Mediterraneo mare d’Europa (o di Francia?)
Il 5 e 6 dicembre si è tenuto a Tunisi un
vertice tra i cinque paesi del Maghreb (Libia, Algeria,
Marocco, Mauritania e Tunisia) e i cinque dell’Unione
che si affacciano sulla parte occidentale del Mediterraneo
(Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Malta). Al
summit, che è nato da un’idea del presidente
tunisino Ben Ali e al quale ha preso parte anche Romano
Prodi, i paesi maghrebini hanno espresso il timore
che l’allargamento ad est li allontani dall’Unione.
Per questo hanno chiesto aiuti e investimenti ai cinque
dell’Ue, che però in cambio hanno sollecitato
un controllo maggiore sui flussi migratori.
Le Monde si è fatto anche stavolta
portavoce degli interessi geopolitici della Francia,
e in un editoriale intitolato Costa
sud ha sollecitato una partnership molto
più stretta tra Unione e paesi del Maghreb,
motivandola con la necessità di meglio governare
l’immigrazione e con quella di incoraggiare
in quegli Stati l’islam più moderato.
“L’attrazione per l’Europa deve
valere come uno stabilizzatore”, conclude Le
Monde, secondo il quale è però necessario
che la regione nordafricana si organizzi in un mercato
unico: “A Tunisi, ad Algeri come a Rabat, si
attendono sempre i padri fondatori di un vero Maghreb
unito”. Non sfugge certo che dietro questo interesse
culturale del mondo francese per il Nord Africa c’è
anche un interesse geopolitico rilevante. Un’Unione
che si allargasse a sud sarebbe certamente molto più
francese di quanto lo sia oggi. Ecco allora che, come
ha raccontato anche il Corriere
della Sera , il governo di Parigi e le due principali
emittenti televisive d’oltralpe finanzieranno
una Cnn per il mondo arabo, una tv satellitare con
programmi in lingua araba, francese e inglese che
diffonda la dottrina di Chirac e Villepin nel Maghreb,
in Medio Oriente e in Europa. Una risposta a quanti
pensano che il seggio Onu della Francia sia anacronistico.
Cattivi d’Europa I: i ragazzacci polacchi
(ma non solo)
Il conclave dei ministri degli Esteri dell’Ue,
tenutosi a Napoli il 28 e il 29 novembre nell’ambito
dei lavori della Conferenza Intergovernativa (Cig),
ha registrato timidi passi avanti verso un accordo
sulla Costituzione europea. A pochi giorni dalle tensioni
registrate nella riunione dell’Ecofin, che ha
congelato le sanzioni nei confronti di Francia e Germania
per il mancato rispetto del Patto di stabilità,
a Napoli è stato trovato un diffuso consenso
su punti molto importanti. Sul sistema di voto, a
causa dell’opposizione di Spagna e Polonia,
si è ancora in alto mare, e non trova sostenitori
la proposta inglese di ritardare ogni decisione al
2009. Francia, Germania e Gran Bretagna hanno raggiunto
l’accordo sulla difesa europea a due velocità
e, mentre le radici cristiane difficilmente troveranno
spazio nel testo, sembra ora più probabile
che si giunga ad una Commissione composta da 25 membri,
uno per Stato membro e tutti con diritto di voto (ipotesi
che, dopo le tensioni dell’Ecofin, andrebbe
a “ricompensare” i paesi piccoli e lo
stesso esecutivo di Prodi). Soddisfatto il ministro
degli Esteri italiano Franco Frattini, mentre il suo
omologo tedesco Joschka Fischer, si è detto
“più preoccupato di prima”.
I giornali europei hanno rispecchiato la cautela ed
il mix di scetticismo e ottimismo espresso dai politici
presenti al conclave. E’ stato abbondantemente
sottolineato da tutti come la frattura tra chi accetta
il testo di Giscard così com’è
(Francia, Germania e Italia) e chi invece vorrebbe
consistenti modifiche (Spagna e Polonia) sia stata
questa settimana pericolosamente approfondita e complicata
dalla decisione dell’Ecofin. The Economist,
campione dell’euroscetticismo, ne trova ovviamente
motivo di soddisfazione. In Quei
ragazzacci polacchi Charlemagne difende la
baldanza della Polonia, e questa volta l’asse
franco-tedesco gli offre su un piatto d’argento
un argomento perfetto: “Egoisti, avidi, nazionalisti,
non europei. Non Francia e Germania, capirete, che
hanno fatto arrabbiare la Commissione Europea e molti
paesi piccoli calpestando come tiranni il patto di
stabilità dell’euro. No, questi insulti
sono stati affibbiati ai poveri Polacchi, mentre le
tortuose negoziazioni per una nuova costituzione per
l’Unione Europea barcollano verso una conclusione”.
