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Immagini/Studio Azzurro

 

Carlo Alberto Bucci

 


 

Le immagini che qui presentiamo sono tratte dal libro/catalogo edito da Electa Milano in occasione della mostra romana del gruppo d’arte contemporanea Azzurro. Si intitola "Ambienti sensibili. Esperienza tra interattività e narrazione" e si tiene, per la cura di Maria Grazia Tolomeo, al Palazzo delle Esposizioni di Roma, fino al 23 maggio.

In occasione della mostra la società che gestisce il Palazzo delle Esposizioni ha deciso di aprire l’edificio al passeggio cittadino. Senza pagare il biglietto è possibile attraversare questo "tempio" dell’arte contemporanea capitolina, che mette in questo modo in comunicazione via Nazionale con la laterale via Milano. È significativo che questo tentativo di mettere lo "struscio" (feriale o festivo) a contatto obbligato con le opere d’arte (professionali o anche, a volte, "della domenica"), sia avvenuto in coincidenza con l’antologica del più recente lavoro di Azzurro. Gli "Ambienti sensibili" di questa "celestiale" formazione – composta da Fabio Cirifino, Paolo Rosa, Stefano Roveda e Leonardo Sangiorgi – sembra proprio che non possano fare a meno del pubblico. Infatti le videoambientazioni interattive di Azzurro – certamente una delle espressioni più rilevanti dell’arte contemporanea, italiana e non solo – prendono forma e senso solo a contatto con la massa dei fruitori, consapevoli o inconsci. E dal momento che la dimensione del sogno è una delle componenti dell’opera di Azzurro, l’invito è rivolto ai passeggiatori di via Nazionale e zone limitrofe che possono attraversare gratis il grande salone centrale del Palazzo delle Esposizioni. Qui, tra una chiacchiera e l’altra, possono buttare gli occhi al cielo per scoprire che si deve al passaggio della gente – più o meno numerosa, più o meno rumorosa – il cambiamento di immagini che avviene nella monumentale e al contempo leggerissima opera "Il soffio sull’angelo, primo naufragio del pensiero".

Tre giganteschi ed eterei paracadute sono infatti l’elemento principale di questo lavoro del 1997, presentato nel luglio di quell’anno nella sala Fibonacci dell’Università degli studi di Pisa. Sulle tre immense volute di tela – quasi tre coppe di uno smisurato reggiseno indossato solitamente da qualche mitico e felliniano gigante femmina – appaiono e scompaiono uomini e cose, presenze eteree che non vi staremo a descrivere per non togliervi l’emozione e la curiosità del contatto visivo e ravvicinto. A circa 5 metri da terra queste figure appaiono galleggiare, come in un sogno; o come nella dimensione fantastica di una volta barocca dipinta. E questo loro fluttuare, apparire e dileguarsi è direttamente connesso con la presenza del pubblico che passa al di sotto della videoambientazione interattiva.

Nel suo testo in catalogo Maria Grazia Tolomeo – che al Palazzo delle Esposizioni ha recentemente proposto "La coscienza luccicante", una rassegna sulla video arte, sull’arte in web, cd-rom d’artista eccetera – scrive che "un dipinto è un esempio di rappresentazione della realtà, un film è una sequenza di rappresentazioni, ma un’opera interattiva si realizza solo se viene attivata; ogni fruitore realizzerà la propria opera che solo nel momento della sua entrata in gioco, diventa finita e strutturata".

In realtà il fruitore non è poi così indispensabile. L’opera esisterebbe anche se, ad esempio, nessuno passasse sotto i tre giganteschi paracadute. Forse è più giusto dire che esiste una versione del "Soffio sull’angelo" che vede una stasi più o meno rigorosa delle figure filmate sul supporto sulle quali sono proiettate. E che ne esiste un’altra, molto diversa, che prende forma tenendo conto della presenza del pubblico. Il quale, grazie alle entità corporee delle individualità che lo compongono, mette in azione corpi virtuali. Ma le possibilità di varianti dei movimenti all’interno di "Soffio sull’angelo", come per gli altri lavori interattivi di Azzurro, non sono illimitate. L’opera, insomma, è sì aperta a farsi condizionare dalla presenza altrui. Ma è al tempo stesso chiusa, bloccata all’interno del ristretto raggio di possibilità che gli artefici di Azzurro, programmando al computer le immagini in movimento precedentemente filmate, hanno stabilito.

