305 - 14.09.06


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La democrazia delle
scelte complesse

Piero Bassetti con
Mauro Buonocore




Quando si parla di innovazione la parola passa agli specialisti. Ogm, biotecnologie, smaltimento di scorie e rifiuti, ricerca sugli embrioni. Temi che portano in campo le voci di esperti e studiosi, ma di fronte alle decisioni da prendere intorno al loro ruolo sorgono dubbi, perché “i tecnici non sono in grado di interpretare la sensibilità popolare”. Sono parole di Piero Bassetti, presidente della Fondazione Giannino Bassetti che da anni promuove eventi e discussioni intorno al tema della responsabilità dell’innovazione. Quando sono chiamati in causa aspetti delicati della contemporaneità, dall’etica individuale alla ricerca scientifica fino all’operato della pubblica amministrazione – sostiene Bassetti – coinvolgere le persone interessate in discussioni pubbliche è la strada più efficace per arrivare alla soluzione, come dimostrano alcuni episodi concreti che hanno dato origine a un incontro dal titolo “Innovazione tecno-scientifica, innovazione della democrazia” organizzato dalla Fondazione Bassetti in collaborazione con la Regione Lombardia.

Che cos’è la responsabilità dell’innovazione su cui si concentra la Fondazione Bassetti?

Di fronte alle scelte complesse abbiamo due strade. Da una parte le istituzioni possono prendersi l’intera responsabilità di prendere delle decisioni; dall’altra parte si potrebbe dare alle persone la possibilità di compiere delle scelte, ma bisogna stare attenti al rischio concreto che su determinati argomenti, in modo particolare quelli che riguardano l’innovazione tecnico-scientifica applicata alle nostre vite, esistono alte possibilità che si commettano degli errori. Nessuna di queste due strade funziona perché non possiamo permetterci di lasciare spazio agli errori, e allo stesso tempo non possiamo prendere decisioni senza coinvolgere minimamente la cittadinanza che dovrà convivere con i frutti delle decisioni prese.
Tra i due estremi c’è la consapevolezza del grande contributo che può offrirci una maggiore partecipazione informata, soprattutto in tempi in cui le tecnologie dell’informazione e il desiderio delle persone di essere informate crescono a grandi ritmi.

Scendiamo più nel concreto, ci faccia un esempio.

Il nostro punto di partenza è stato il caso di Casalino, un paese in provincia di Novara dove era stata avviata una programmazione sperimentale per semi ogm di riso. Il problema è nato nel momento in cui si è sollevato il dubbio sulle precauzioni prese dalla sperimentazione, non si era del tutto certi che le distanze scelte per separare la coltura sperimentale dalle altre fossero sufficienti a garantire che non ci fosse alcun tipo di contaminazione tra campi destinati a ogm e campi destinati a colture tradizionali. Si sono fatte delle riunioni coinvolgendo amministrazione pubblica, esperti e popolazione, ed è emerso che quello che gli esperti consideravano un livello di rischio apprezzabile, non è affatto accettabile con gli occhi dei comuni cittadini. In altre parole: i tecnici non sono in grado di interpretare la volontà e la sensibilità popolari.
Prendendo spunto da questa situazione, abbiamo ripreso il problema e lo abbiamo posto all’interno dello scenario istituzionale della Regione Lombardia seguendo metodologie di confronto e di azione: ci siamo confrontati con persone che potevano darci dei consigli teorici e pratici, abbiamo fatto esperimenti di consensus conference, e infine abbiamo aperto una discussione pubblica.

Che cosa è emerso da queste vostre iniziative?

Innanzitutto si è sfatato un luogo comune: non è vero che le opinioni delle persone sono pregiudizialmente contrarie su questi temi, ma si oppongono drasticamente solo quando c’è carenza di discussione, di informazione e di partecipazione e si interpellano i cittadini solo a cose fatte e decisioni prese. Alle nostre consensus conference hanno partecipato rappresentanti di associazioni diverse e abbiamo notato che anche coloro da cui ci si aspettava un netto rifiuto della questione, come ad esempio i cosidedetti no global, sono disposti a mettere in discussione la propria posizione in un ambito discorsivo e rispettoso di tutti i pareri.
Le opinioni possono cambiare se si espongono le questioni in modo completo mettendo bene in evidenza tutti gli aspetti, i rischi e i vantaggi secondo un bilancio reale e consapevole. Per questo ci siamo convinti che cambiando il metodo si ottengono decisioni democratiche più competenti, ragionate e responsabili.

Le istituzioni pubbliche, come ad esempio la Regione Lombardia, come hanno reagito alle vostre proposte? Qual è stato il loro ruolo nella discussione?

Tutta l’iniziativa è nata da una collaborazione con la Regione Lombardia e con l’Irer, che è il braccio operativo della regione in materia di ricerca. Ma le istituzioni pubbliche si trovano di fronte a un passo ulteriore che è quello del loro statuto. Mi spiego meglio. Il tema delle scelte pubbliche su argomenti che toccano l’etica di ciascuno è molto delicato. La proposta della Fondazione Bassetti è che su questi argomenti non può funzionare il metodo del voto consiliare per cui a ciascun rappresentante è affidato un voto che decide per tutti. Abbiamo avanzato delle idee che vogliono coinvolgere la popolazione direttamente interessata nelle decisioni da prendere, in modo che possa partecipare informandosi adeguatamente e valutando attentamente la questione. Abbiamo dimostrato che metodi ispirati da un desiderio di accresciuta e più consapevole partecipazione risultano più efficienti dal punto di vista delle scelte da prendere e dal punto di vista del governo dell’innovazione e delle sua applicazioni.
Poi si scopre però, che i regolamenti attuali del consiglio regionale non consentono alla giunta di mettere in atto decisioni prese attraverso modalità non previste dallo statuto. In altre parole, se la Regione Lombardia non inserisce nel proprio statuto la possibilità di organizzare discussioni pubbliche al fine di prendere decisioni in sede di consiglio, non si può fare nulla. Ora la Regione si trova nella condizione di dover rinnovare lo statuto, un’occasione unica per inserire il tema della partecipazione informata. Parliamo molto di riforme istituzionali ma ci fermiamo poco a riflettere sulle procedure della democrazia. Forse su questo tema un ragionamento andrebbe fatto.

Quindi dalla vostra iniziativa si apre una porta verso il futuro?

Intanto l’apporto delle nostre discussioni è stato recepito in sede regionale e sarà tra le materie di riflessione nell’elaborazione dello statuto. Di certo è emersa la voglia di approfondire il tema che non è affatto esaurito, anzi, siamo solo agi inizi.

 

 

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