323 - 21.06.07


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Spin, i colpi a effetto della politica

Giancarlo Bosetti


Il testo che segue è tratto dal libro
Spin. Trucchi e tele-imbrogli della politica (Marsilio)


Mi piace pensare – e non sono il solo – che la prova essenziale di un sistema democratico stia in quel fatto chiaro e distinto che è il congedo di un governo uscente, più che in quel fatto vago e nebuloso che è l’investitura di uno nuovo. Nel primo si manifestano la lucidità e l’efficacia di un giudizio su azioni passate, nel secondo si apre un gran dibattito su speranze e promesse, opinabili e affidate a un futuro indistinto.

Nel caso di Bush l’indice di disapprovazione rilevato dai sondaggi, che era già alto nel 2004, avrebbe superato definitivamente e irreversibilmente quello di approvazione nel luglio del 2005 . Nel caso di Berlusconi tutti gli indicatori erano largamente negativi: elezioni amministrative e parziali perse per tutta la legislatura e sondaggi convergenti nell’indicare un netto distacco rispetto alla coalizione avversaria fino a poco prima del voto del 10 aprile 2006.

A confortare il ragionamento sullo sconcerto per i successi elettorali dei protagonisti della guerra in Iraq si sarebbe potuto aggiungere anche il caso di Tony Blair, ma questo confronto è solo in parte pertinente, se ci riferiamo ai trucchi impiegati intorno all’Iraq. In effetti il circuito di una comunicazione drogata durante la guerra ha collegato i tre governi – Washington, Londra, Roma – ed è stato accompagnato anche da qualche traffico dei rispettivi servizi di intelligence. E anche questi traffici, più o meno “integrati”, spiegano come bugie di portata globale abbiano potuto durare tanto e sostenersi a vicenda . Ma nel caso inglese l’inconsistenza dell’opposizione conservatrice, incapace finora di diventare una minaccia per il governo, fa sì che esso non sia paragonabile ai casi italiano e americano, meno squilibrati nei rapporti di forza tra destra e sinistra. I conservatori britannici sono stati in questo periodo troppo poco competitivi per essere ritenuti un test. E poi bisogna considerare i migliori risultati che il governo neolaburista ha avuto sul fronte interno, rispetto al modesto bilancio di Bush e Berlusconi.

Dunque, per una valutazione degli effetti illusori della politica truccata, l’esperimento britannico non ha un sufficiente standard probatorio. E certo un ipotetico, e un po’ paradossale, antitrust dello spin farebbe bene a preoccuparsi non solo del “mercato elettorale” americano e italiano, ma anche di quello inglese. Per riequilibrare.

Il problema stringente, di cui soprattutto parliamo qui, è quello di due governi con un bilancio chiaramente negativo che riescono a provocare un guizzo al rialzo al momento del voto. Mi sono chiesto se si potessero individuare fattori capaci di attenuare i giudizi critici degli elettori nelle fasi elettorali. Per quanto nella vita politica non si diano responsi scientifici “di laboratorio”, limpidi e indiscutibili, come in altri campi del sapere, credo di avere individuato il fattore infiammatorio e gli dedico le pagine che seguono.

Il significato delle elezioni e dei loro risultati è sempre più spesso ambiguo. Chi ha scelto che cosa? Le cabine di regia della politica sono capaci, quando va bene, di ottenere voti per affermare una maggioranza. Poi, però, quella maggioranza farà quasi sempre una politica che non soddisfa gli elettori che l’hanno votata. E neppure gli altri. Le cabine di regia promettono politiche che piacciono, ma che non possono essere realizzate, e ottengono consensi superiori al previsto grazie a qualche magico esorcismo. Nei romanzi, al teatro e al cinema, puoi moltiplicare pani e pesci. E funziona. Al governo, invece, non puoi. Puoi prorogare il momento della verità, ma solo per un po’ di tempo.

