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La primavera dell’Ottocento: quattro mostre di pittori italiani

 

Consolato Paolo Latella

 


Il nostro Ottocento artistico è stato rivalutato solo di recente, dopo un lungo periodo di immeritato discredito rispetto alle scuole artistiche europee che da sempre hanno avuto una maggiore e più organizzata valorizzazione. Ma le molte esposizioni dedicate all’arte italiana dell'800 negli ultimi anni hanno contribuito alla scoperta di artisti poco o niente conosciuti, e proprio in questo scorcio di primavera ve ne sono di particolarmente interessanti.

Un personaggio di rilevo è Partendo dal più anziano Antonio Fontanesi (Reggio Emilia 1818 – Torino 1882). Attivo patriota partecipe alle gesta garibaldine, costretto ad un lungo esilio in Svizzera, amava molto viaggiare: fu a Parigi, Lione, Londra, in molte città italiane, e addirittura in Giappone per insegnare pittura. Come spesso accade non fu molto apprezzato in vita, anche se i suoi paesaggi – genere che gli era particolarmente caro – furono molto ammirati dai macchiaioli. Dopo la sua morte venne stimato da Angelo Morbidelli, Giuseppe Pelizza da Volpedo e, nel novecento, da Carlo Carrà, mentre la critica dei suoi tempi non era stata molto tenera con lui: "Fontanesi ama rappresentarci una natura forte e ardita ma scarmigliata, incolta e tutta irta di spine e triboli. Perfino il cielo n’è aspro e pesante". Così Avinzi Cagnola, sulle colonne del Gazzettino di Torino del 30 giugno 1862, biasimava le sue opere, involontariamente evidenziandone però le qualità che le rendono preziose e nuove. Fontanesi fu un pittore sensibile ai movimenti artistici presenti in Europa, vicino ai romantici inglesi, a Corot, e il suo ruolo fu importante nel superamento delle scuole regionali che hanno invece molte volte rappresentato un freno ad una libera evoluzione degli artisti. Il Ampia econfronto con gli altri artisti italiani a lui contemporanei si può avere nella mostra "Antonio Fontanesi e la pittura di paesaggio in Italia 1861-1880" a Reggio Emilia, dove è ben documentato il tema del paesaggio come si andava sviluppando tra due importanti esposizioni nazionali, quella di Firenze del 1861 e quella di Torino del 1880. Fanno da padroni i temi relativi alla campagna, con le scene di contadini dediti al lavoro e i toni in genere patetici. Le novità sono rappresentate dall’inclinazione verista che si scorge nella tela di Nino Costa, "Donne che imbarcano legna nel porto di Anzio" (1852-1860), e dai soggetti inconsueti – i paesaggi di Castiglioncello e dintorni - dei macchiaioli. Il catalogo edito da Federico Motta analizza dettagliatamente questo ventennio d’arte, con i saggi di Elisabetta Farioli e Claudio Poppi, curatori anche della mostra monografica su Fontanesi a Torino nel 1997.

Di come sia giunta a risultati decisamente diversi la pittura di paesaggio ne sono esempio i dipinti dei macchiaioli, di cui Giovanni Fattori (Livorno 1825 - Firenze 1908) era l'indiscusso leader. Artista che nel suo percorso è stato spesso cartina tornasole della realtà artistica nazionale e riferimento di molti artisti italiani fino al giovane Modigliani, anche lui è partito da una formazione accademica, ma presto se ne è affrancato per giungere ad un felice naturalismo, abbandonando il chiaroscuro romantico per una luce e un colore che costruivano zone cromatiche talvolta spinte fino a risultati quasi astratti: "Tutto il creato che vedo e osservo e tocco mi incanta, mi fa pensare… e a nulla serve né comprendere né definire…". Così nelle memorie Fattori definiva la sua ispirazione artistica, che non era niente di trascendentale o metafisico ma si basava sull'osservazione dei fenomeni fisici. Con i coevi impressionisti condivise l'aspirazione al nuovo, al volere esprimere il sentimento del presente e, attraverso la pittura en plein air, l'esperienza diretta del vero. Rispetto ai francesi i paesaggi del livornese non vogliono percepire l'attimo fuggente, l'impressione, le sensazioni "piccole", e non hanno per soggetto l'arte urbana ma quella contadina e mediterranea: la forma posta al centro della visione di Fattori è la consapevolezza del mondo. Ma il grande successo riscosso dagli impressionisti ha certamente pesato sia sulla sua "fortuna" critica, sia sulla conoscenza e la comprensione della sua arte.

Fattori fu un personaggio complesso, dai molteplici aspetti, come quello "militare", delle epiche battaglie del Risorgimento, o quello anti-eroico della vita quotidiana dei soldati, dei ritratti sempre intensi e partecipi, delle scene di vita e di lavoro dei butteri maremmani, dell'osservazione degli animali di cui ci ha lasciato innumerevoli disegni, incisioni e dipinti. Tutte queste sfaccettature sono ben rappresentate nella mostra "Giovanni Fattori", curata da Andrea Baboni e Giorgio Cortenova (catalogo Electa), attualmente a Livorno dopo l’esposizione di Verona.

