Il dialogo
come arma contro il radicalizzarsi dei contrasti e delle
caricature delle immagini degli Altri, di un islam tutto
violento e fondamentalista da una parte e di un Occidente
tutto blasfemo e nichilista dall'altra. L'incontro organizzato
al Cairo era il primo atto della neonata Associazione
Reset-Dialogues on Civilizations,
promossa dalla rivista italiana diretta da Giancarlo
Bosetti insieme agli imprenditori Georg
Heinrich Thyssen-Bornemisza, Francesco
Micheli, Piergaetano Marchetti,
ed ha riunito per tre giorni nella capitale egiziana
filosofi, storici, politologi, uomini politici. Gli
interventi di egiziani, iraniani, siriani, di intellettuali
americani e di politici, europei come Otto Schily
e Giuliano Amato hanno aggredito l'idea
che a fronteggiarsi siano dei blocchi compatti dietro
le insegne dell'Islam, del Cristianesimo, dell'Occidente
e dell'Oriente.
“Noi non siamo un blocco, voi non siete un blocco”.
Occidente e Oriente coltivano un’immagine deformata
l’uno dell’altro e agli uomini di buona
volontà spetta il compito di smontarla, per evitare
che la semplificazione faccia il gioco dei rispettivi
fondamentalismi. Giuliano Amato lo ha affermato al Cairo,
al convegno internazionale “Beyond Orientalism
and Occidentalism”, organizzato dall’Associazione
Reset-Dialogues on Civilizations, e lo ha ribadito in
un’intervista a Guido Rampoldi su la Repubblica
del 9 marzo.
L’invito di Amato è ad aprire, con urgenza,
il dialogo. La vignetta di un quotidiano danese –
ha ricordato il vicepresidente della Convenzione europea
– non può rappresentare la posizione di
un intero continente, così come le violenze successive
non rappresentano l’intero mondo musulmano: “Abbandoniamo
i vecchi stereotipi – ha rilanciato – Una
volta usciti dalle semplificazioni non sarebbe difficile
convergere verso valori etici comuni”.
È questa la via per allontanare lo scontro tra
civiltà, perché l’esperienza del
Cairo ha dimostrato appunto che filosofi e giuristi
liberali, musulmani o no, possono sentirsi in fondo
un Noi: “Dobbiamo, gli uni e gli altri, prendere
coscienza dei nostri difetti. Nel loro caso, un vittimismo
che finisce per legittimare il terrorismo. Nel nostro,
una visione della vita e della società nella
quale la macchina dell’economia e l’uso
delle libertà troppo spesso appaiono del tutto
slegate dall’etica”.
Amato non chiede affatto “meno religione”
nello spazio pubblico. Ne loda il ruolo sociale, e chiede
solo di spostare il dialogo dal piano teologico a quello
etico: “Non si tratta di convincere i musulmani
ma di trovare valori comuni alle nostre fedi. E a chi
non crede, aggiungo”.
Perché il dialogo sia più spedito, però,
l’Occidente deve smettere di considerare la visione
liberale della politica e della società strettamente
connessa e avvinta alla propria identità, come
se fosse una caratteristica etnologica ed esclusiva
di una parte del mondo, in special modo se tale identità
viene fatta coincidere col Cristianesimo e, viceversa,
il Cristianesimo è ridotto al mondo Occidentale;
allo stesso tempo il mondo islamico dovrebbe smettere
di vedere intenzioni colonialiste in tutte le iniziative
dell’Occidente.
“La battaglia non è persa – conclude
Giuliano Amato – Credo sia arrivato il momento
di chiamare tutti alle proprie responsabilità.
Le religioni, che devono rifiutare le contrapposizioni
identitarie. La politica, che non solo negli Stati Uniti
ma ora anche in Italia, usa lo ‘scontro tra civiltà’
per rafforzarsi nello scontro interno. E i media: consolidare
e amplificare gli stereotipi non è senza conseguenze”.
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