Bush ha perso la guerra e vinto le elezioni (2004) che stava (già) perdendo attraverso una regia che ha cambiato le luci, i fondali, l’inquadratura, il palcoscenico, il teatro, tutto quanto. Lo sforzo spettacolare è servito a mantenere credibile la finzione fino alle elezioni del 2 novembre 2004. Poi non è più bastato, ma l’operazione di accomodamento creativo della realtà alle necessità della campagna elettorale era stato così grande che anche lo stesso Bush ha continuato a credere a quello che diceva.

Berlusconi non è riuscito a vincere nel 2006, ma per poco. La distanza che lo separava dal suo avversario, Prodi, è stata colmata a forza di esorcismi dello stesso genere di Bush. Si tratta di una forma di magia che distrae e ottimizza, che spiana i problemi, ingrandisce le cose buone e rimpicciolisce quelle cattive, che dissolve le delusioni e regala persino gioia a chi ci crede. Eccoci giunti allo spin, all’oppio, all’additivo che i leader politici più “tossici” (o i loro registi) usano per distogliere da perturbazioni negative, per deviare lo sguardo su cose favorevoli, per dissolvere il malumore, per entrare in sintonia con le emozioni sociali, e per produrre voti .

Certo, quella della droga è solo una metafora, anche se pare che un certo numero di parlamentari, italiani e non solo, la prenda troppo alla lettera, a quanto risulta da una spettacolare inchiesta televisiva . E quella dell’oppio è una metafora che ha molto viaggiato negli ultimi secoli. Per Marx (XIX secolo) la religione è “l’oppio del popolo” perché illude, “è il sospiro della creatura oppressa, è l’anima di un mondo senza cuore”. Per Raymond Aron (XX secolo) il marxismo è “l’oppio degli intellettuali” perché il mito della rivoluzione serve da rifugio, fa da intercessore misterioso tra il reale e l’ideale, perché il suo sistema di ingranaggi mentali neutralizza le repliche della realtà, le occulta, le aggiusta, fa tornare i conti che non tornano . Questo genere di oppio che si chiama “ideologia” o “autoinganno” perfeziona gli esseri umani nella capacità di mentire agli altri e a se stessi rimanendo, taluni, “in buona fede”.

La politica si è sempre servita di analgesici, di anestesie e di anestesisti militanti. Ultimamente questo impiego di additivi illusionistici è cresciuto fino a diventare una scienza applicata, una tecnologia invasiva che si chiama in inglese spin, o politica con l’”effetto” – meglio: con il “trucco” –, e che apre un’altra breccia sul fronte dei guasti che incrinano la tenuta dei sistemi democratici. Considerati gli indici di crescita ed espansione di questo fenomeno, propongo di promuovere lo spin al ruolo di “oppio del XXI secolo”.

Quando parliamo di spin-doctoring tutti ormai capiscono di che cosa si tratta: l’attività esercitata dai politici per lo più attraverso consulenti, che consiste nel comunicare le cose in modo favorevole a se stessi e cercando di nuocere ai propri avversari, “dando l’effetto” alle informazioni, come si “dà l’effetto” alla palla nel tennis, nel ping-pong o anche nel calcio, dovunque ci sia una palla (il verbo inglese to spin deriva comunque dal cricket). È spin il modo in cui Bush ha evitato con formule elusive di rispondere del fatto che muovendo guerra all’Iraq non andava per niente a colpire al cuore i terroristi dell’11 settembre. È spin il modo in cui Berlusconi, sotto processo, attacca la magistratura e la sinistra e le incolpa di persecuzione politica oscurando la notizia specifica delle accuse che lo riguardano. Questo additivo funziona alla grande, credetemi, e cambia le carte in tavola, le trucca. Generalmente la sinistra italiana non lo usa perché nessuno si è posto seriamente il problema e anche i democratici americani ne fanno un uso troppo ridotto. Mentre si discute se questo sia forse il segno di qualche residua virtù, non sarebbe male che si aprissero corsi per insegnare ai politici refrattari come si fa, almeno, a difendersi.
Un confronto ad armi pari fa bene al sistema e dovrebbe ridurre la tolleranza dei popoli per il malgoverno, di qualunque segno politico. E, dunque, delle due l’una: o il disarmo, improbabile, oppure un equilibrio della deterrenza, possibile.

 

 

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