Arte/Anche i faraoni avevano un cuore
Carlo
Dino Latella
Evocando l'Egitto vengono subito alla mente il Nilo e le imponenti
Piramidi, proprio i due elementi che possono aiutare nella comprensione di una civiltà
tanto antica quanto complessa. Se il Nilo scandiva i cicli della vita di un intero popolo,
le piramidi rappresentavano il potere assoluto del Faraone e il sistema religioso su cui
si basava la struttura della società.
Gli antichi egizi separavano i luoghi dei morti da quelli dei vivi: i centri abitati
sorgevano preferibilmente sulla sponda orientale del Nilo, perché si credeva che la vita
doveva svolgersi nella direzione in cui sorge il sole, mentre l'occidente, dove tramonta,
era il luogo rivolto alla morte. Le case, costruite con materiali deperibili, erano
soggette alle piene del Nilo mentre i templi e le tombe - progettati da meno di una
trentina di architetti - erano elevati in luoghi più sicuri e con materiali molto
resistenti, tanto da essere giunti quasi intatti ai giorni nostri.
Lo studio della civiltà egiziana inizia sistematicamente con la
campagna di Napoleone. E' una storia costellata di episodi fantastici e scoperte
eccezionali, come la tomba incorrotta di Tutankhamon o le centinaia di statue portate alla
luce da Legrain sotto le fondamenta del tempio di Amn-Ra. La narrativa ha trovato molti
spunti in questa cultura avvolta dal mistero, ancora di più negli ultimi anni con il
clamoroso successo di vendite dei libri di Christian Jacq incentrati sulla figura di
Ramsete, così come anche il cinema si è alimentato da questa fonte, sviluppando il ricco
filone della saga di Indiana Jones o la lunga serie de La mummia, e per finire la
televisione, con la terrorizzante - per quei tempi - serie di Belfagor.
Il percorso della mostra Arte sublime dell'antico Egitto - fino al 4 luglio a
Palazzo Strozzi di Firenze inizia proprio dalla costruzione della prima grande
piramide, quella a gradoni di Sakkara, durante il regno del faraone Zoser, circa 2700 anni
prima della nascita di Cristo quando in Italia si andava appena diffondendo l'uso dei
metalli. Il lungo percorso espositivo termina con l'epoca tarda di Sheshanq (332 a. C.),
la quale precedette la conquista dell'Egitto ad opera di Alessandro Magno e segnò la fine
di questa civiltà che aveva oramai concluso il suo ciclo.
La mostra, promossa dal Comune di Firenze, dalla Soprintendenza ai Beni
Archeologici e dal Ministero della Cultura di Egitto, è stata realizzata da
ArtificioSkira che è riuscita ad ottenere per l'occasione sessanta capolavori assoluti
provenienti dal Museo Egizio del Cairo e da quello di Luxor. Inoltre sono esposte alcune
opere provenienti dal Museo di Firenze, nato grazie agli oggetti riportati da una delle
prime spedizioni archeologiche guidate dal fiorentino Rosselli. La parte scientifica è
stata curata da Mohamed Saleh Ali', fino a poco tempo fa direttore del Museo Egizio del
Cairo.
La prima opera che si trova esposta è la Tavola delle libagioni in
alabastro con due leoni che sorreggono il piano, probabilmente usata come letto
d'imbalsamazione e proveniente da un corredo funerario di Saqqara risalente circa al 2705
a. C.. Di poco più recenti sono due teste di prigionieri in granito con il volto segnato
dall'inquietudine e dalla sofferenza. La Triade di Micerino (2500-2482) ha un morbidissimo
modellato dei corpi e rappresenta il re Micerino accompagnato dalla dea Hathor e da un dio
che impersonifica Tebe. Una "foto di famiglia" si può definire invece il gruppo
in pietra di Kaemheset e la sua famiglia (2475-2467 a. C.), con il tenero particolare del
bambino col dito in bocca, riproposto anche in una piccola statuetta di legno. Uno
squarcio naturalistico è fornito dall'incisione su pietra dove sono riprodotti con
estrema cura piante e uccelli tipici del Nilo, mentre sembra tutto assorto nel suo lavoro
Lo scriba Ptashepese. Alcuni oggetti in mostra sono particolarmente curiosi, come la barca
con rematori in oro e argento che apparteneva al corredo funerario della regina Ahhotep
scoperto nel 1859, il particolare Cucchiaio da trucco con il manico formato da una
nuotatrice che regge un'anitra, o i due grandi specchi di bronzo i cui manici sono
composti da una colonna e l'altro da una figura femminile. Anche l'oreficeria è bene
rappresentata con la Collana di Psusenne (1054-1004) in lapislazzuli e oro lunga ottanta
centimetri, e dall'elaborato Pettorale di Sheshonq II del quale sono esposti anche i
Sandali funerari in oro. Molte altre opere possono essere ammirate steli, ritratti,
statue, animali - ma sicuramente quelle che colpiscono di più sono il ritratto di
Nefertiti (1365-1349 a.C.) e la statua della dea Iunit (1404-1365 a. C.). Quest'ultima,
chiamata Monna Lisa di Luxor per lo stesso indefinito sorriso della dama ritratta da
Leonardo da Vinci, è stata scoperta casualmente solo nel 1989 ed esce per la prima volta
dall'Egitto in occasione di questa mostra. Si tratta di una scultura in granito, alta un
metro e 45, trovata nel cortile del nascondiglio del tempio di Amenofi III assieme ad un
eccezionale complesso di ventisei statue in ottime condizioni, probabilmente sepolte dai
romani quando trasformarono il tempio in accampamento. Ma la star della mostra è il
ritratto di Nefertiti, forse il più bello tra quelli conosciuti. Non si può non rimanere
affascinati dalla sua magnetica bellezza, con i tratti marcati, la levigatezza della
pelle, la calda carnagione e quei grandi occhi, ora vuoti, un tempo brillanti di cristalli
di rocca, ossidiana, quarzo e marmi.
Il catalogo, edito sempre da ArtificioSkira, presenta ogni opera con
un'esauriente scheda ed è arricchito da affascinanti fotografie d'epoca e disegni tratti
dal libro di Denon La description de l'Egypte (1809-1828), anche esposti nella
mostra. Oltre agli interventi degli egittologi che danno un chiaro inquadramento della
storia e dell'arte dell'antico Egitto, vengono sviluppati alcuni temi particolarmente
interessanti, con i contributi di storici dell'arte come Giovanni Carandente, o con
l'ampio saggio di Maria Grazia Messina volto a dimostrare quanto sia stata diffusa
l'influenza dell'Egitto sull'arte europea nell'ottocento e, in particolare sulle
avanguardie del primo novecento, nella ricerca per il rinnovamento del linguaggio
artistico.
L'interesse degli artisti per questo tema è attestato dai numerosi
scritti e dalle opere di Serusier, Klimt, Derain, Picasso ed altri, e ben documentato in
questo saggio, ma probabilmente una vera scoperta saranno le liriche d'amore riportate nel
catalogo:
L'amore che ho per te è diffuso nel mio corpo,
come il sale si scioglie nell'acqua,
come il frutto della mandragola è impregnato di profumo,
come l'acqua si mescola al vino (la potenza dell'amore, 2);
Quando la bacio e le sue labbra sono aperte,
son ebbro, anche senza birra ([Desideri d'Amore ], 4).
Da questa esposizione l'idea sulla civiltà dei faraoni esce
sicuramente ampliata e arricchita tanto da farcela sembrare ancora più fantastica e
affascinante e, se pure può sembrare una contraddizione, ancora più misteriosa.
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