catalogo narra proprio molti fatti della vita relativi alla cerchia di pittori toscani che a vario titolo furono in contatto o influenzati da Degas. Inusuale è il linguaggio, piano e narrativo, adottato nei vari saggi che compongono il catalogo edito da Bandetti e Vivaldi di Livorno, che contiene scritti di Giuliano Matteucci, Francesca Cagianelli, Ilaria Ciseri ed Elena Lazzarini, i quali dipingono un ricco affresco dell'ambiente artistico che ruotava attorno al Caffè Michelangelo di Firenze.

Questa esposizione può essere un'occasione per coniugare il sempre maggiore interesse verso l'enogastronomia, di cui la Toscana è indubbiamente una punta, con la visita a una mostra che non vuole "impressionare" con capolavori assoluti né allestimenti fantasmagorici, ma più onestamente condurre a osservare dipinti e scoprire dettagli poco conosciuti della storia dell'arte. Che sia questa la vera missione delle esposizioni?

 


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