Artista dal temperamento inquieto è Federico Faruffini (Sesto S. Giovanni 1833 - Perugia 1869) del quale è in corso una esposizione - "Federico Faruffini pittore" (catalogo Skira) - a Pavia, sua città di adozione. Giovane, presuntuoso e irruento talento, come spesso accade a questi personaggi, muore presto e in maniera violenta, suicidandosi a soli 36 anni.avvelenerà nel 1869 a solo 36 anni. Di ideali patriottici, grazie all'amicizia che lo lega alla famiglia Cairoli – i quattro fratelli eroi del risorgimento - riceve la sua formazione artistica in una piccola città di provincia, Pavia appunto, dove dimostra subito grandi capacità ma anche un carattere impulsivo. A Roma in cui poi si trasferisce, lega subito con la corrente antiaccademica del napoletano Domenico Morelli, che voleva rinnovare la pittura di storia romantica con il credo "figure e cose, non viste, ma immaginate e vere al tempo stesso", ponendo al centro la verisomiglianza. E così Faruffini nelle sue prime apparizioni a livello nazionale si guadagna rilevanti stroncature, tra cui quella di uno tra i più importanti critici, Camillo Boito, che ma anche di altri, questo innescano in lui una mania di persecuzione che lo porterà a vedere nemicidappertutto. Per sfuggire a questo clima si trasferisce a Parigi nel 1865 dove ottiene un certo successo, rientra in Italia dopo un anno, ma subito ritorna in Francia dove poco dopo viene raggiunto dal fratello che lo riporta di nuovo in Italia nella casa paterna di Sesto S. dappertutto, e una crescente tensione che ben presto non riuscirà più a sostenere. Faruffini, tormentata figura di passaggio tra romanticismo e realismo, sensibile alle suggestioni preraffaellite, sperimentatore di nuove tecniche, dall'incisione alla fotografia, si è rivolto in diverse direzioni, persino divergenti, e tutto questo agitarsi lo ha condotto a risultati discontinui, offuscando certamente la sua figura. Ma i due dipinti tratti dal catalogo Skira che mostriamo - "La lettrice" e "La morte di Ofelia" - evidenziano bene il potenziale anticipatore (siamo attorno agli anni 1864-65) che purtroppo non ha avuto tempo di essere espresso pienamente.

Gaetano Previati (Ferrara 1852 - Lavagna 1920) si può definire un traghettatore: nonostante i gravi problemi che lo colpirono, fu senz'altro più deciso sulla rotta da seguire, trainando verso il XX secolo l'arte italiana. Già nel suo esordio nella pittura di storia, con gli "Ostaggi di Crema" nel 1879, lo sfaldamento dei colori nella luce e la gamma cromatica spenta e livida caratterizzerà la scena con una carica drammatica non conosciuta fino ad allora, rendendo così impresentabile ogni lamento romantico in questo oramai stanco genere. Ma ciò che lo ha reso una figura di livello europeo sono le sue ricerche simboliste e l’adozione della tecnica divisionista basata sulla scomposizione dei colori, grazie ai nuovi studi scientifici della percezione visiva. La grande tela "Maternità", larga più di quattro metri, presentata per la prima volta a Parigi nel 1891 dove fu oggetto di feroci critiche, rappresenta un momento di grande consapevolezza e di rottura, come lui stesso scriveva in una lettera indirizzata al fratello: "Non ho più nessuna preoccupazione per il pubblico e intendo il mezzo solamente come la forma che dice il mio pensiero esattamente...". La sua pittura a questo punto è una pittura d’idee, non più di sentimento e di emozione - come sottolineava Alberto Gubricy, mercante d’arte e "padre-padrone" di Previati - non pretendendo di avere una parvenza di realtà. La consacrazione dei suoi grandi quadri simbolisti arriverà solo nei primi anni del ‘900, attraverso varie esposizioni personali che lo faranno conoscere ed apprezzare al grande pubblico, mentre il maestro volgerà verso una pittura che si può già definire metafisica e che troverà parole di elogio da parte di De Chirico, raramente avvezzo a commenti positivi, e renderà entusiasti perfino i giovani futuristi , in particolare Umberto Boccioni.

L’esposizione "Gaetano Previati 1852-1920, un protagonista del simbolismo europeo", attualmente in corso a Milano, oltre a fornire un panorama esauriente della sua produzione, offre anche la possibilità di scoprire un Previati illustratore dalle eccezionali capacità, come per i racconti di Edgar Allan Poe.

Una menzione particolare merita il catalogo di questa mostra, edito da Electa, curato da Fernando Mazzocca, in cui i testi forniscono una puntuale e chiara riflessione sulla complessa figura dell'artista ferrarese.

Quattro pittori così diversi tra loro possono fare bene intendere la varietà di risultati che l'Ottocento italiano è riuscito ad esprimere, che ad uno sguardo più attento riserva piacevoli sorprese.

 


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