Se è vero che ogni singolo componente di ciascun lavoro – nel caso delle opere di Azzurro si tratta soprattutto di attori – ha una limitata gamma di varianti nei movimenti che compie grazie alla presenza di un’altra persona (stavolta in carne e ossa), è vero anche che il numero degli spettatori dell’opera aprono notevolmente il numero delle possibili versioni della stessa: che appare ben lungi dall’essere mai "finita e strutturata".

Prendiamo il caso di "Coro", uno dei lavori più forti e intensi dell’intera esposizione; un’opera che qui vi offriamo attraverso due parziali riproduzioni fotografiche (la prima e la seconda delle 6) e che in mostra potrete vedere e azionare pagando il biglietto: si tratta di 12 mila lire spese bene dal momento che consentono di accedere ad altri lavori interattivi di rilievo, quali appunto "Tavoli, perché questa mani mi toccano" del 1995 (una sorta di percorso dentro la storia della pittura di genere attraverso la messa in azione su tavoli di legno di differenti e variabili nature morte elettroniche, ma anche di nudi) e "Totale della battaglia" del 1996 (anche qui si entra nella pittura, passando per uno dei capolavori di Paolo Uccello, la "Battaglia di San Romano", cui l’opera liberamente si ispira), oltre che mostrare i bei disegni e i bozzetti preparatori che Azzurro ha realizzato negli anni preparando le sue la videoambientazioni interattive e gli allestimenti teatrali (documentati in mostra da video).

"Coro", dicevamo, è fatto da un grande tappeto, ampio quasi quanto la sala buia (la seconda a sinistra, entrando in Palazzo) che lo ospita. Gli spettatori, insomma, quasi non possono fare a meno di salire su questo tappeto. Che è un letto, dal momento che accoglie le immagini filmate di persone addormentate. La proiezione arriva dall’alto e crea una sorta di dacia oblomoviana, o la città incantata e addormentata della celebre favola. I dormienti – accoppiati oppure isolati, vestiti di bianchi pigiami oppure nudi, vecchi e giovani, uomini e donne, grassi e diafani – se ne stanno sostanzialmente fermi, immersi nel loro sonno, e nei sogni: e questa è la prima versione dell’opera. Quando uno spettatore sale su uno dei dormienti, questo (meglio: la sua immagine, dal momento che si tratta pur sempre di una rappresentazione e che la dimensione della realtà è incarnata proprio dal visitatore della mostra) comincia ad agitarsi: si muove, appare infastidito, cerca di liberarsi dal peso di chi lo sta sovrastando e svegliando. Ma le varianti dei movimenti del singolo dormienti sono, dicevamo prima, limitate. Per fare un esempio: i due figli di chi scrive, insieme con due altri amichetti di 6 e 9 anni, si sono accaniti solo su una delle molte figure addormentate, quella che riproduce una bella ragazza completamente nuda. La quale ha manifestato 5 o 6 diverse posizioni di sonno, nessuna delle quali sufficiente a scacciare i quattro entusiasti visitatori del suo corpo.

Una versione di "Coro" è stata quindi quella che ha visto tutti i dormienti riposanti in pace, e la sola nuda agitarsi sotto il peso e gli sguardi indiscreti di quattro bambini. Ma subito dopo sono entrati altri visitatori. E altri calpestatori del tappeto di "Coro" hanno generato ulteriori e differenti movimenti degli attori filmati nel sonno. In questo caso, insomma, la diversa presenza di pubblico nelle successive esposizioni dell’opera determinerà differenti, e quasi infinite, versioni del lavoro. Ci sarà sempre un "Coro" sostanzialmente immobile e quasi silenzioso. E ci saranno poi tantissimi ulteriori "Cori" in cui le grida e le singole voci soffocate nel sogno e negli incubi notturni (parole e frasi senza apparente senso, discorsi impercettibili ma rivelatori dell’inconscio) diverranno un insieme inquietante di lamenti.