“Ora che le negoziazioni costituzionali scricchiolano
– conclude il settimanale – , i Polacchi
vengono di nuovo invitati a ‘stare zitti’.
Finora hanno declinato l’invito. How very shocking”.
Cattivi d’Europa II: Ana Palacio
Più preoccupato dai risultati di Napoli è
El Pais, quotidiano spagnolo vicino al centrosinistra
di Zapatero. In un editoriale si legge che “la
costruzione europea è ora messa tra parentesi,
se non è proprio entrata in crisi”. Sebbene
il quotidiano spagnolo sottolinei che la decisione
dell’Ecofin “ha fatto venire alla luce
le molte frustrazioni accumulate”, e che dietro
la questione istituzionale si nasconde il dibattito
“sul peso dell’asse franco-tedesco nella
nuova Europa”, dall’altra parte ammette,
in polemica con Aznar, che “il Trattato di Nizza
non può funzionare in un’Unione in espansione”.
The
Independent racconta del sorprendente annuncio
fatto in settimana dal ministro degli esteri di Blair,
Jack Straw, che ha promesso appoggio alle rivendicazioni
della Polonia, con l’obiettivo di controbilanciare
l’influenza franco-tedesca.
Ben diverso l’atteggiamento dei quotidiani francesi,
anch’essi scettici sì sui risultati di
Napoli, ma in prima linea nel difendere il testo di
Giscard. “Il sogno di Giscard affonda a Napoli”,
titola Liberation,
mentre Le
Monde presenta un’intervista al ministro
degli Esteri spagnolo Ana Palacio, la principale avversaria
del progetto di Giscard (e quindi, per proprietà
transitiva, anche di Le Monde). La Palacio ha negato
che la discussione sul patto di stabilità possa
avere un’influenza sul dibattito costituzionale,
anche se ha ammesso un possibile condizionamento psicologico.
Quanto al testo della Convenzione, la rappresentante
di Aznar ha ribaltato l’accusa che ora anche
la diplomazia italiana le sta avanzando, quella di
essersi colpevolmente isolata insieme alla Polonia,
e ha dichiarato: “E’ chiaro che solamente
una minoranza di Stati sostiene il progetto di Valery
Giscard d’Estaing”. Un po’ malizioso
Le Monde, che alla fine chiede alla Palacio se non
teme che la Spagna pagherà questo suo atteggiamento
al momento della negoziazione del budget dell’Unione
del dopo-2006. Gli europeisti del continente (voto
10 per la pazienza) sono vendicati.
Cattivi d’Europa III: Donald Rumsfeld
E’ stata anche la settimana di un vecchio nemico
dell’Unione, Mr Donald Rumsfeld, che domenica
30 novembre ha accettato di mettere piede a Bruxelles,
nel cuore della “Old Europe”, per partecipare
alla riunione ministeriale della Nato.
Fresco vincitore del premio Foot
in Mouth 2003 per la dichiarazione in inglese
più incomprensibile dell’anno (ovvero:
“Trovo sempre interessanti le notizie di cose
che non sono avvenute perché, come sappiamo,
vi sono fatti noti conosciuti. Ci sono cose che sappiamo
di sapere. Ma sappiamo anche che ci sono fatti noti
sconosciuti. Inoltre sappiamo che ci sono cose che
non sappiamo. Ma ci sono anche fatti ignoti sconosciuti
- che sono le cose che non sappiamo di non sapere”),
il ministro della Difesa americano, riporta la Sueddeutsche
Zeitung , ha messo in guardia l’Ue da un’indipendenza
militare dalla Nato. Rumsfeld ha ricordato che la
Nato ha dato in passato “un eccellente contributo
alla pace nel mondo”, e dunque oggi “non
c’è ragione per qualcosa d’altro
che le faccia concorrenza”.
Sebbene i toni scelti stavolta, come ha notato il
New
York Times, siano stati più soft di quando
giudicò il progetto europeo come “la
più grande minaccia alla Nato”, Rumsfeld
è comunque così intervenuto nel dibattito
sul sistema di difesa europeo, che proprio a Napoli
sembra esser arrivato ad una svolta positiva, grazie
all’accordo tra Francia, Germania e Gran Bretagna,
la grande alleata di Bush, accordo che per La Vanguardia,
il quotidiano di Barcellona, “convince allo
stesso modo europeisti e atlantisti”. A Peter
Struck, omologo tedesco di Rumsfeld, l’ingerenza
non è piaciuta, anche se ha assicurato a Der
Spiegel che il piano studiato “non vuole creare
un organismo che sia concorrente alla Nato”.
