Hanno detto di tutto durante la campagna
elettorale americana per queste presidenziali 2004.
Il clima elettorale sembrava molto riscaldato, almeno
così ci è sembrato dall’Italia.
I dibattiti televisivi che hanno contrapposto i due
candidati nell’arena mediatica, tre faccia-a-faccia
per conquistare i cuori (più che le menti) degli
elettori sono stati eventi televisivi, hanno segnato
le tappe essenziali della campagna presidenziale, battaglie
a colpi di slogan per un Risiko della grammatica mediatica
giocato intorno a un manuale di regole scritte e concordate
a tavolino degli staff dei contendenti. E ad ogni dibattito
un sondaggio, anzi dieci cento mille diversi sondaggi
spostava la lancetta del barometro elettorale: Kerry
avanti di due punti, Bush vince di cinque, i due sono
pari e si lanciano nel testa a testa finale.
Ma c’è stato un sondaggio che “non
aveva lo scopo di indovinare chi sarebbe stato il futuro
presidente degli Usa, ma voleva verificare come cambia
la visione della realtà tra persone per niente
informate e persone che lo sono”.
In poche parole James Fishkin racchiude il significato
del deliberation day. Di che cosa si tratti,
i lettori di Caffè Europa lo sanno già
e chi se lo fosse lasciato scappare può rovistare
un po’ tra i nostri archivi fino al numero
263 e alle pagine dedicate alla democrazia
deliberativa. Brevemente, solo per riprendere
il filo: il 16 ottobre un campione rappresentativo
dell’elettorato americano si è incontrato
in piccoli gruppi in 17 città americane; dopo
aver risposto a domande sui temi principali della
campagna presidenziale, i membri del campione hanno
consultato del materiale che approfondiva le loro
conoscenze sui temi in questione, hanno discusso tra
di loro e con esperti dei due partiti, e poi hanno
risposto alle di nuovo alle domande iniziali. Nella
differenza delle risposte tra l’inizio e la
fine del sondaggio deliberativo sta l’esempio
concreto di quanto valga una discussione civile, di
quanto possa cambiare un’opinione tra una persona
informata e una che sa poco niente di quello su cui
la si interroga.
Esperimento su base nazionale. Ma le critiche non
mancano, prima fra tutte quelle di Arthur Lupia, docente
di scienze politiche all’Università del
Michigan, per il quale “persone che sono fondamentalmente
in disaccordo sulla scelta del presidente, non hanno
alcuna possibilità di cambiare idea attraverso
uno scambio di idee: non faranno che avanzare la propria
posizione ad alzare la voce”.
Non è della stessa opinione James Fishkin,
che con Bruce Ackerman ha ideato il deliberation
day, e ne ha seguito l’organizzazione e
gli esiti con la collaborazione di Shanto Iyengar
e Robert Luskin. Dal Center for Deliberative Democracy
della Stanford University Fishkin risponde che “gli
esperimenti realizzati mostrano ampiamente come persone
che non condividono gli stessi valori possono mettere
in piedi discussioni produttive e raggiungere così
un certo grado di mutua comprensione;inoltre gli esperimenti
deliberativi mettono in luce come il pubblico di massa
sia assolutamente capace di discussioni civili anche
quando tra le persone ci sia disaccordo su questioni
fondamentali: non sono esperti o politici, il loro
interesse è quello di risolvere i problemi
insieme”.
E allora andiamo a vedere che cosa è emerso
dal deliberation day da poco concluso. Se,
ad esempio, prima dell’esperimento il 32% degli
interrogati era convinto che la guerra in Iraq ha
indebolito la sicurezza nazionale degli Usa e il 46%
aveva risposto che la guerra aveva invece l’aveva
rafforzata, alla fine dell’esperimento le percentuali
erano cambiate sensibilmente con un 40% a favore della
prima risposta e mentre la seconda opzione era scesa
al 41% dei consensi. Altra questione scottante: quante
persone sono d’accordo con la politica di tagli
alle tasse dell’amministrazione Bush? I consensi
iniziali erano del 52%, ma alla fine dell’esperimento
sono del 42%. Infine la domanda delle domande: a chi
darà il suo voto? Durante l’esperimento
le preferenze per Kerry sono passate dal 45 al 49%,
quelle per Bush dal 42 al 43, ma, cosa più
significativa, la porzione degli indecisi si è
ridotta dal 12 al 7%.
Ecco quindi il risultato più interessante
di tutta la giornata di esperimenti: tra l’inizio
e la fine del sondaggio deliberativo tra i partecipanti
e il pubblico di massa che ha semplicemente guardato
i dibattiti in tv, ha letto i manifesti per la strada
e si è affidato a tutti i trucchi della campagna
elettorale, c’è la differenza sostanziale
che i primi erano meglio informati sulle questioni
di cui si è discusso nelle sessioni dell'esperimento.
Il che significa che erano più consapevoli
di cosa comporta la loro scelta in cabina elettorale.
In sostanza molti dei pregi della democrazia deliberativa
stanno proprio qua.
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