Tratto
da Reset
"La tv deve fare due cose: intrattenere il pubblico
e sviluppare un dialogo civico". Dopo anni spesi
a produrre programmi per il servizio pubblico della
tv americana, Dan Werner ha le idee molto chiare sul
suo lavoro, basta vedere i programmi che fa e manda
in onda dalle frequenze della Pbs. Fra tutti By
the people, la trasmissione che da tre anni racconta
sugli schermi dei cittadini americani i deliberative
polls di James Fishkin e dei suoi collaboratori. Un
esempio lampante di servizio pubblico: un programma
che, libero dalle pressioni degli inserzionisti, può
permettersi di non guardare i numeri dell’audience,
andare dritto ai contenuti, e realizzare un format che
sappia mettere da parte la rincorsa alla brevità
delle tv commerciali, per lasciare spazio ai tempi più
dilatati dell’approfondimento. È da qui
che Werner, già dirigente della Pbs e oggi produttore
esecutivo della MacNeil Lehrer Productions (casa che
produce programmi per la tv pubblica americana) parte
per spiegare di cosa parliamo quando diciamo servizio
pubblico.
" Si potrebbe iniziare da una definizione che giochi
sull’opposizione, sull’idea che la tv di
servizio pubblico e la tv commerciale devono essere
due alternative molto ben distinguibili" spiega
il produttore americano e continua: "Se quindi
nella tv commerciale i notiziari sono montati in una
rapida successione di servizi brevi, il servizio pubblico
deve invece riprendersi il tempo, realizzare servizi
di 4 o 6 minuti, mini-documentari che trattino in maniera
adeguata i temi affrontati, con uno stile che il pubblico
possa riconoscere".
Che cosa intende quando parla di uno stile
riconoscibile?
Deve essere chiaro che le televisioni pubbliche non
rappresentano un punto di vista particolare. Quando
facciamo i programmi per la Pbs cerchiamo di avere sempre
molto chiaro in mente un obiettivo: noi vogliamo che
il telespettatore si faccia da solo un’idea sulla
realtà, noi raccontiamo solo i fatti, ma dobbiamo
farlo in modo che lo sguardo dello spettatore alla fine
abbia avuto una visione molto ampia, generale e approfondita,
come nessuno può permettersi di fare in tv. Ad
esempio, qualche tempo fa abbiamo trasmesso un servizio
di otto minuti sulla riforma scolastica, era il terzo
appuntamento di una serie grazie alla quale chi ci ha
seguito ha potuto migliorare la propria consapevolezza
e la propria conoscenza sul tema.
Quanto essere liberi dagli spot può
migliorare la qualità dei prodotti televisivi?
I nostri programmi non si finanziano con pubblicità,
ma con l’impegno di sottoscrittori, e questo influisce
molto sulla produzione. La differenza più evidente
è che la pubblicità vincola il programma
all’audience, e così la necessità
di mantenere alti gli ascolti si trasforma in un fattore
di controllo dei contenuti. Se parliamo di servizio
pubblico, invece, allora dobbiamo pensare a delle pressioni
diverse, che non riguardano tanto i numeri, ma aspetti
diversi di un programma di informazione e di approfondimento:
raccontare le storie in maniera completa, produrre una
copertura adeguata delle notizie, produrre un tipo di
intrattenimento di qualità molto alta.
Completezza, adeguatezza del racconto, approfondimento.
Queste sono caratteristiche che By the people
ha come punti di riferimento. Come le è venuta
l’idea di affiancare una trasmissione ai sondaggi
deliberativi?
By the People nasce innanzitutto dalla premessa
che le opinioni dei cittadini sono importanti e possono
essere notizie interessanti. Troppo spesso raccontiamo
le idee delle persone solo attraverso i sondaggi, che
in realtà sono molto soggetti a cambiare nel
tempo e soprattutto interrogano individui su argomenti
che non conoscono; con By the People cerchiamo
di portare su un palcoscenico più ampio quello
che fa il professor Fishkin: proporre un sondaggio,
riunire un gruppo di persone rappresentative della comunità,
fare in modo che studino una questione, ne discutano,
ci riflettano su e poi proporre loro, di nuovo, il sondaggio.
In questo modo sappiamo cosa la gente pensava all’inizio
e alla fine del processo. In altre parole, sappiamo
cosa la gente pensa di un tema quando ci riflette su.
Dal nostro punto di vista è un modo per fare
buona televisione, in cui si combina il racconto di
storie interessanti, il background educativo, l’informazione
sul tema trattato di modo che attraverso i video anche
il pubblico possa apprendere di più sulla questione
che viene presa in esame.
Tutte caratteristiche che appartengono a un buon programma
d’informazione.
Il vostro programma riprende in diretta tutto
il processo deliberativo, oppure il prodotto finale
nasce dal montaggio di materiale registrato?
