245 - 17.01.04


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La prima rosa per il dopo-Prodi
a cura di Daniele Castellani Perelli

Si apre la corsa alla presidenza della Commissione

A dieci mesi dalla conclusione ufficiale del mandato di Romano Prodi a Presidente della Commissione europea, a sei mesi dal Consiglio europeo che ne designerà il successore, il ministro della Difesa greco, Yannos Papantoniu, ha ufficialmente aperto il toto-candidature, suggerendo il nome del premier di Atene Costas Simitis.

Il quotidiano Le Monde fa il punto della situazione, dando per il momento Simitis leggermente avvantaggiato sull’ex primo ministro finlandese Paavo Lipponen. Socialdemocratici, seri ed efficienti, sembrano buoni candidati di compromesso, come l’attuale commissario agli Affari Interni, il socialista portoghese Antonio Vitorino. I nomi della destra sarebbero al momento quelli del premier belga, il liberale Guy Verhofstadt, e di quello lussemburghese, il democristiano Jean-Claude Juncker. La presidenza irlandese afferma di essere alla ricerca del “nuovo Delors”. Il fatto che José Maria Aznar lasci, a marzo, la politica spagnola, è letto da molti come un indizio di un suo futuro incarico europeo. Ma alla luce della posizione assunta dal premier spagnolo sulla Costituzione europea, beh, Dio ce ne scampi e liberi.

I Balcani tra Europa e nazionalismo

Il 28 dicembre la Serbia ha premiato, alle elezioni legislative, gli ultranazionalisti di Vojislav Seselj. Un mese prima anche la Croazia era andata nella stessa direzione. Alle consultazioni del 23 novembre, l’Unione democratica croata, l’ex partito di Franjo Tudjman, aveva sconfitto la le forze del centrosinistra, che avevano governato il paese negli ultimi anni e che si erano seriamente impegnate per condurre Zagabria nell’Unione.

Nonostante sia un esponente nazionalista, il neo premier croato Ivo Sanader, come spiega Le Monde, ha però affermato che il suo obiettivo principale è quello di portare la Croazia in Europa nel 2007, nello stesso anno in cui entreranno cioè Romania e Bulgaria. Sanader attende che, entro la primavera, la Commissione europea dia parere positivo alla richiesta di candidatura di Zagabria, accettata la quale si aprirebbero infine le negoziazioni per l’adesione. Stipe Mesic, Presidente della Repubblica, non nasconde che il risultato palesemente antieuropeo delle legislative serbe potrebbe per contrasto accreditare la Croazia, agli occhi dell’Unione, come l’allievo modello, il buon esempio capace di esercitare sulla regione un effetto-traino. Il 13 gennaio, tuttavia, davanti all’Europarlamento il presidente serbo-montenegrino Svetovar Marovic ha voluto anch’egli rassicurare l’Unione: “'Non possono esserci dubbi – ha spiegato – sul desiderio del mio paese di unirsi alla grande famiglia democratica europea, e che tale obiettivo sia mutuo”.

Segni di “de-americanizzazione” ad Est

Più passa il tempo, più sembra che l’Est europeo voglia scrollarsi di dosso l’etichetta di “cavallo di Troia dell’America in Europa”. Lo confermano due articoli comparsi su Liberation e sul New York Times.

Il Le Monde segnala un riavvicinamento tra Francia e Polonia dopo le serie divergenze sulla Costituzione, a proposito della quale il ministro degli Esteri polacco, in visita a Parigi, ha detto: “Bisogna fare di tutto per arrivare ad un accordo sulla Costituzione europea, ed il miglior modo è parlarsi”. “Se la disputa va avanti – ha concluso Wlodzimierz Cimoszewicz dopo aver incontrato il suo omologo francese Dominique de Villepin – questo peserà sulle elezioni europee e giocherà a favore degli euroscettici”. Il New York Times, invece, riporta che tra i 25 e i 30 soldati bulgari si sarebbero rifiutati di andare in Iraq. Avrebbero dovuto far parte di un contingente bulgaro di 500 uomini, destinato a sostituire i 480 uomini impegnati da settembre a Garbala, cinque dei quali sono rimasti uccisi in seguito ad un attacco contro il quartier generale bulgaro il 27 dicembre scorso.

Finestra sull’America: say cheese

Dal 5 gennaio gli stranieri che sbarcano negli Stati Uniti vengono schedati. Vengono fotografati da una macchina digitale e devono lasciare l’impronta digitale. L’iniziativa ha nome Us-Visit (United States Visitor and Immigrant Status Indicator Technology) e per ora non coinvolge i cittadini di 28 paesi, tra cui quelli dell’Ue.

La stampa europea si è unanimemente scandalizzata. Liberation sottolinea che chiunque venga incluso per errore nella lista poi difficilmente ne verrebbe cancellato, mentre lo spagnolo El Pais cita il caso del Brasile, che per ripicca ha imposto il medesimo trattamento ai cittadini statunitensi, e scrive: “La risposta logica a questi controlli è la reciprocità”. Tuttavia anche l’Unione ha i suoi peccatucci. Lo riporta The Guardian, che cita un recente documento che Amnesty International ha consegnato alla Presidenza irlandese e secondo il quale solo due dei quindici membri attuali, Lussemburgo e Olanda, rispettano completamente i diritti umani. La Gran Bretagna è accusata di “seria violazione” nella sua risposta agli attacchi dell’11 settembre e nella politica sull’immigrazione, la Spagna è criticata per il trattamento di sospetti terroristi baschi. “Non è sufficiente che l’Ue predichi i diritti umani all’esterno – ha detto Dick Oosting, direttore dell’ufficio Amnesty di Bruxelles – L’Europa deve prima guardare a sé”.

 

 



 

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