La società francese è un laboratorio
dove i valori si scontrano con più virulenza,
ma anche con maggiore passione, e dove lo scontro
dà talvolta luogo a inedite costellazioni di
valori, nuovi incroci che permettono di affrontare
i mutamenti tecnologici, ma soprattutto antropologici,
di fronte ai quali siamo spesso malamente attrezzati.
Per questo, i temi sui quali si appassiona oggi, in
questo inizio di autunno, l’opinione pubblica
francese meritano una attenzione importante, soprattutto
nella prospettiva di un’Europa che dovrà
necessariamente trovare una omogeneità culturale,
oltre che politica. Due sono alcuni aspetti che, sulla
stampa francese, hanno ricevuto grande risalto: il
caso di Vincent Humbert, giovane tetraplegico cieco
e muto, morto dopo alcuni giorni di coma, indotto
volontariamente dalla madre disperata tramite una
iniezione di barbiturici; e il difficile rapporto
tra Islam e istituzioni statali.
Durante i giorni del “caso Humbert”, i
principali esponenti del governo francese, dopo qualche
timida apertura di Bernard Kouchner, ministro della
salute, si sono dichiarati contrari a rivedere la
legge francese, che vieta l’eutanasia. In una
intervista a Le «Figaro» del 27 settembre,
ripresa da molti quotidiani, Raffarin ha argomentato
il rifiuto a cambiare la legge: «La vita non
appartiene ai politici». Inoltre, ha proseguito
Raffarin, non si può legiferare basandosi su
situazioni specifiche come quella del caso in questione.
Altri membri del governo si sono associati alla posizione
di Raffarin, rifiutandosi di operare un cambiamento
della legge sulla base dell’ondata emotiva seguita
all’evento Humbert.
Tuttavia, come dimostra anche un caso analogo che
proprio in questi primi giorni di ottobre occupa la
stampa italiana, il tema dell’eutanasia, nonostante
le gravi lacerazioni che comporta, sarà sempre
più al centro dell’opinione pubblica
europea, e costringerà i Parlamenti a prendere
posizione di fronte ad un mutamento antropologico
davvero radicale, le cui conseguenze pratiche e culturali
sono, come purtroppo sempre accade, ignote. Di pochi
giorni fa è, tra l’altro, una decisione
presa dall’Assemblea parlamentare del Consiglio
d’Europa (organo, ben distinto dal Consiglio
Europeo, che raccoglie a Strasburgo le delegazioni
di quarantacinque parlamenti nazionali, con il ruolo
di discutere sulle grandi questioni sociali ed emettere
pareri, privi tuttavia di valore vincolante). Decisione
che la risonanza del caso del giovane tetraplegico,
testimoniata da numerosi forum in rete (per esempio
quello organizzato dal quotidiano Libération,
dove si possono leggere lettere davvero toccanti),
ha contribuito a non far passare in sordina sulla
scena francese.
Pochi giorni fa l’Assemblea, che si era riproposta
di riaprire la discussione sull’eutanasia (dopo
la delibera del 1999, nella quale aveva fornito un
parere non favorevole alla sua legalizzazione), giudicando
la riflessione troppo poco avanzata per formulare
una nuova raccomandazione agli stati membri, ha deciso
di non fornire una nuova risoluzione, e di rimandare
la discussione - prevista per martedì 30 settembre
- sul rapporto adottato il 5 settembre dalla commissione
che si occupa delle questioni sociali, sanitarie e
familiari. Il progetto proposto dalla suddetta commissione
– e approvato con una fragile maggioranza di
15 voci contro 12 - afferma che «nessuno ha
il diritto di imporre al morente o a un malato in
fase terminale di continuare a vivere in una angoscia
e sofferenza intollerabili, qualora esprima ripetutamente
il desiderio di morire».
