Tratto
dall’ultimo numero di Reset
(n.99 gennaio-febbraio 2007), in edicola e in libreria.
Perché in Italia il primo sondaggio informato
e partecipato si è avuto così “in
ritardo “ rispetto al resto del mondo? Perché
per realizzarlo è stata necessaria la caparbietà
fuori dall’ordinario di quanti l’hanno promosso?
E perché, nonostante tutto, i cittadini che vi
hanno preso parte sono rimasti così entusiasti?
Renato Mannheimer, esperto di sondaggi “tradizionali”,
che ha curato l’organizzazione scientifica del
primo vero Deliberative Poll italiano secondo
il modello ideato da James Fishkin, non ha dubbi sulle
ragioni dell’ostilità incontrata e neanche
su quelle della soddisfazione del campione selezionato.
Vediamo perché.
Tra gli elementi più vistosi dei risultati
del primo sondaggio informato in Italia, spicca la positività
del giudizio sull’evento. L’82% del campione
dichiara di essere pronto a rifare un’esperienza
simile. Come valuta questa risposta?
È una risposta significativa, comune alle esperienze
già fatte in tutto il mondo, non solo in quello
occidentale. Il Deliberative Poll rappresenta
uno strumento prezioso proprio perché colma una
sorta di “vuoto” di democrazia, emerso in
questi anni nella tradizionale democrazia rappresentativa.
In altre parole, i cittadini non si accontentano più
di scegliere i loro rappresentanti di elezione in elezione.
Piuttosto vorrebbero dire la loro e di fatto sono chiamati,
con i sondaggi tradizionali, a rispondere su temi specifici.
Ma bisogna considerare due aspetti. Prima di tutto,
i temi specifici sui quali devono rispondere: non sempre
corrispondono alle tradizionali divisioni tra destra
e sinistra. In secondo luogo, i sondaggi tradizionali,
assai efficaci per rilevare l’opinione pubblica,
raccolgono di solito un parere disinformato. Che cosa
sappiamo delle questioni pro e contro la Tav, il cuneo
fiscale o la politica sanitaria della Regione Lazio?
Non abbiamo, insomma, conoscenze specifiche tali da
esprimere un giudizio approfondito, ma soltanto superficiale.
Al contrario, se si permette di approfondire, come col
sondaggio informato, i cittadini sono soddisfatti e
scelgono con più consapevolezza. Il motivo della
loro soddisfazione, dunque, è duplice: per la
partecipazione e per l’informazione. Aggiungerei
anche un’altra ragione: la possibilità
di discutere al di là delle classiche divisioni
destra/sinistra.
Tra gli aspetti più apprezzati c’è
la figura del moderatore che ha gestito le discussioni
e la sessione deliberativa. Perché?
In realtà non è stato il moderatore in
quanto tale ad essere plaudito. È stata apprezzata,
ripeto, la possibilità di discutere in maniera
più informata e senza divisioni tra destra e
sinistra. Finalmente si è discusso su contenuti
e non su posizioni politiche preconcette, inevitabili
in assenza dei contenuti. Se si chiede a una persona,
senza che questa sia adeguatamente informata, se è
d’accordo o meno sulla Finanziaria, non potrà
che rispondere in base alla sua posizione politica:
d’accordo se di centrosinistra, in disaccordo
se di centrodestra. Purtroppo esiste un difetto d’informazione
e nel dire ciò è implicito un atto d’accusa
contro i mass media che informano sulla notizia e non
sul contenuto retrostante. Ecco spiegato, in breve,
l’entusiasmo per moderatore e sessioni deliberative.
Oltre a ragioni simili, esistono anche ragioni
scientifiche che giustificano l’enorme lavoro
organizzativo del sondaggio informato rispetto a quello
tradizionale?
In effetti, la fatica organizzativa del sondaggio informato
è enorme. Ma ne vale la pena, dal punto di vista
scientifico e da quello sociale. Anche il sondaggio
tradizionale è nato per ragioni “sociali”,
per colmare vuoti di partecipazione. Ormai però
lo fa in modo spesso improprio. Vale a dire che, rispetto
a tematiche complesse come per esempio il cuneo fiscale,
i cittadini non possono che rivelarsi scarsamente informati,
incapaci di un giudizio vero e proprio. Dal punto di
vista scientifico la situazione è forse simile.
