Cosa unisce questi tre
giganti dell'arte russa? Apparentemente possono sembrare molto distanti, ma la terra che
li ha generati ha lasciato in ognuno di loro un segno indelebile: la spiritualità della
"grande madre Russia", terra a cavallo tra Oriente ed Occidente, terra quindi di
confronti e scontri tra uomini, idee e religioni, che non ha mai smesso di essere percorsa
da fremiti che spesso esplodono con fragore, come oggi sempre più spesso riportano le
cronache dalla ex Unione Sovietica, e che la coltre del comunismo aveva solo narcotizzato.
Anche nel periodo dei primi decenni del Novecento, che ha visto
Kandinski, Chagall e Malevich prepotenti innovatori del linguaggio artistico, sono
avvenuti mutamenti profondi e fondamentali avvenimenti: la Prima Guerra Mondiale, la
vittoria della rivoluzione bolscevica, l'affermazione della psicoanalisi. Nell'ambito
artistico si andavano sconvolgendo le fondamenta della musica, del teatro, del balletto,
della letteratura. In questa rivoluzione molta parte ebbero gli artisti russi.
Vasilij Vasil'evi? Kandinskij (1866-1944), che ha diviso la sua vita
tra la Russia e l'Occidente, è stato universalmente riconosciuto come il padre
dell'astrattismo lirico. Autore nel 1911 de "La spiritualità dell'arte",
teorizzò il superamento della forma verso l'astrazione fornendo un nuovo vocabolario
all'espressione artistica, privilegiando i fenomeni vitali e valorizzando
l'improvvisazione soggettiva come mai nessuno aveva provato.
"Sogno, incanto, amarezza pervadono un mondo capace di tradizioni
ebraiche e antiche fole russe, un Oriente che turba e affascina", così Giorgio
Cortenova, curatore della mostra assieme a Evgenija Petrova, indica l'universo dove vivono
le opere di Marc Zacharivi? Chagall (1887-1985), protagonista di quest'area spirituale
neoprimitiva dove dietro il fiabesco si cela spesso l'inquietudine di un fato terribile ed
implacabile, davanti al quale l'umanità resta indifesa.
La purezza assoluta delle forme per Kazimir Severinovi? Malevi?
(1878-1935) è sacra: "creare opere che non possono essere utilizzabili né in senso
pratico né in senso estetico. La nuova attività dell'arte dovrebbe consistere nel
rilevare la realtà cosmica". Così lo stesso Malevich scriveva del Suprematismo,
movimento artistico di cui fu il principale riferimento, reclamando la conoscenza pura del
mondo e subordinando la tela e i colori al livello di comunicazione spirituale, come
accade in "Quadro nero" (1923 circa).
Attorno a questi tre artisti ruota la mostra Kandinski, Chagall,
Malevich e lo spiritualismo russo, aperta fino al 15 gennaio del 2000 presso Palazzo Forti
a Verona (catalogo Electa) e dove sono esposte 115 opere di artisti russi eseguite nei
primi 30 anni del secolo, provenienti dalle collezioni del Museo Statale Russo di S.
Pietroburgo.
E' difficile venire a capo del tema della mostra poiché molto sottile
è il filo che dovrebbe unire tra loro i tre artisti principali. Inoltre è proprio il
concetto di spiritualità a non essere di agevole definizione, soprattutto in riferimento
ai primi decenni del novecento, quando tutta l'Europa era percorsa da correnti molto
attive e che a vario titolo si possono inquadrare come spirituali. Kandinski, Chagall e
Malevich, pur avendo una comune matrice "russa", seguono strade diverse per
presupposti e risultati.
Anche il raggruppare intorno a questi tre artisti altri pittori russi
non è sempre fonte di chiarezza, anzi. Molti di loro, meno coerentemente rispetto ai
maestri, hanno spesso mutato i riferimenti. Ricondurli sotto un comune denominatore così
preciso non rende agevolmente intelligibile la personalità di ciascuno di essi.
Possono comunque ammirarsi in questa esposizione le opere di artisti
meno noti, ma di grande talento, tra le quali emergono in particolare alcuni ritratti,
come "Autoritratto" (1911), caricato di una forte drammatizzazione, di Nathan
Altman (1889-1970), la cui formazione si divise tra la Russia e Parigi e che fu anche
grafico, scenografo teatrale e illustratore di libri. Oppure "In campagna"
(1918), di Boris Grigoriev (1886-1939), con l'attrazione magnetica del volto dellla
protagosnista che obbliga a fissare i suoi occhi indagatori, o "Fanciulla di
Pskov" (1932-4), di Anna Leporskaya (1900-1982), la più giovane tra le molte artiste
presenti nella mostra e che esprime in forme meno radicali la lezione di Malevich.
Così in questa occasione viene presentato un panorama vario ed
interessante, ricco di spunti e di suggestioni, dove restano sempre bellissimi da guardare
gli oli di Kandinski, i sogni di Chagall, e a chi piace il rigore di
Malevich.