Quello che segue è un intervento
tratto “I quaderni dell’Irer. Innovazione
tecno-scientifica, innovazione della democrazia”
(Guerini e Associati) realizzato dall’Istituto
Regionale di Ricerca della Lombardia e dalla Fondazione
Giannino Bassetti.
L’autore è Docente di Metodologia e tecniche
della ricerca sociale,
Università di Padova.
Il Progetto Partecipazione Pubblica e Governance
dell’Innovazione (PPGI) è una sperimentazione
istituzionale – promossa da Regione Lombardia,
IReR, Fondazione Bassetti e Observa-Science in Society
– riguardante due procedure partecipative sul
tema degli ogm. Quella degli ogm è infatti
una questione da un lato molto vicina alla sensibilità
dei cittadini, dall’altro tale da poter essere
affrontata da una serie di “attori sociali”
(biotecnologi, imprenditori, associazioni di agricoltori,
associazioni di consumatori, ecc.), nonché
frequentemente toccata dall’agenda mediatica.
Nello specifico ci siamo occupati della questione
degli esperimenti sugli ogm effettuati in campo aperto
(che in Italia si possono fare, seppur con dei limiti):
abbiamo cercato cioè di isolare un particolare
aspetto della questione ogm e di indagarlo a livello
locale. Tuttavia non si è trattato soltanto
di una sperimentazione di modelli procedurali, ma
di un vero e proprio progetto di ricerca, di una serie
di studi e di riflessioni sul tema delle biotecnologie
in campo agroalimentare.
Nel presentare l’esperienza della ricerca illustrerò
innanzitutto la procedura adottatai risultati, che
è molto simile alla cosiddetta consensus
conference; avanzerò poi alcune conclusioni
sui risultati che abbiamo ottenuto; infine vorrei
fare proporre alcune valutazioni che riguardano l’efficacia
di determinate procedure di partecipazione. Sottolineo
l’espressione “valutare” perché
molto spesso, anche nella letteratura internazionale,
le esperienze che vengono presentate non brillano
quanto a elementi valutativi. Nel nostro progetto,
invece, abbiamo cercato di integrare alcuni strumenti
di valutazione, per far emergere non solo i risultati
positivi, ma anche tutte le criticità legate
a questo tipo di esperienze.
Due modi diversi per
informarsi e discutere
La nostra ricerca, sostanzialmente, è stata
strutturata in questo modo: da un lato uno studio
approfondito della letteratura esistente, dall’altro
una serie di incontri con i cittadini lombardi, di
cui parlerò in seguito in maniera più
diffusa. Abbiamo poi condotto anche un intenso lavoro
di analisi dei media, in particolare dei principali
quotidiani nazionali, per tenere conto del cosiddetto
“livello di copertura” nel periodo in
cui si è svolta la sperimentazione (e cioè
nel primo semestre del 2004) e per capire così
il tipo di impatto che certi “allarmi mediatici”
potevano causare.
I gruppi di discussione che abbiamo organizzato sono
stati riuniti in due giornate di lavoro, con due diversi
panel di 14 cittadini lombardi ciascuno:
persone selezionate ed articolate secondo delle variabili
di stratificazione (età, genere, titolo di
studio e area territoriale) in modo tale da risultare
rappresentative, ovverosia da fornire un piccolo spaccato
del territorio lombardo - anche se questo tipo di
iniziative non ha una pretesa di rappresentatività
statistica.
A questi due incontri, condotti da un “facilitatore”,
sono intervenuti anche esperti e “portatori
di interessi”: scienziati di pareri diversi
– scienziati più critici e scienziati
più favorevoli – in modo da presentare
l’intero spettro delle opinioni, ambientalisti,
associazioni di consumatori e rappresentanti degli
agricoltori. Avevamo invitato anche dei giornalisti,
che però, purtroppo, non si sono presentati.
Gli incontri sono stati articolati in tre fasi principali.
Innanzitutto un dibattito durante il quale i cittadini
si sono trovati a discutere sull’argomento senza
alcuna preparazione preliminare, se non quella che
ciascuno aveva per conto proprio. Questo in modo diverso
da altre esperienze in cui vengono forniti anticipatamente
dei dossier. La domanda rivolta loro era molto semplice
e diretta: “siete favorevoli a sperimentazioni
di ogm in campo aperto nel territorio lombardo?”.
