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Mostre/A cena con Leonardo

 

Consolato Paolo Latella

 


"Sanza lettere" così si definiva con modestia e ironia Leonardo da Vinci (1457-1519) artista poliedrico, pittore, scultore, architetto, grande disegnatore, scienziato che ha studiato quasi tutto lo scibile umano, dal volo degli uccelli al moto delle acque, inventore dei più svariati strumenti - una tra tutte la bicicletta - e, infine, scrittore di novelle, profezie e aforismi: "Lussuria è causa della generazione. Gola è mantenimento della vita". In tutta questa frenetica attività è riuscito anche ad essere l’autore de "L’Ultima Cena", dipinta sul muro di fondo del refettorio di S. Maria delle Grazie a Milano tra il 1495 e il 1497 con una tecnica più adatta a dipingere su tela che da muro. Ha usato infatti colori a tempera e olio direttamente sul muro invece che la più consolidata tecnica dell'affresco, cioè dipingendo su una preparazione a base di calce fresca stesa sul muro. La tecnica adottata, abbastanza diffusa a quei tempi nell’Italia settentrionale, fu preferita da Leonardo per potere dedicare più tempo alla cura dei particolari, cosa che con l’affresco non era possibile. Ma proprio questa scelta è una delle fonti dei problemi di conservazione che hanno aggredito molto presto l’opera.

L’immancabile Giorgio Vasari definisce il Cenacolo "cosa bellissima e maravigliosa" e molti ne sono i motivi: la formidabile scenografia che segue l'indicazione che Gesù diede agli Apostoli - "…una grande sala con dei tappeti" (Marco 14,15) - l’utilizzazione di una prospettiva accelerata che prolunga e completa l’architettura della sala, i contrappunti creati con i colori (che ora si possono perlomeno percepire mentre prima si potevano tutto al più immaginare, anche a causa delle pesanti ridipinture), il moto delle anime che si percepisce attraverso il fremito convulso che coglie gli Apostoli all’annuncio di Gesù "…uno di voi mi tradirà".

La cena più famosa - in realtà un pasto frugale composto di pane azzimo e vino che si consuma durante la Pasqua ebraica - ora riemersa, si può ammirare grazie alla accuratezza che il pittore ha profuso nel creare la prima grande natura morta della pittura italiana, che non poteva essere eseguita da altri se non da un’attento osservatore della natura, come era Leonardo.

I problemi affrontati per il restauro sono stati enormi e la grande cautela usata mettendo mano a tale capolavoro è stato il minimo che si potesse fare. I nemici da combattere erano molti e complessi: l’umidità che da secoli attaccava la struttura stessa del dipinto, i sali che distruggevano i colori, le molte ridipinture e restauri che nei secoli hanno cercato di coprire i guasti senza però poter risolvere i gravi problemi. Chi ha diretto questo estenuante lavoro durato ventuno anni, la restauratrice Pinin Brambilla Parcilon, è riuscita a sopravvivere a l'immane compito, così come anche ha resistito strenuamente la Olivetti, sponsor dell’impresa. Certo non è rimasto molto dell’opera originale ma in ogni modo è abbastanza per definire questo recupero una resurrezione.

I restauri di celebri opere d’arte hanno molte volte rivoluzionato l’idea che si aveva dell’autore, basti ricordare il clamore suscitato dalla Cappella Sistina di Michelangelo, e spesso hanno avuto uno strascico polemico che anche in questo caso non è mancato. Ma poteva andare diversamente? Jacques Franck, specialista francese di Leonardo e consulente permanente per gli studi leonardiani dell’Università di California a Los Angels (UCLA) afferma: "Per ritrovare i frammenti più affidabili della pittura originale, si è disperso la gran parte delle ridipinture storiche che davano all’opera la sua coerenza visuale". Gli fa eco l’immancabile americano James Beck, professore alla Columbia University e presidente de ArtWatch International: "Niente a che vedere con un restauro, ma con una ricostruzione o piuttosto una reinterpretazione". Si confrontano ancora una volta due concezioni del restauro quella anglosassone e quella italiana "Noi preferiamo mettere l’accento su l’unità potenziale dell’opera – sostiene Giuseppe Basile dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma – gli inglesi e gli americani insistono sull’unità fisica dell’opera". Chi ha ragione? Certo bisogna considerare che la scuola italiana ha da sempre la possibilità di lavorare direttamente su un numero molto alto d’interventi – perlomeno sugli affreschi – e quindi ha consolidato una esperienza più vasta e, senza ombra di sciovinismo, unica al mondo, per tanto...

Ora per ammirare "L’Ultima cena" si dovrà obbligatoriamente prenotare la visita – al numero telefonico 199199100 – i gruppi potranno essere composti al massimo di venticinque persone, la durata è di soli quindici minuti al costo di dodicimila Lire - in percentuale costa quasi come un palco alla Scala per un’opera lirica - e si dovrà seguire un percorso prestabilito in cui sono disposti filtri per evitare ulteriori danni dovuti all’umidità e alla polvere.

Per approfondire l’argomento la casa editrice Electa ha pubblicato un volume fondamentale "L'Ultima Cena" (pagg. 420, 382 ill. a colori, L. 250.000), curato dalla direttrice dei restauri Pinin Brambilla Parcilon e da P. C. Marani, funzionario che ha studiato a lungo il Cenacolo, dove sono anche riprodotte immagini in scala 1:1. Sempre la casa editrice Electa ha pubblicato una più agile guida per meglio apprezzare questa che si può definire "icona dell'umanità".

 


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