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Un’Europa senza fede?

“Come molti italiani nei decenni passati, ogni settimana Giampaolo Servadio era solito andare alla messa di rito cattolico, nella quale serviva anche come chierichetto. Ma la scorsa domenica, mentre le campane suonavano tutt'intorno a questa città di istoriate cattedrali, ha seguito un rituale differente: è andato a correre. Gli è parso un modo più proficuo di passare il tempo”.

Inizia così una lunga inchiesta che il New York Times ha dedicato questa settimana allo stato della religione in Europa, e che è stata significativamente intitolata “La Fede si spegne dove una volta bruciava con vigore”. Le celebrazioni dei venticinque anni di papato di Giovanni Paolo II offrono l’occasione per fare il punto sulla diffusione della religione nel vecchio continente.

Alcuni studi recenti descrivono una situazione desolante, in cui ancora molti si dichiarano sì religiosi, ma poi ammettono di non partecipare attivamente alla vita della propria Chiesa. Il fatto che la bozza della Costituzione di Giscard d’Estaing abbia escluso il riferimento alle radici cristiane non è che l’ennesima prova, secondo il quotidiano newyorkese, della freddezza del rapporto tra Europa e religione, e dell’ormai totale secolarizzazione del continente: “La mia opinione – dice John Bruton, ex premier irlandese che ha partecipato alla stesura della bozza – è che in Europa c’è una forma di intolleranza secolare tanto forte quanto lo era l’intolleranza religiosa in passato”.

Gli europei sono diventati razionali e pragmatici. Quelli intervistati da Frank Bruni, l’autore dell’inchiesta, cercano risposte concrete, e giudicano “non al passo con i tempi” una Chiesa che vuol fare credere che la soluzione dei problemi “stia in una confessione o in qualche ‘Ave Maria’”. Il reverendo Emile Reyns, della Chiesa del Santo Sacramento di Lilla, è rincuorato dalle sei coppie che stanno per sposarsi nella sua parrocchia, ma deve ammettere che non pensa di rivederle più dopo il matrimonio: “Tutte hanno già convissuto a lungo – aggiunge il reverendo francese – e lo confessano senza nemmeno arrossire”.

L’assenza dei giovani si fa sentire non solo nelle messe, frequentate ormai soltanto da anziani, ma ancor più tra le fila stesse dei sacerdoti, tanto da costringere le parrocchie a dividersi i ministri del culto o ad “importarli” dal Terzo Mondo. Tra i giovanissimi la situazione, se possibile, è ancora più grave. In una conferenza-stampa dello scorso mese il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano e forte candidato alla successione di Giovanni Paolo II, ha dichiarato: “I parrocchiani mi hanno detto che ci sono bambini che non sanno farsi il segno della croce. Alle elementari ignorano chi sia Gesù”.

Il New York Times attribuisce a più ragioni questa secolarizzazione dell’Europa. Ad un moderno cinismo nei confronti delle istituzioni e delle grandi ideologie, come testimoniato anche dall’indebolimento della partecipazione ai partiti e ai sindacati. All’urbanizzazione, che ha allontanato la gente da quei luoghi quieti dove la chiesa era il centro della piccola comunità. Alla crescente concorrenza di religioni e di morali, che fa dire ad Enzo Bianchi, teologo cattolico, che nell’eterogenea e spesso edonistica Europa di oggi “ci sono sempre più etiche sul mercato”. Un’Europa laica e razionale, così diversa da continenti come Africa, America e Asia, che vivono invece con più passione e partecipazione la vita religiosa.

Il paragone con gli Stati Uniti, anche qui, è stato d’obbligo. La secolarizzazione dell’Europa sarebbe una delle forze che starebbe separando il vecchio continente dal nuovo, dove invece la religione gioca un ruolo importante nella politica e nella società.. In Francia, scrive il quotidiano, solo il 20% partecipa ogni settimana ai riti religiosi, mentre in America la percentuale è di uno su tre. Della passione religiosa sembrerebbe non esserci più traccia in Europa, eccezione fatta per le chiese pentecostali, tra le quali Frank Bruni cita il Kingsway International Christian Center di Londra. E’ qui, dice Bruni, in questa chiesa servita da un pastore nigeriano, tra gospel e psicologia pop, che sopravvive un po’ di fervore religioso, in una Europa sempre più scettica e pragmatica.

L’inchiesta del New York Times è interessante e si basa su recenti ricerche sociologiche, ma non è esente da una notevole superficialità: si cita il dato della partecipazione alle funzioni religiose, ma non si va oltre. Si dà per scontato che l’America sia una società religiosa solo perché il Presidente Bush infarcisce i suoi discorsi di banali e furbetti riferimenti al divino, e non ci si interroga ad esempio sulla profondità, la coerenza e la cristianità concreta dei cittadini di nuovo e vecchio continente. Una domanda finale per l’autorevole New York Times: meglio il cristianesimo laico dell’Europa o quello con il quale Bush giustifica la guerra all’Iraq? Meglio un Dio freddo ma tollerante, o uno appassionato ma petroliere?


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