Una seconda fase prevedeva invece un confronto con
soggetti esperti (scienziati e stakeholders). Infine
gli incontri si sono conclusi con la redazione di
un documento di sintesi, una sorta di atto deliberativo
in cui venivano rappresentati i diversi punti di vista
emersi, argomentati e articolati nel corso delle discussioni.
Non si trattava necessariamente di un documento unitario;
le persone, infatti, non dovevano per forza arrivare
ad un consenso unanime.
Gli incontri sono stati condotti però secondo
due diversi tipi di procedura, per cercare di mettere
a confronto due differenti metodi di partecipazione
e poter così valutare l'efficacia delle procedure,
le potenzialità e le criticità.
La prima procedura si svolgeva con una prima fase
di discussione di un gruppo di soli cittadini, che
dovevano articolare le proprie posizioni per poi scegliere,
entro una rosa di esperti, chi convocare per il confronto,
da effettuare in una seconda fase.
La seconda procedura prevedeva, invece, una prima
fase con un incontro (a “domanda e risposta”)
tra i cittadini e gli esperti, che dava spazio a questi
ultimi di esporre preventivamente le proprie ragioni,
e proseguiva con un’assemblea di cittadini dove
ciascuno poteva presentare e proporre la propria posizione.
È chiaro che nella prima tipologia di procedura
la definizione del problema è lasciata ai cittadini,
i quali hanno più tempo per strutturare la
propria opinione e per rafforzarsi nei propri convincimenti.
Nella seconda tipologia, invece, l’influenza
degli esperti è molto più forte, perché
si esercita fin da subito; di conseguenza, per i cittadini,
la possibilità di mettere in discussione le
proprie idee di partenza è nettamente più
alta. Uno dei nostri scopi, infatti, era proprio quello
di capire se – e in che misura – in questo
tipo di dibattiti sia possibile modificare le proprie
posizioni, e attraverso quali meccanismi. Si tratta
di un problema molto studiato, ad esempio dai sondaggi
informati di Fishkin e da altre metodiche.
Orbene, nella procedura B, quella in cui gli esperti
hanno avuto una maggiore possibilità di incidere
sulle modalità con cui i cittadini strutturavano
l’argomento, meno persone sono rimaste sulle
loro posizioni. È chiaro che non si è
trattato di un ribaltamento o di uno stravolgimento
completo dei propri punti di vista iniziali: quello
che è emerso, però, è che i partecipanti
erano maggiormente disposti a modificare la propria
opinione, moderandola o radicalizzandola (ad esempio
accettando la sperimentazione, pur rimanendo complessivamente
contrari all’utilizzo degli ogm). Bisogna ammettere
tuttavia che alcune convinzioni, soprattutto quelle
legate a sistemi “centrali” di valori
e di credenze, si sono dimostrate molto stabili, molto
radicate, e quindi difficilmente modificabili o “negoziabili”
nel corso di queste discussioni.
E’ stato poi condotto un follow-up a
distanza di tre mesi: le persone convocate ai panel
sono state ricontattate telefonicamente per una valutazione
dell’esperienza, e in particolare per vedere
se i cambiamenti che avevamo osservato si erano stabilizzati.
E si è visto che coloro che avevano avuto un
più ampio contatto con gli esperti ed una più
elevata possibilità di discutere con loro (secondo
tipo di procedura) mantenevano una maggior predisposizione
al cambiamento – o per lo meno alla modifica
– della propria posizione.
In generale, comunque, i cittadini coinvolti (ed
anche gli esperti) hanno fornito un parere positivo
in merito a questi incontri; molti hanno apprezzato
il fatto che la discussione si sia svolta con un certo
ordine, permettendo di arrivare a definire i termini
delle questioni trattate.
Verso un’opinione pubblica
p iù approfondita e consapevole
Veniamo approfondita adesso ai risultati. Innanzitutto
abbiamo riscontrato un’articolazione della tematica
maggiore rispetto alla norma. E’ stato molto
interessante vedere analizzate, durante gli incontri,
tutta una serie di dimensioni tematiche che solitamente,
nel dibattito pubblico e sui media, non vengono considerate:
aspetti di natura economica, aspetti di natura sociale,
ed anche aspetti riguardanti la libertà e la
competitività della ricerca.
