Il testo
che segue è tratto dal libro
Spin. Trucchi e tele-imbrogli della politica
(Marsilio)
Mi piace pensare – e non sono il solo –
che la prova essenziale di un sistema democratico stia
in quel fatto chiaro e distinto che è il congedo
di un governo uscente, più che in quel fatto
vago e nebuloso che è l’investitura di
uno nuovo. Nel primo si manifestano la lucidità
e l’efficacia di un giudizio su azioni passate,
nel secondo si apre un gran dibattito su speranze e
promesse, opinabili e affidate a un futuro indistinto.
Nel caso di Bush l’indice di disapprovazione
rilevato dai sondaggi, che era già alto nel 2004,
avrebbe superato definitivamente e irreversibilmente
quello di approvazione nel luglio del 2005 . Nel caso
di Berlusconi tutti gli indicatori erano largamente
negativi: elezioni amministrative e parziali perse per
tutta la legislatura e sondaggi convergenti nell’indicare
un netto distacco rispetto alla coalizione avversaria
fino a poco prima del voto del 10 aprile 2006.
A confortare il ragionamento sullo sconcerto per i
successi elettorali dei protagonisti della guerra in
Iraq si sarebbe potuto aggiungere anche il caso di Tony
Blair, ma questo confronto è solo in parte pertinente,
se ci riferiamo ai trucchi impiegati intorno all’Iraq.
In effetti il circuito di una comunicazione drogata
durante la guerra ha collegato i tre governi –
Washington, Londra, Roma – ed è stato accompagnato
anche da qualche traffico dei rispettivi servizi di
intelligence. E anche questi traffici, più
o meno “integrati”, spiegano come bugie
di portata globale abbiano potuto durare tanto e sostenersi
a vicenda . Ma nel caso inglese l’inconsistenza
dell’opposizione conservatrice, incapace finora
di diventare una minaccia per il governo, fa sì
che esso non sia paragonabile ai casi italiano e americano,
meno squilibrati nei rapporti di forza tra destra e
sinistra. I conservatori britannici sono stati in questo
periodo troppo poco competitivi per essere ritenuti
un test. E poi bisogna considerare i migliori risultati
che il governo neolaburista ha avuto sul fronte interno,
rispetto al modesto bilancio di Bush e Berlusconi.
Dunque, per una valutazione degli effetti illusori
della politica truccata, l’esperimento britannico
non ha un sufficiente standard probatorio. E certo un
ipotetico, e un po’ paradossale, antitrust dello
spin farebbe bene a preoccuparsi non solo del
“mercato elettorale” americano e italiano,
ma anche di quello inglese. Per riequilibrare.
Il problema stringente, di cui soprattutto parliamo
qui, è quello di due governi con un bilancio
chiaramente negativo che riescono a provocare un guizzo
al rialzo al momento del voto. Mi sono chiesto se si
potessero individuare fattori capaci di attenuare i
giudizi critici degli elettori nelle fasi elettorali.
Per quanto nella vita politica non si diano responsi
scientifici “di laboratorio”, limpidi e
indiscutibili, come in altri campi del sapere, credo
di avere individuato il fattore infiammatorio e gli
dedico le pagine che seguono.
Il significato delle elezioni e dei loro risultati
è sempre più spesso ambiguo. Chi ha scelto
che cosa? Le cabine di regia della politica sono capaci,
quando va bene, di ottenere voti per affermare una maggioranza.
Poi, però, quella maggioranza farà quasi
sempre una politica che non soddisfa gli elettori che
l’hanno votata. E neppure gli altri. Le cabine
di regia promettono politiche che piacciono, ma che
non possono essere realizzate, e ottengono consensi
superiori al previsto grazie a qualche magico esorcismo.
Nei romanzi, al teatro e al cinema, puoi moltiplicare
pani e pesci. E funziona. Al governo, invece, non puoi.
Puoi prorogare il momento della verità, ma solo
per un po’ di tempo.
Bush ha perso la guerra e vinto le elezioni (2004)
che stava (già) perdendo attraverso una regia
che ha cambiato le luci, i fondali, l’inquadratura,
il palcoscenico, il teatro, tutto quanto. Lo sforzo
spettacolare è servito a mantenere credibile
la finzione fino alle elezioni del 2 novembre 2004.
