Tra cronache di incendi, echi del sanguinoso dopoguerra
iracheno, supplementi estivi di racconti e viaggi,
i giornali francesi sembrano essersi dimenticati dei
lavori della Convenzione e della neonata Costituzione
europea. L’Europa continua però a comparire,
qua e là, sotto forma di interrogativi e inquietudini
legate temi economici e della crescita.
La crescita dell’euro, che per mesi e mesi
ha arrancato dietro al dollaro, ora spaventa per le
conseguenze negative che porta con sé in relazione
alla competizione delle imprese, a causa del fenomeno
della deflazione. In seguito alla pubblicazione dei
risultati semestrali di alcuni dei principali gruppi
francesi, “Le Monde” parla di risultati
“en demi-teinte”, grigi, per le aziende
francesi, in generale calo, con qualche eccezione
(tra cui France Telecom) a causa, appunto, del rialzo
dell’euro, ma non solo. Guerra in Iraq, Sars,
alti tassi di disoccupazione: argomenti dalle nostre
parti troppo spesso utilizzati per spiegare tutti
i mali dell’Italia e che tuttavia - come mette
in luce la stessa stampa francese - hanno inciso e
incidono pesantemente sull’intera economia europea.
Quello che più in generale appare, sotto
gli occhi delle lenti francesi, è un continente
in declino, fermo nell’economia, e comunque
in ritardo rispetto agli Stati Uniti, che pure non
vivono una congiuntura semplice. Questi ultimi possono
tuttavia contare sull’abbassamento del
dollaro e su una politica economica che l’economista
Alain Cotta definisce su “Le Figaro” del
29 luglio, dinamica e keynesiana, a fronte di una
politica europea stagnante e conservatrice: un’Europa,
prosegue Cotta, fatta di “rentier”, di
individui passivi e sempre più anziani e che
continuano tuttavia a determinare le scelte politiche
(l’articolo comparso su Le Figaro fa parte
di una serie di articoli relativi al tema “Quelle
croissance per l’Europe?”. Segno che,
appunto, quello della crescita europea è un
interrogativo ricorrente, e con poche risposte chiare).
Una tempesta in un bicchier d’acqua
Il tema dell’economia ha interessato la stampa
francese anche a proposito della polemica creatasi
sul caso del rapporto Sapir, redatto sotto la guida
dell’economista André Sapir, consulente
di Romano Prodi. Dopo l’uscita del rapporto,
Prodi ha dovuto esplicitamente dichiarare di
non avere una posizione esplicita sulle sue conclusioni
(il testo per la stampa non riportava infatti il logo
della Commissione), vivacemente contestate da alcuni
commissari, tra cui Michel Barnier. Il rapporto formula,
come spiegano Thomas Ferenczi et Philippe Ricard in
un articolo su “Le Monde” del 19 luglio,
alcune raccomandazioni per rilanciare la crescita
in Europa, e avanza alcune critiche alla ripartizione
del budget della Commissione Europea, non esitando
a definire le politiche agricole e regionali dell’Unione
"un vestige historique".
A questo proposito, il rapporto Sapir consiglia di
ridistribuire le risorse in favore non tanto e non
solo delle regioni più povere all’interno
dei singoli paesi, ma soprattutto dei paesi più
economicamente arretrati: nuovi membri, così
come Spagna, Grecia, Portogallo. Inoltre, secondo
Sapir, la politica agricola europea va rimessa in
discussione, più in generale, perché
impegna la metà delle spese a favore di un
settore definito “in declino”.
Su “Le Monde” del 29 luglio Charles Wyplosz,
professore di economia internazionale e direttore
del centro internazionale di studi bancari e finanziari
dell’Istituto superiore di studi internazionali
di Genova, si stupisce dell’alzata di scudi
di alcuni commissari contro il rapporto, e parla a
proposito di una vera e propria tempesta in un bicchier
d’acqua. A suo avviso, il rapporto non ha fatto
altro che guardare in faccia la verità, riconoscendo
che i fondi della commissione sono mal distribuiti
e auspicando la liberazione di risorse per dinamizzare
un’Europa che si trascina con un tasso di crescita
inferiore a quello che servirebbe per far calare la
disoccupazione.
Proprio questo, nota Wyplosz, era tra l’altro
l’obiettivo del Consiglio di Lisbona. Se si
vuole rilanciare la crescita, non si può dunque
continuare a riservare l’ottanta per cento delle
risorse alle politiche regionali e alla politica agricola
comune, che, oltre a non raggiungere i propri obiettivi,
continua a penalizzare i paesi poveri; bisognerà
invece continua Wyplosz, fare qualche piccola rinuncia,
sacrificando anche qualche “vacca sacra”.
Ad ogni modo, nell’entourage di Prodi si sottolinea
che “i commissari prenderanno gli elementi che
giudicheranno utili, rigettando gli altri”,
e che l’obiettivo del presidente della Commissione
era semplicemente quello di provocare un dibattito.
Al di là della querelle, tuttavia,
il rapporto Sapir è uno dei tanti studi che
esprimono la preoccupazione per un’Europa ferma,
ancora in attesa di una forte politica comune che
possa finalmente farne una regione mondiale strategica,
sia dal punto di vista economico che geopolitico.
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