238 - 18.10.03


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Francia, prove di convivenza tra valori diversi


La società francese è un laboratorio dove i valori si scontrano con più virulenza, ma anche con maggiore passione, e dove lo scontro dà talvolta luogo a inedite costellazioni di valori, nuovi incroci che permettono di affrontare i mutamenti tecnologici, ma soprattutto antropologici, di fronte ai quali siamo spesso malamente attrezzati. Per questo, i temi sui quali si appassiona oggi, in questo inizio di autunno, l’opinione pubblica francese meritano una attenzione importante, soprattutto nella prospettiva di un’Europa che dovrà necessariamente trovare una omogeneità culturale, oltre che politica. Due sono alcuni aspetti che, sulla stampa francese, hanno ricevuto grande risalto: il caso di Vincent Humbert, giovane tetraplegico cieco e muto, morto dopo alcuni giorni di coma, indotto volontariamente dalla madre disperata tramite una iniezione di barbiturici; e il difficile rapporto tra Islam e istituzioni statali.

Durante i giorni del “caso Humbert”, i principali esponenti del governo francese, dopo qualche timida apertura di Bernard Kouchner, ministro della salute, si sono dichiarati contrari a rivedere la legge francese, che vieta l’eutanasia. In una intervista a Le «Figaro» del 27 settembre, ripresa da molti quotidiani, Raffarin ha argomentato il rifiuto a cambiare la legge: «La vita non appartiene ai politici». Inoltre, ha proseguito Raffarin, non si può legiferare basandosi su situazioni specifiche come quella del caso in questione. Altri membri del governo si sono associati alla posizione di Raffarin, rifiutandosi di operare un cambiamento della legge sulla base dell’ondata emotiva seguita all’evento Humbert.

Tuttavia, come dimostra anche un caso analogo che proprio in questi primi giorni di ottobre occupa la stampa italiana, il tema dell’eutanasia, nonostante le gravi lacerazioni che comporta, sarà sempre più al centro dell’opinione pubblica europea, e costringerà i Parlamenti a prendere posizione di fronte ad un mutamento antropologico davvero radicale, le cui conseguenze pratiche e culturali sono, come purtroppo sempre accade, ignote. Di pochi giorni fa è, tra l’altro, una decisione presa dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (organo, ben distinto dal Consiglio Europeo, che raccoglie a Strasburgo le delegazioni di quarantacinque parlamenti nazionali, con il ruolo di discutere sulle grandi questioni sociali ed emettere pareri, privi tuttavia di valore vincolante). Decisione che la risonanza del caso del giovane tetraplegico, testimoniata da numerosi forum in rete (per esempio quello organizzato dal quotidiano Libération, dove si possono leggere lettere davvero toccanti), ha contribuito a non far passare in sordina sulla scena francese.

Pochi giorni fa l’Assemblea, che si era riproposta di riaprire la discussione sull’eutanasia (dopo la delibera del 1999, nella quale aveva fornito un parere non favorevole alla sua legalizzazione), giudicando la riflessione troppo poco avanzata per formulare una nuova raccomandazione agli stati membri, ha deciso di non fornire una nuova risoluzione, e di rimandare la discussione - prevista per martedì 30 settembre - sul rapporto adottato il 5 settembre dalla commissione che si occupa delle questioni sociali, sanitarie e familiari. Il progetto proposto dalla suddetta commissione – e approvato con una fragile maggioranza di 15 voci contro 12 - afferma che «nessuno ha il diritto di imporre al morente o a un malato in fase terminale di continuare a vivere in una angoscia e sofferenza intollerabili, qualora esprima ripetutamente il desiderio di morire».

Inoltre, suggerisce di introdurre, laddove non esista, una legislazione che incoraggi i medici che accettino «l’idea dei curare malati incurabili, sottoposti a sofferenze costanti, intollerabili e senza speranza di vedere un miglioramento del loro stato, a mettere fine ai loro giorni nel caso ne facciano domanda in maniera ripetuta, volontaria e profondamente ponderata». La raccomandazione adottata qualche anno fa manteneva l’interdizione di mettere fine alla vita di malati incurabili sulla base dell’articolo della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, secondo il quale la morte non può essere intenzionalmente inflitta ad alcuno, né il desiderio di morire può costituire il fondamento giuridico di morte causata da terzi o delle azioni finalizzate alla morte stessa. La commissione proponeva di ritornare su questa posizione, giudicata ormai inadatta, sulla base di alcune argomentazioni, tra le quali figurano l’evidenza di una pratica diffusa sebbene nascosta e l’esistenza di una legislazione depenalizzante nei Paesi Bassi e in Belgio (nel 2002 ci sono stati ben 1982 casi solo nei Paesi Bassi).

Religione e laicità

Altra zona di tensione che il dibattito francese segnala è quella del rapporto tra religione islamica e politica, che da qualche mese in Francia occupa spesso le prime pagine dei giornali. Il numero de «L’Express» del 18-24 settembre ha dedicato al tema la copertina e il dossier principale, intitolato «Ce qu’il faut plus accepter». In un lungo e chiaro articolo, a firma di Besma Lahouri et Eric Conan, i due autori denunciano un rischioso arretramento del principio della separazione tra Stato e Chiesa sancito dalla legge del 1905, e in parte causato dalle divisioni interne non solo al governo, ma anche all’opposizione. I due autori spiegano poi come proprio l’istituzione di una commissione di venti saggi presieduta da Bernard Stasi, voluta da Chirac, sia stata finalizzata ad una migliore applicazione del principio di laicità, in modo da mettere fine una «cacofonia ministeriale» mai venuta meno a partire dalla scorsa primavera.

Due linee si oppongono infatti all’interno del governo: da un lato, la linea Raffarin, a favore di una legge che impedisca l’utilizzo del velo, questione simbolo del dibattito; dall’altra quella del ministro dell’interno Nicolas Sarkozy, da alcuni definito un «Napoleone dell’Islam» (in riferimento all’assemblea di notabili ebrei convocata dall’imperatore nel 1807, che obbligava ad abbandonare le disposizione politiche del talmud contrarie al codice civile), che è favorevole ad una linea di mediazione e dialogo e che intrattiene relazioni di confidenza con la più influente organizzazione musulmana, l’OUIF. Lo scontro si è acceso, come riferiscono i due autori, dopo l’elezione del Conseil Francais du culte musulman (CFCM), nella quale i fondamentalisti hanno vinto sui moderati della Moschea di Parigi, tra cui il «consigliere» di Chirac, Dalil Boubakeur; l’elezione è stata una doccia fredda sul ministro dell’interno, cui va tra l’altro il merito di aver istituito il CFCM, struttura di rappresentanza delle minoranza musulmane.

In ogni caso, al di là di un governo con una linea non definita e di una sinistra che sembra aver dimenticato la lotta per la laicità a favore di un confuso multiculturalismo, la lista dei dilemmi che le persone sul campo, come gli insegnanti, si trovano a fronteggiare è impressionante: come comportarsi con alunni che devono interrompere il digiuno del Ramadam o che pregano durante un esame? Con genitori che impediscono alla figlia di andare in piscina? Con un compito di filosofia in cui si spiega che la ragione appartiene ad Allah? Con chi rifiuta il regime misto in ospedali e cliniche, opponendosi a che la propria moglie venga visitata da un uomo? Esempi di vita pratica, solo apparentemente marginali, perché portano con sé alcuni pressanti interrogativi. Interrogativi cui, come nel caso dell’eutanasia, l’Europa prima o poi sarà chiamata a rispondere con una legislazione comune.

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