Si apre la corsa alla presidenza della Commissione
A dieci mesi dalla conclusione ufficiale del mandato
di Romano Prodi a Presidente della Commissione europea,
a sei mesi dal Consiglio europeo che ne designerà
il successore, il ministro della Difesa greco, Yannos
Papantoniu, ha ufficialmente aperto il toto-candidature,
suggerendo il nome del premier di Atene Costas Simitis.
Il quotidiano Le
Monde fa il punto della situazione, dando per
il momento Simitis leggermente avvantaggiato sull’ex
primo ministro finlandese Paavo Lipponen. Socialdemocratici,
seri ed efficienti, sembrano buoni candidati di compromesso,
come l’attuale commissario agli Affari Interni,
il socialista portoghese Antonio Vitorino. I nomi
della destra sarebbero al momento quelli del premier
belga, il liberale Guy Verhofstadt, e di quello lussemburghese,
il democristiano Jean-Claude Juncker. La presidenza
irlandese afferma di essere alla ricerca del “nuovo
Delors”. Il fatto che José Maria Aznar
lasci, a marzo, la politica spagnola, è letto
da molti come un indizio di un suo futuro incarico
europeo. Ma alla luce della posizione assunta dal
premier spagnolo sulla Costituzione europea, beh,
Dio ce ne scampi e liberi.
I Balcani tra Europa e nazionalismo
Il 28 dicembre la Serbia ha premiato, alle elezioni
legislative, gli ultranazionalisti di Vojislav Seselj.
Un mese prima anche la Croazia era andata nella stessa
direzione. Alle consultazioni del 23 novembre, l’Unione
democratica croata, l’ex partito di Franjo Tudjman,
aveva sconfitto la le forze del centrosinistra, che
avevano governato il paese negli ultimi anni e che
si erano seriamente impegnate per condurre Zagabria
nell’Unione.
Nonostante sia un esponente nazionalista, il neo premier
croato Ivo Sanader, come spiega Le
Monde, ha però affermato che il suo obiettivo
principale è quello di portare la Croazia in
Europa nel 2007, nello stesso anno in cui entreranno
cioè Romania e Bulgaria. Sanader attende che,
entro la primavera, la Commissione europea dia parere
positivo alla richiesta di candidatura di Zagabria,
accettata la quale si aprirebbero infine le negoziazioni
per l’adesione. Stipe Mesic, Presidente della
Repubblica, non nasconde che il risultato palesemente
antieuropeo delle legislative serbe potrebbe per contrasto
accreditare la Croazia, agli occhi dell’Unione,
come l’allievo modello, il buon esempio capace
di esercitare sulla regione un effetto-traino. Il
13 gennaio, tuttavia, davanti all’Europarlamento
il presidente serbo-montenegrino Svetovar Marovic
ha voluto anch’egli rassicurare l’Unione:
“'Non possono esserci dubbi – ha spiegato
– sul desiderio del mio paese di unirsi alla
grande famiglia democratica europea, e che tale obiettivo
sia mutuo”.
Segni di “de-americanizzazione”
ad Est
Più passa il tempo, più sembra che
l’Est europeo voglia scrollarsi di dosso l’etichetta
di “cavallo di Troia dell’America in Europa”.
Lo confermano due articoli comparsi su Liberation
e sul New York Times.
Il Le
Monde segnala un riavvicinamento tra Francia e
Polonia dopo le serie divergenze sulla Costituzione,
a proposito della quale il ministro degli Esteri polacco,
in visita a Parigi, ha detto: “Bisogna fare
di tutto per arrivare ad un accordo sulla Costituzione
europea, ed il miglior modo è parlarsi”.
“Se la disputa va avanti – ha concluso
Wlodzimierz Cimoszewicz dopo aver incontrato il suo
omologo francese Dominique de Villepin – questo
peserà sulle elezioni europee e giocherà
a favore degli euroscettici”. Il New
York Times, invece, riporta che tra i 25 e i 30
soldati bulgari si sarebbero rifiutati di andare in
Iraq. Avrebbero dovuto far parte di un contingente
bulgaro di 500 uomini, destinato a sostituire i 480
uomini impegnati da settembre a Garbala, cinque dei
quali sono rimasti uccisi in seguito ad un attacco
contro il quartier generale bulgaro il 27 dicembre
scorso.
Finestra sull’America: say cheese
Dal 5 gennaio gli stranieri che sbarcano negli Stati
Uniti vengono schedati. Vengono fotografati da una
macchina digitale e devono lasciare l’impronta
digitale. L’iniziativa ha nome Us-Visit (United
States Visitor and Immigrant Status Indicator Technology)
e per ora non coinvolge i cittadini di 28 paesi, tra
cui quelli dell’Ue.
La stampa europea si è unanimemente scandalizzata.
Liberation
sottolinea che chiunque venga incluso per errore nella
lista poi difficilmente ne verrebbe cancellato, mentre
lo spagnolo El Pais cita il caso del Brasile, che
per ripicca ha imposto il medesimo trattamento ai
cittadini statunitensi, e scrive: “La risposta
logica a questi controlli è la reciprocità”.
Tuttavia anche l’Unione ha i suoi peccatucci.
Lo riporta The
Guardian, che cita un recente documento che Amnesty
International ha consegnato alla Presidenza irlandese
e secondo il quale solo due dei quindici membri attuali,
Lussemburgo e Olanda, rispettano completamente i diritti
umani. La Gran Bretagna è accusata di “seria
violazione” nella sua risposta agli attacchi
dell’11 settembre e nella politica sull’immigrazione,
la Spagna è criticata per il trattamento di
sospetti terroristi baschi. “Non è sufficiente
che l’Ue predichi i diritti umani all’esterno
– ha detto Dick Oosting, direttore dell’ufficio
Amnesty di Bruxelles – L’Europa deve prima
guardare a sé”.
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