305 - 14.09.06


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Una tv che migliori
l’opinione pubblica

Dan Werner con
Mauro Buonocore



Tratto da Reset

"La tv deve fare due cose: intrattenere il pubblico e sviluppare un dialogo civico". Dopo anni spesi a produrre programmi per il servizio pubblico della tv americana, Dan Werner ha le idee molto chiare sul suo lavoro, basta vedere i programmi che fa e manda in onda dalle frequenze della Pbs. Fra tutti By the people, la trasmissione che da tre anni racconta sugli schermi dei cittadini americani i deliberative polls di James Fishkin e dei suoi collaboratori. Un esempio lampante di servizio pubblico: un programma che, libero dalle pressioni degli inserzionisti, può permettersi di non guardare i numeri dell’audience, andare dritto ai contenuti, e realizzare un format che sappia mettere da parte la rincorsa alla brevità delle tv commerciali, per lasciare spazio ai tempi più dilatati dell’approfondimento. È da qui che Werner, già dirigente della Pbs e oggi produttore esecutivo della MacNeil Lehrer Productions (casa che produce programmi per la tv pubblica americana) parte per spiegare di cosa parliamo quando diciamo servizio pubblico.

" Si potrebbe iniziare da una definizione che giochi sull’opposizione, sull’idea che la tv di servizio pubblico e la tv commerciale devono essere due alternative molto ben distinguibili" spiega il produttore americano e continua: "Se quindi nella tv commerciale i notiziari sono montati in una rapida successione di servizi brevi, il servizio pubblico deve invece riprendersi il tempo, realizzare servizi di 4 o 6 minuti, mini-documentari che trattino in maniera adeguata i temi affrontati, con uno stile che il pubblico possa riconoscere".

Che cosa intende quando parla di uno stile riconoscibile?

Deve essere chiaro che le televisioni pubbliche non rappresentano un punto di vista particolare. Quando facciamo i programmi per la Pbs cerchiamo di avere sempre molto chiaro in mente un obiettivo: noi vogliamo che il telespettatore si faccia da solo un’idea sulla realtà, noi raccontiamo solo i fatti, ma dobbiamo farlo in modo che lo sguardo dello spettatore alla fine abbia avuto una visione molto ampia, generale e approfondita, come nessuno può permettersi di fare in tv. Ad esempio, qualche tempo fa abbiamo trasmesso un servizio di otto minuti sulla riforma scolastica, era il terzo appuntamento di una serie grazie alla quale chi ci ha seguito ha potuto migliorare la propria consapevolezza e la propria conoscenza sul tema.

Quanto essere liberi dagli spot può migliorare la qualità dei prodotti televisivi?

I nostri programmi non si finanziano con pubblicità, ma con l’impegno di sottoscrittori, e questo influisce molto sulla produzione. La differenza più evidente è che la pubblicità vincola il programma all’audience, e così la necessità di mantenere alti gli ascolti si trasforma in un fattore di controllo dei contenuti. Se parliamo di servizio pubblico, invece, allora dobbiamo pensare a delle pressioni diverse, che non riguardano tanto i numeri, ma aspetti diversi di un programma di informazione e di approfondimento: raccontare le storie in maniera completa, produrre una copertura adeguata delle notizie, produrre un tipo di intrattenimento di qualità molto alta.

Completezza, adeguatezza del racconto, approfondimento. Queste sono caratteristiche che By the people ha come punti di riferimento. Come le è venuta l’idea di affiancare una trasmissione ai sondaggi deliberativi?

By the People nasce innanzitutto dalla premessa che le opinioni dei cittadini sono importanti e possono essere notizie interessanti. Troppo spesso raccontiamo le idee delle persone solo attraverso i sondaggi, che in realtà sono molto soggetti a cambiare nel tempo e soprattutto interrogano individui su argomenti che non conoscono; con By the People cerchiamo di portare su un palcoscenico più ampio quello che fa il professor Fishkin: proporre un sondaggio, riunire un gruppo di persone rappresentative della comunità, fare in modo che studino una questione, ne discutano, ci riflettano su e poi proporre loro, di nuovo, il sondaggio. In questo modo sappiamo cosa la gente pensava all’inizio e alla fine del processo. In altre parole, sappiamo cosa la gente pensa di un tema quando ci riflette su.
Dal nostro punto di vista è un modo per fare buona televisione, in cui si combina il racconto di storie interessanti, il background educativo, l’informazione sul tema trattato di modo che attraverso i video anche il pubblico possa apprendere di più sulla questione che viene presa in esame.
Tutte caratteristiche che appartengono a un buon programma d’informazione.

Il vostro programma riprende in diretta tutto il processo deliberativo, oppure il prodotto finale nasce dal montaggio di materiale registrato?