L’opinione, come mostrano i risultati, cambia
dopo che gli intervistati hanno ricevuto un’adeguata
informazione. Sebbene possa sembrare una banalità,
non lo è affatto. Ciò mette in evidenza,
quindi, la fallacia o l’incompletezza dei sondaggi
tradizionali – di cui io, come si sa, sono un
grande fautore – e pure la necessità di
operare sull’informazione. Nel porre le domande
nei sondaggi tradizionali, insomma, non si tiene conto
abbastanza del livello di informazione di chi risponde.
I risultati del sondaggio informato mostrano infine
che le variazioni d’opinione tra prima e dopo
non sono tutte in un senso. Una volta informate, le
persone non reagiscono orientandosi nella stessa unica
direzione. Si hanno tanti movimenti, anche di direzione
opposta l’uno all’altro.
In Italia il sondaggio informato è arrivato
dopo dieci anni dal primo esperimento e dopo aver fatto
il giro del mondo, dall’Australia alla Grecia.
Quali sono i motivi di questo “ritardo “?
È bene ricordare che alcuni tentativi simili
al sondaggio informato (ci sono molti seguaci e copie
del modello di Fishkin), sono stati effettuati a Torino
e Bologna pochi mesi fa. Ma in effetti in Italia c’è,
più che altrove, prevenzione e scetticismo verso
i sondaggi e più in generale verso le applicazioni
scientifiche della statistica e della sociologia. Ricordiamoci
che sia Croce che Gramsci attaccavano queste scienze
perché prodotto di una cultura americana, o perché
“inferma scienza”, come Croce definiva la
sociologia. In Italia prevalgono altri strumenti dell’analisi
dell’opinione pubblica che sono, ahimè,
imperfetti e legati piuttosto alla riflessione di questo
o di quell’altro pensatore. Questo clima ha forse
portato un’ostilità anche verso il sondaggio
informato, poiché sostituisce o integra i canali
tradizionali della formazione dell’opinione politica.
Occorre riconoscere perciò che la Regione Lazio
ha avuto un gran coraggio a far entrare un elemento
d’integrazione della tradizionale formazione della
rappresentanza politica proprio nel luogo della rappresentanza
politica. L’esperienza specifica è di grande
interesse perché nonostante il coraggio e l’entusiasmo
dell’assessore Nieri e degli altri promotori,
si sono incontrate enormi difficoltà sul piano
burocratico, come sempre nelle istituzione pubbliche
italiane. E invece proprio grazie alla caparbietà
dei promotori, il primo sondaggio informato italiano
è stato portato a termine in un solo mese. Si
tenga presente che in genere si impiegano sei mesi.
Dopo un’esperienza simile che cosa pensa
del futuro del sondaggio informato in Italia?
Non saprei proprio che cosa dire del futuro dei sondaggi
informati in Italia. Credo però che ci saranno
altri esperimenti. L’ideale sarebbe riuscire a
farne uno a livello nazionale, ma questo comporta difficoltà
enormi.
Un’ultima domanda, questa volta sul campione
selezionato. È stato chiamato a valutare il lavoro
della giunta Marrazzo e lo ha fatto positivamente. Ma
come si può esser certi che il campione sia davvero
rappresentativo dal punto di vista politico?
Il campione così come viene estratto è
rappresentativo, al pari di tutti i campioni estratti
con rigore. C’è una piccola prima imperfezione
quando dall’estrazione del campione si passa alla
richiesta di partecipare. Infatti chi ha poi accettato
di partecipare, come mostrano i dati, è vicino
alla distribuzione reale degli orientamenti di voto
della Regione Lazio. Non tutti quelli che hanno accettato
di partecipare hanno partecipato. E qui c’è
una piccola differenza: hanno partecipato in misura
lievemente maggiore, del 9%, i più orientati
o simpatizzanti del centrosinistra. Si sono mostrati
comprensibilmente più partecipi. Noi abbiamo
condotto allora un ricalcolo dei risultati riponderando
i dati, facendo cioè pesare meno quelli del centrosinistra.
Un’operazione che si fa sempre, e che non ha cambiato
la natura dei risultati: anche i simpatizzanti del centrodestra
hanno spostato la loro opinione. Non è a favore
o meno alla giunta, ma piuttosto sui singoli argomenti
di cui sono stati informati. Quindi si può dire
con certezza che la rappresentatività del campione
estratto e di quello che ha partecipato è straordinariamente
buona.
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