Abbiamo fatto entrambe le cose, ma in genere preferiamo
montare le registrazioni perché la programmazione
in diretta di tutto il processo risultava un po’
troppo noiosa. Quando però l’argomento
trattato è particolarmente importante e controverso,
allora la trasmissione live ha un valore aggiunto.
Poco prima della guerra in Iraq abbiamo riunito a Philadelphia,
per un sondaggio deliberativo, circa 500 cittadini provenienti
da tutto il paese – che, seguendo il metodo di
Fishkin, hanno discusso prima divisi in piccoli gruppi
e in una sessione con gli esperti – e abbiamo
mandato in onda uno speciale di due ore in diretta sul
dibattito. Successivamente abbiamo montato un documentario
di un’ora sull’intero week-end deliberativo.
Sembrerebbe quasi che il sondaggio deliberativo
si presti a essere trattato in molti modi diversi, quasi
dimostrasse una specie di duttilità narrativa.
In diretta o registrato, come un’inchiesta, un
documentario o un talk show: un evento che si può
raccontare in tanti modi.
Nel deliberative poll ci sono molti elementi
diversi che i produttori possono adattare a vari formati:
documentari, trasmissioni in diretta, montaggi che sintetizzino
il dibattito. L’evento può trattare di
uno o due temi simili: si può parlare di istruzione
e traffico ma la vera questione è il ruolo del
governo, della politica, di chi andrà a prendere
le decisioni, e allora unisci le due tematiche. Uno
degli aspetti che reputo più importante di una
trasmissione come By the people, è che
la società è vasta e i cittadini si allontanano
sempre più dai meccanismi della democrazia per
delegarla alla politica. Se vogliamo proporre strumenti
per dare ai cittadini l’opportunità di
sentirsi impegnati dobbiamo rispondere a due domande:
“Perché una persona dovrebbe essere interessata
a questo tema?”, e poi “A chi interessa
quello che pensa una persona qualunque?” Portando
le opinioni dei cittadini in televisione rispondiamo
alla seconda domanda, perché dimostriamo che
le loro opinioni sono prese sul serio. Ma non basta,
per rispondere in modo completo alle nostre domande,
dobbiamo coinvolgere i politici. Generalmente, quando
questi vanno in tv, non fanno che parlare, ma raramente
hanno l’occasione di ascoltare e rispondere a
quello che comuni cittadini chiedono loro. In By
the people, persone qualsiasi stabiliscono una
vera conversazione con candidati ed esponenti politici.
Cosa risponde a chi dice che programmi così
sono di una noia mortale e nessuno li guarderebbe?
Rispondo che è come dire che la pagina delle
notizie di un quotidiano è meno divertente della
pagina dei fumetti: è ovvio.
I temi possono essere noiosi, forse meno avvincenti
di una soap opera, ma molto dipende da quanto
il produttore è capace di raccontare storie e
approfondire il tema; il linguaggio televisivo, con
tagli e montaggio, ha a disposizione molti modi per
rendere un racconto interessante o meno, gradevole da
seguire o monotono. Ma dobbiamo pensare a quello che
abbiamo intenzione di fare.
Ma davvero lei si disinteressa completamente
dell’audience, non prende in considerazione quante
persone vedono il suo programma?
Certo che guardo i numeri, sicuro che mi interessano,
ma i programmi di informazione non otterranno mai livelli
di audience alti come quelli dei programmi di intrattenimento.
È solo che credo che sia troppo semplice dire
di un programma come il nostro: “sarà noioso,
non avrà una grande audience”. E’
vero ma irrilevante, non si può dire che la tv
pubblica è diversa e vuole offrire un pubblico
servizio quando poi adotta le stesse modalità
e le stesse categorie con cui le tv commerciali vanno
a caccia di audience.
Nella sua carriera lei ha prodotto molti programmi
dedicati a sviluppare l’impegno civico e il coinvolgimento
dei cittadini nella vita pubblica. Che cos’è
che vorrebbe fare nella tv di servizio pubblico, che
non è ancora riuscito a fare?
Più che un programma da realizzare, vorrei continuare
a costruire questo modello che abbiamo descritto finora.
Ad esempio stiamo lavorando a un progetto che coinvolgerà
televisioni locali con storie prese dalle piccole realtà
americane, per poi combinarle insieme e raccontarle
in una trasmissione nazionale. Allo stesso modo credo
che un sondaggio deliberativo fatto per la tv italiana
sarebbe una grande idea di successo. Penso che la televisione
abbia due compiti: il primo è intrattenere e
divertire la gente, ma l’altro – specialmente
nel servizio pubblico - è creare un dialogo civico.
Il deliberative poll offre molte condizioni favorevoli
per sviluppare questo secondo aspetto. Pensate a un
campione rappresentativo dell’intera popolazione,
quante storie diverse, quanti modi diversi di porsi
di fronte ai problemi e di portare la propria esperienza
in un dibattito. Con i finanziamenti giusti si potrebbero
fare degli ottimi programmi che sarebbero un’esperienza
democratica fantastica e aiuterebbero a definire cos’è
la televisione pubblica.
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