Inoltre, suggerisce di introdurre, laddove non esista,
una legislazione che incoraggi i medici che accettino
«l’idea dei curare malati incurabili,
sottoposti a sofferenze costanti, intollerabili e
senza speranza di vedere un miglioramento del loro
stato, a mettere fine ai loro giorni nel caso ne facciano
domanda in maniera ripetuta, volontaria e profondamente
ponderata». La raccomandazione adottata qualche
anno fa manteneva l’interdizione di mettere
fine alla vita di malati incurabili sulla base dell’articolo
della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo,
secondo il quale la morte non può essere intenzionalmente
inflitta ad alcuno, né il desiderio di morire
può costituire il fondamento giuridico di morte
causata da terzi o delle azioni finalizzate alla morte
stessa. La commissione proponeva di ritornare su questa
posizione, giudicata ormai inadatta, sulla base di
alcune argomentazioni, tra le quali figurano l’evidenza
di una pratica diffusa sebbene nascosta e l’esistenza
di una legislazione depenalizzante nei Paesi Bassi
e in Belgio (nel 2002 ci sono stati ben 1982 casi
solo nei Paesi Bassi).
Religione e laicità
Altra zona di tensione che il dibattito francese
segnala è quella del rapporto tra religione
islamica e politica, che da qualche mese in Francia
occupa spesso le prime pagine dei giornali. Il numero
de «L’Express» del 18-24 settembre
ha dedicato al tema la copertina e il dossier principale,
intitolato «Ce qu’il faut plus accepter».
In un lungo e chiaro articolo, a firma di Besma Lahouri
et Eric Conan, i due autori denunciano un rischioso
arretramento del principio della separazione tra Stato
e Chiesa sancito dalla legge del 1905, e in parte
causato dalle divisioni interne non solo al governo,
ma anche all’opposizione. I due autori spiegano
poi come proprio l’istituzione di una commissione
di venti saggi presieduta da Bernard Stasi, voluta
da Chirac, sia stata finalizzata ad una migliore applicazione
del principio di laicità, in modo da mettere
fine una «cacofonia ministeriale» mai
venuta meno a partire dalla scorsa primavera.
Due linee si oppongono infatti all’interno
del governo: da un lato, la linea Raffarin, a favore
di una legge che impedisca l’utilizzo del velo,
questione simbolo del dibattito; dall’altra
quella del ministro dell’interno Nicolas Sarkozy,
da alcuni definito un «Napoleone dell’Islam»
(in riferimento all’assemblea di notabili ebrei
convocata dall’imperatore nel 1807, che obbligava
ad abbandonare le disposizione politiche del talmud
contrarie al codice civile), che è favorevole
ad una linea di mediazione e dialogo e che intrattiene
relazioni di confidenza con la più influente
organizzazione musulmana, l’OUIF. Lo scontro
si è acceso, come riferiscono i due autori,
dopo l’elezione del Conseil Francais du culte
musulman (CFCM), nella quale i fondamentalisti hanno
vinto sui moderati della Moschea di Parigi, tra cui
il «consigliere» di Chirac, Dalil Boubakeur;
l’elezione è stata una doccia fredda
sul ministro dell’interno, cui va tra l’altro
il merito di aver istituito il CFCM, struttura di
rappresentanza delle minoranza musulmane.
In ogni caso, al di là di un governo
con una linea non definita e di una sinistra che sembra
aver dimenticato la lotta per la laicità a
favore di un confuso multiculturalismo, la lista dei
dilemmi che le persone sul campo, come gli insegnanti,
si trovano a fronteggiare è impressionante:
come comportarsi con alunni che devono interrompere
il digiuno del Ramadam o che pregano durante un esame?
Con genitori che impediscono alla figlia di andare
in piscina? Con un compito di filosofia in cui si
spiega che la ragione appartiene ad Allah? Con chi
rifiuta il regime misto in ospedali e cliniche, opponendosi
a che la propria moglie venga visitata da un uomo?
Esempi di vita pratica, solo apparentemente marginali,
perché portano con sé alcuni pressanti
interrogativi. Interrogativi cui, come nel caso dell’eutanasia,
l’Europa prima o poi sarà chiamata a
rispondere con una legislazione comune.
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