Poi non è più bastato, ma l’operazione
di accomodamento creativo della realtà alle necessità
della campagna elettorale era stato così grande
che anche lo stesso Bush ha continuato a credere a quello
che diceva.
Berlusconi non è riuscito a vincere nel 2006,
ma per poco. La distanza che lo separava dal suo avversario,
Prodi, è stata colmata a forza di esorcismi dello
stesso genere di Bush. Si tratta di una forma di magia
che distrae e ottimizza, che spiana i problemi, ingrandisce
le cose buone e rimpicciolisce quelle cattive, che dissolve
le delusioni e regala persino gioia a chi ci crede.
Eccoci giunti allo spin, all’oppio, all’additivo
che i leader politici più “tossici”
(o i loro registi) usano per distogliere da perturbazioni
negative, per deviare lo sguardo su cose favorevoli,
per dissolvere il malumore, per entrare in sintonia
con le emozioni sociali, e per produrre voti .
Certo, quella della droga è solo una metafora,
anche se pare che un certo numero di parlamentari, italiani
e non solo, la prenda troppo alla lettera, a quanto
risulta da una spettacolare inchiesta televisiva . E
quella dell’oppio è una metafora che ha
molto viaggiato negli ultimi secoli. Per Marx (XIX secolo)
la religione è “l’oppio del popolo”
perché illude, “è il sospiro della
creatura oppressa, è l’anima di un mondo
senza cuore”. Per Raymond Aron (XX secolo) il
marxismo è “l’oppio degli intellettuali”
perché il mito della rivoluzione serve da rifugio,
fa da intercessore misterioso tra il reale e l’ideale,
perché il suo sistema di ingranaggi mentali neutralizza
le repliche della realtà, le occulta, le aggiusta,
fa tornare i conti che non tornano . Questo genere di
oppio che si chiama “ideologia” o “autoinganno”
perfeziona gli esseri umani nella capacità di
mentire agli altri e a se stessi rimanendo, taluni,
“in buona fede”.
La politica si è sempre servita di analgesici,
di anestesie e di anestesisti militanti. Ultimamente
questo impiego di additivi illusionistici è cresciuto
fino a diventare una scienza applicata, una tecnologia
invasiva che si chiama in inglese spin, o politica
con l’”effetto” – meglio: con
il “trucco” –, e che apre un’altra
breccia sul fronte dei guasti che incrinano la tenuta
dei sistemi democratici. Considerati gli indici di crescita
ed espansione di questo fenomeno, propongo di promuovere
lo spin al ruolo di “oppio del XXI secolo”.
Quando parliamo di spin-doctoring tutti ormai
capiscono di che cosa si tratta: l’attività
esercitata dai politici per lo più attraverso
consulenti, che consiste nel comunicare le cose in modo
favorevole a se stessi e cercando di nuocere ai propri
avversari, “dando l’effetto” alle
informazioni, come si “dà l’effetto”
alla palla nel tennis, nel ping-pong o anche nel calcio,
dovunque ci sia una palla (il verbo inglese to spin
deriva comunque dal cricket). È spin
il modo in cui Bush ha evitato con formule elusive di
rispondere del fatto che muovendo guerra all’Iraq
non andava per niente a colpire al cuore i terroristi
dell’11 settembre. È spin il modo
in cui Berlusconi, sotto processo, attacca la magistratura
e la sinistra e le incolpa di persecuzione politica
oscurando la notizia specifica delle accuse che lo riguardano.
Questo additivo funziona alla grande, credetemi, e cambia
le carte in tavola, le trucca. Generalmente la sinistra
italiana non lo usa perché nessuno si è
posto seriamente il problema e anche i democratici americani
ne fanno un uso troppo ridotto. Mentre si discute se
questo sia forse il segno di qualche residua virtù,
non sarebbe male che si aprissero corsi per insegnare
ai politici refrattari come si fa, almeno, a difendersi.
Un confronto ad armi pari fa bene al sistema e
dovrebbe ridurre la tolleranza dei popoli per il malgoverno,
di qualunque segno politico. E, dunque, delle due l’una:
o il disarmo, improbabile, oppure un equilibrio della
deterrenza, possibile.
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