Abbiamo fatto entrambe le cose, ma in genere preferiamo montare le registrazioni perché la programmazione in diretta di tutto il processo risultava un po’ troppo noiosa. Quando però l’argomento trattato è particolarmente importante e controverso, allora la trasmissione live ha un valore aggiunto. Poco prima della guerra in Iraq abbiamo riunito a Philadelphia, per un sondaggio deliberativo, circa 500 cittadini provenienti da tutto il paese – che, seguendo il metodo di Fishkin, hanno discusso prima divisi in piccoli gruppi e in una sessione con gli esperti – e abbiamo mandato in onda uno speciale di due ore in diretta sul dibattito. Successivamente abbiamo montato un documentario di un’ora sull’intero week-end deliberativo.

Sembrerebbe quasi che il sondaggio deliberativo si presti a essere trattato in molti modi diversi, quasi dimostrasse una specie di duttilità narrativa. In diretta o registrato, come un’inchiesta, un documentario o un talk show: un evento che si può raccontare in tanti modi.

Nel deliberative poll ci sono molti elementi diversi che i produttori possono adattare a vari formati: documentari, trasmissioni in diretta, montaggi che sintetizzino il dibattito. L’evento può trattare di uno o due temi simili: si può parlare di istruzione e traffico ma la vera questione è il ruolo del governo, della politica, di chi andrà a prendere le decisioni, e allora unisci le due tematiche. Uno degli aspetti che reputo più importante di una trasmissione come By the people, è che la società è vasta e i cittadini si allontanano sempre più dai meccanismi della democrazia per delegarla alla politica. Se vogliamo proporre strumenti per dare ai cittadini l’opportunità di sentirsi impegnati dobbiamo rispondere a due domande: “Perché una persona dovrebbe essere interessata a questo tema?”, e poi “A chi interessa quello che pensa una persona qualunque?” Portando le opinioni dei cittadini in televisione rispondiamo alla seconda domanda, perché dimostriamo che le loro opinioni sono prese sul serio. Ma non basta, per rispondere in modo completo alle nostre domande, dobbiamo coinvolgere i politici. Generalmente, quando questi vanno in tv, non fanno che parlare, ma raramente hanno l’occasione di ascoltare e rispondere a quello che comuni cittadini chiedono loro. In By the people, persone qualsiasi stabiliscono una vera conversazione con candidati ed esponenti politici.

Cosa risponde a chi dice che programmi così sono di una noia mortale e nessuno li guarderebbe?

Rispondo che è come dire che la pagina delle notizie di un quotidiano è meno divertente della pagina dei fumetti: è ovvio.
I temi possono essere noiosi, forse meno avvincenti di una soap opera, ma molto dipende da quanto il produttore è capace di raccontare storie e approfondire il tema; il linguaggio televisivo, con tagli e montaggio, ha a disposizione molti modi per rendere un racconto interessante o meno, gradevole da seguire o monotono. Ma dobbiamo pensare a quello che abbiamo intenzione di fare.

Ma davvero lei si disinteressa completamente dell’audience, non prende in considerazione quante persone vedono il suo programma?

Certo che guardo i numeri, sicuro che mi interessano, ma i programmi di informazione non otterranno mai livelli di audience alti come quelli dei programmi di intrattenimento. È solo che credo che sia troppo semplice dire di un programma come il nostro: “sarà noioso, non avrà una grande audience”. E’ vero ma irrilevante, non si può dire che la tv pubblica è diversa e vuole offrire un pubblico servizio quando poi adotta le stesse modalità e le stesse categorie con cui le tv commerciali vanno a caccia di audience.

Nella sua carriera lei ha prodotto molti programmi dedicati a sviluppare l’impegno civico e il coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica. Che cos’è che vorrebbe fare nella tv di servizio pubblico, che non è ancora riuscito a fare?

Più che un programma da realizzare, vorrei continuare a costruire questo modello che abbiamo descritto finora. Ad esempio stiamo lavorando a un progetto che coinvolgerà televisioni locali con storie prese dalle piccole realtà americane, per poi combinarle insieme e raccontarle in una trasmissione nazionale. Allo stesso modo credo che un sondaggio deliberativo fatto per la tv italiana sarebbe una grande idea di successo. Penso che la televisione abbia due compiti: il primo è intrattenere e divertire la gente, ma l’altro – specialmente nel servizio pubblico - è creare un dialogo civico. Il deliberative poll offre molte condizioni favorevoli per sviluppare questo secondo aspetto. Pensate a un campione rappresentativo dell’intera popolazione, quante storie diverse, quanti modi diversi di porsi di fronte ai problemi e di portare la propria esperienza in un dibattito. Con i finanziamenti giusti si potrebbero fare degli ottimi programmi che sarebbero un’esperienza democratica fantastica e aiuterebbero a definire cos’è la televisione pubblica.

 

 

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