Si è anche scritto, e giustamente, della dimensione ludica che soggiace alla genesi, sempre in atto, dell’opera di Azzurro. Si tratta, tuttavia, di un gioco molto serio e, a tratti, piuttosto pericoloso. Lo spettatore è infatti invitato ad intervenire per mettere in azione, con la sua presenza corporea e rumorosa, l’opera. La quale subito dopo denuncerà, attraverso le immagini che produce grazie alla altrui stimolazione, il fastidio prodotto dall’invasore. Che ha infranto e distrutto la quiete di partenza. E che non può tuttavia fare a meno di persistere, tirando fuori quindi un inaspettato accanimento sadico.

Ultimato il giro dei saloni al piano terra del Palazzo delle Esposizioni, il visitatore completerà il tour della mostra con l’ultima opera della bella rassegna. Si tratta del "Nuotatore": è un lavoro dell’85; è anch’esso una videoinstallazione ambientale ma non interattiva; ed è visitabile anche dai fruitori inconsapevoli, ossia dai passanti che possono gratuitamente entrare nel Palazzo delle Esposizioni facendo una deviazione rispetto alla passeggiata prevista.

Il "Nuotatore" è un’opera composta da una serie di video allineati e da uno isolato. Sui primi appare una comune immagine con acqua. Essi sono uniti dal film di un nuotatore che li attraversa. E mentre il primo natante parte da sinistra e va a destra, sull’altro lato di questa "video/vasca" un altro atleta in cuffietta (probabilmente si tratta di un unico nuotatore) compie il percorso inverso. Nel video singolo, posto in testa alla "video/piscina", viene proiettato una sorta di film che propone sequenze di orologi segnanti differenti ore: ricordano i cronometri circolari che si usano nel corso delle gare di nuoto, ma in realtà sono manifestazioni evidenti dell’impossibilità di definire e stabilire i tempo di percezione, dell’opera e dello spazio.

Il "Nuotatore", dicevamo, diversamente dagli altri lavori esposti in mostra, non è un’opera interattiva. Ma lo è invece lo stesso. Se spostiamo lo strumento della fruizione dal corpo all’antichissimo occhio, ci accorgiamo che sono le molteplici possibilità di lettura a rendere interattiva quest’opera, e tutte le opere d’arte. "La Battaglia di San Romano" di Paolo Uccello, ad esempio, ha cambiato di significato, e quindi anche virtualmente di forma, grazie alle parole di Bernard Berenson che ci vide "una mischia di automi improvvisamente bloccatisi", quindi grazie al lavoro di Azzurro che per filmare "Totale della battaglia", da quelle frase del celebre critico ha trovato lo spunto per il proprio lavoro, creativo e interpretativo al contempo.

Se consideriamo che l’esegesi è un fondamentale strumento di intervento sull’opera, appare possibile definire tutte le opere d’arte come "interattive". Al di là della spettacolarità che inevitabilmente producono questi lavori altamente tecnologici (ma il fatto che piacciano e coinvolgano, persino che alcuni divertano, non deve davvero essere considerato un peccato), i lavori di Azzurro presentano quindi una profondità di pensiero e di riflessione che li fanno dialogare e interagire con tutta la tradizione dell’arte. Nota in proposito Valentina Valentini nel suo saggio in catalogo: "Lasciando muovere le figure nello spazio, senza cornici di schermi, con l’occultamento dei macchinari e la proiezione di immagini su superfici la cui matericità è evidente, Azzurro recupera, con questi "ambienti sensibili", qualità plastiche e pittoriche, e in generale, una sensualità dell’insieme emanata dai corpi, dai colori e dai suoni che ispirano un’aura rituale …".

 


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