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La premiata ditta Gianlorenzo Bernini

 

Consolato Paolo Latella

 


Chiunque abbia visitato Roma ha conosciuto ed è stato sicuramente coinvolto dalle molte opere che Gian Lorenzo Bernini ha lasciato in questa città, plasmandone l'immagine come per una statua. Pensate un po’ che gli unici altri interventi urbanistici eseguiti nel centro storico dopo i suoi, sono stati i quartieri costruiti dai Savoia per la burocrazia della nuova nazione, la costruzione del Vittoriano e gli sventramenti fatti durante il fascismo.

A decine si sono susseguite negli ultimi venti anni le mostre che hanno avuto come protagonista questo genio. Ce n'era bisogno di un'altra? La risposta, vedendo "Gian Lorenzo Bernini. Regista del barocco" in Palazzo Venezia a Roma, è: si. La struttura della mostra – già presente in "Bernini in Vaticano" del 1981 – pone l'accento su temi già conosciuti, come i numerosi autoritratti, i busti che ritraggono i "potenti" della Roma papalina, sulla progettualità architettonica, ma anche, e soprattutto, sugli aspetti poco conosciuti, quali gli arredi, la pittura e gli apparati per le feste. "Una sorta di labirinto dal quale si dipanano tanti fili d'Arianna per ritrovare i momenti veri della mostra del Bernini: che si chiama Roma", così Maurizio Fagiolo dell'Arco, curatore della mostra, ne svela l'impianto. Ma andiamo per ordine. Bernini, figlio d'arte, inizia lavorando nella bottega del padre – Pietro – anch'egli scultore e di una certa fama. Gli esordi sono di puro stampo virtuosistico, ripercorrendo il tracciato della scultura, da quella classica a quella di Michelangelo, fino al tardo manierismo del '500, ma con una impareggiabile cifra: il talento eccezionale. Dopo lo splendente avvio Bernini dilaga, e lungo, e forse inutile, sarebbe l'elenco delle opere e dei successi raggiunti nel suo secolo del quale riesce ad essere il migliore interprete. Meno ozioso potrebbe essere, invece, fermarsi su aspetti poco noti, per esempio gli interventi sui mezzi per la diffusione delle idee - i mass-media dell'epoca - come i libri, di cui disegnò le illustrazioni e le antiporte (quasi una copertina illustrata), o le medaglie, importanti fonti di propaganda o i progetti di apparati scenografici per feste ed anniversari – che rappresentavano il vero tessuto connettivo del Barocco - che proprio nel '600 raggiungono vertici di fasto e di ricchezza insuperabili. Qui Gian Lorenzo libera la più sfrenata fantasia, non solo dando fondo al suo repertorio di scultore, ma creando apparati sfolgoranti di fuochi, fiamme e addirittura automi (il diavolo, l'elefante) semoventi.

Altro aspetto poco conosciuto è la creazione di mobili, arredi e oggetti, dei quali purtroppo ci sono giunti pochi esemplari, ma che il curatore di questa sezione, Alvar Gonzáles-Palacios, ha ricostruito documentandolo attraverso l'impronta significativa che l'artista ha lasciato nello stile dell'epoca. Impressionante è il materiale raccolto riconducibile in qualche modo al Bernini: tavoli, cornici, porta candele, carrozze, arredi e abiti sacri. In tutti questi oggetti l'esuberanza delle soluzioni si basa su due principi - l'antichità e la natura. L'enfatizzazione della natura, il voler stupire pur cercando in qualche modo di seguire le regole classiche, ma rivestendole di un tripudio di fiori, di fiamme e di tutto ciò che la natura poteva offrire e accostandole senza che mai sembrino pesanti, ottiene comunque risultati che, nonostante tutto, sono ammantati di leggerezza, qualità secondo Alvar Gonzáles-Palacios, non facile da trovare.

Il Bernini pittore - però con ampi interventi di collaboratori – come spesso si firmava e come molti suoi biografi lo indicavano, è un altro aspetto da scoprire. Attualmente sono solo una ventina circa, compresi cinque autoritratti, i dipinti a lui ascrivibili, ma Baldinucci, autore di una sua biografia nel 1682, ne indica più di centocinquanta. Spiccano tra quelli esposti "Il martirio di S. Maurizio" dipinto assieme a Carlo Pellegrini, suo collaboratore e pupillo, un intenso ritratto di un apostolo, forse S. Paolo, definito con poche pennellate, e "Il Sanguis Christi" di chiara impronta surrealista, su disegno di Bernini, e da cui sono state tratte molte copie. Ci sono poi i più famosi autoritratti, dove narcisisticamente l'artista si riproduce con l'occhio inquieto ed indagatore di chi senza sosta vuole segnare il suo tempo.

Non si può proprio dimenticare il carattere distintivo lasciato nei busti di papi, cardinali e potenti vari: due su tutti ci danno l'enorme raggio espressivo, quello trionfante di Francesco I d’Este e l'altro, autobiografico, di Costanza Bonarelli con la quale ebbe una burrascosa storia d'amore.

E' doveroso almeno accennare alla teatralità negli interventi architettonici, un misto tra natura ed artificio di cui è vero regista e che non è possibile certo risolvere in poche righe: ad esempio ricordiamo il cielo agitato dagli angeli sul ponte di Castel Sant'Angelo.

Le immagini a corredo dell'articolo – tratte dal catalogo Skira – vogliono mostrare proprio gli aspetti poco o per niente noti di una delle figure più celebrate dell'arte di tutti i tempi.

In tutte le attività Bernini è stato affiancato da uno stuolo di allievi e collaboratori specializzati nelle varie tecniche ed un merito dell'esposizione romana è di mettere in luce proprio questo non secondario aspetto, una delle fonti principali della diffusione dello stile della "premiata ditta Gian Lorenzo Bernini".

 


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