Sarà un caso, ma pochi giorni dopo l’accordo
di Napoli sulla difesa europea è stata autorevolmente
rilanciata la proposta di affidare alla Nato “un
ruolo più diretto” in Iraq: iniziativa
lodevole, ma che, come nota The Indipendent, è
sponsorizzata da Italia, Spagna e Polonia, forse rimaste
spiazzate dal progetto di Francia, Germania e Gran
Bretagna. Intanto Michele Alliot-Marie, ministro della
Difesa francese, ha respinto la richiesta di Lord
Robertson, segretario generale della Nato, di nuovi
aiuti militari in l’Afghanistan. Che ingenuo
Sir Robertson. Chiedere a Parigi, in piena crisi economica,
di sganciare soldi per la Nato e per Washington. Che
avrebbe detto De Gaulle, buonanima?
Buoni d’Europa: Franco Frattini
Il 9 dicembre il ministro degli Esteri Franco Fattini
ha presentato ufficialmente la bozza di Costituzione.
Il testo, che rispetta il documento originale della
Convenzione e tiene conto delle proposte di modifica
emerse al conclave di Napoli, non viene incontro alle
richieste di Spagna e Polonia sulla conservazione
del sistema di voto deciso a Nizza. E’ l’ufficializzazione
di una linea politica che il governo italiano è
andato maturando negli ultimi mesi. La volontà
di raggiungere un risultato soddisfacente e prestigioso
sotto la propria Presidenza ha spinto Frattini e Berlusconi
sulla stessa posizione di Francia e Germania, da sempre
in cattivi rapporti con l’attuale governo italiano.
Così Il
Foglio ha sintetizzato: “Per Berlusconi
non è stato un passaggio facile. Aznar e Miller
sono amici, e il rapporto con i loro paesi è
vitale nella visione italiana di creare un contrappeso
all’asse franco-tedesco, specie nelle relazioni
transatlantiche. Ma un fallimento del semestre con
l’onore delle armi di 22 paesi su 25 è
più sopportabile – anche sul fronte interno
– che non l’immolarsi per Spagna e Polonia”.
Questi ultimi vengono apertamente indicati dalla diplomazia
italiana come i paesi che, senza giusta causa, potrebbero
impedire il varo della Costituzione. Jose Maria Aznar
non se l’aspettava. Ora è chiuso in un
angolo, e assieme al polacco Miller si prenderebbe
la responsabilità di un insuccesso storico.
Il 12 e il 13 dicembre, a Bruxelles, la resa dei conti
finale.
I giornali spagnoli non nascondono un certo imbarazzo
per la posizione del proprio governo. El Pais descrive
l’atteggiamento di Aznar come “un’ossessione”,
tale che non a caso “la Presidenza italiana
a Napoli ha praticamente ignorato le sue preoccupazioni”.
El Mundo riporta quotidianamente le lamentele europee
nei confronti della Spagna, da quelle di Chirac e
Schroeder a quelle dello stesso Frattini, secondo
il quale cedere alle richieste spagnole avrebbe significato
“accettare un compromesso al ribasso”:
“Non vogliamo una Costituzione che non funzioni
– ha dichiarato Frattini – . E’
meglio non avere una Costituzione che averne una cattiva,
perché daremmo l’impressione ai cittadini
che stiamo progredendo, ma invece non progrediamo”.
La Convenzione, la Commissione ed il Parlamento europeo,
i paesi grandi e quelli piccoli: nelle ultime ore
che precedono la due giorni finale di Bruxelles, tutti
si mostrano compatti nel difendere il testo della
Convenzione con le modifiche apportate dalla Presidenza
italiana. Tutti tranne Josè Maria Aznar e Leszek
Miller.
Tutti si schierano dietro la Presidenza italiana.
Silvio Berlusconi fa buon viso a cattivo gioco, (dove
il cattivo gioco è far l’amico di chi
non ha mai amato, come Schroder e soprattutto Chirac),
perché questa, come ha scritto The
Independent, “è la più grande
sfida della sua carriera politica”. Franco Frattini
è invece un uomo che sa che molto probabilmente
a gennaio dovrà far spazio a Gianfranco Fini.
La coerenza con cui non guarda in faccia all’alleato
spagnolo rivela, al di là della necessità
politica di trovare un accordo, il desiderio autentico
di dotare la futura Europa di una Costituzione all’altezza
delle sfide che attendono l’Unione. A quasi
due anni dalle dimissioni di Renato Ruggero dalla
Farnesina, l’Italia ritrova improvvisamente
con Frattini quel tradizionale europeismo che l’esecutivo
Berlusconi aveva deciso da subito di aggredire, e
che oggi appare come l’unica via storicamente
giustificabile e, come da sempre, anche l’unica
adeguata all’interesse dell’Italia e dell’Europa.
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