Un altro fatto importante, emerso in maniera piuttosto
chiara nelle discussioni, è l’apertura
dei cittadini a varie soluzioni di policy:
la distinzione e al tempo stesso la connessione tra
elementi politici, elementi economici ed elementi
squisitamente scientifici e tecnologici, hanno fatto
sì che i soggetti interpellati non si siano
indirizzati esclusivamente verso soluzioni unilaterali,
ma abbiano segnalato invece l’opportunità
di una risposta “multistrutturata”.
Un’ultima considerazione. Molto spesso si sente
dire che gli italiani sono contro le sperimentazioni,
contro la ricerca, contro l’innovazione. Ciò
che è risultato chiaro, invece, sia dal primo
che dal secondo panel, è il fatto
che la ricerca è ritenuta da tutti molto importante,
come importante è considerato il ruolo delle
istituzioni, soprattutto di quelle locali. I cittadini
pensano infatti che siano gli organismi locali a dover
prendere decisioni in merito a queste questioni, mentre
al giorno d’oggi in Italia esse sono di competenza
del Ministero dell’Ambiente, non trattandosi
di una materia “concorrente”.
Infine, qualche accenno a proposito delle criticità
emerse. I soggetti coinvolti hanno mostrato un certo
scetticismo ed una certa disillusione - peraltro riscontrata
nella valutazione di varie esperienze, anche internazionali
- in merito all’effettiva forza dei documenti
di sintesi elaborati al termine degli incontri. Il
timore dei cittadini è che tali documenti,
nonostante siano ricchi di raccomandazioni, non abbiano
in realtà una grande capacità di incidere
sui processi decisionali in maniera realmente vincolante.
Qualcuno ha anche lamentato come incontri di una sola
giornata non siano sufficienti, perché, quando
si devono affrontare temi come questi, è necessario
informarsi, leggere, argomentare, confrontarsi, discutere,
e tutto ciò richiede tempo (in effetti, le
consensus conferences realizzate a livello
internazionale occupano di solito un paio di giorni,
a distanza di quindici giorni l’uno dall’altro).
Una via partecipata alle decisioni
Vorrei adesso avanzare alcune considerazioni sul
tema delle procedure partecipative. La procedura da
noi utilizzata è partita dalla definizione
della questione centrale, è passata alla discussione
delle problematiche ad esso connesse, ed è
giunta alla stesura di un documento deliberativo finale,
il quale esprime la posizione dei cittadini anche
in merito al “come” si debba procedere
relativamente alla fase decisionale: chi deve decidere,
in che modo, su che base, ecc.
Questo è un punto molto importante: i meccanismi
partecipativi non sono – né devono pretendere
di essere – una panacea; tuttavia essi permettono
sicuramente di migliorare i processi decisionali,
quantomeno dal punto di vista procedurale. Questi
metodi offrono infatti ai cittadini molti elementi
informativi, permettono loro di affrontare una questione,
di discuterla e di riconsegnarla poi alle istituzioni
in una veste più articolata, non semplicemente
polarizzata entro una visione dicotomica (sì/no),
che spesso è proprio ciò che ostacola
i processi decisionali. Quello che è emerso,
quindi, anche secondo il parere dei cittadini, è
che le procedure di deliberazione pubblica non sono
certo risolutive, ma possono essere molto utili come
“accompagnamento” dei normali processi
di decision-making.
A tale proposito vorrei ricordare brevemente un caso
di qualche anno fa. Nel 2000 è stato condotto
in Svizzera un Publiforum sugli ogm, a seguito
del quale i cittadini si sono dichiarati favorevoli
alla ricerca, ma hanno richiesto una moratoria di
cinque anni per quanto riguardava la commercializzazione
dei prodotti. Il Parlamento ha approvato una legge
sugli ogm che non prevedeva tale moratoria, ma la
legge è stata abrogata grazie ad un referendum
popolare che ha raccolto l’80% dei consensi
degli Svizzeri. In quella occasione, dunque, l’utilizzo
di metodi partecipativi ha reso la popolazione più
consapevole, portandola ad azioni di cosiddetta “democrazia
diretta” che sono state in grado di incidere
in maniera significativa sui processi decisionali.
Attualmente una delle questioni emergenti è
indubbiamente quella delle nanotecnologie: se non
sarà considerata adeguatamente, se non ne discuteremo
in modo aperto ed efficace, c’è il pericolo
che fra cinque, dieci anni, ci troveremo di nuovo
nella stessa situazione in cui siamo oggi a proposito
degli ogm.
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