
Il cammino storico delle riforme dei sistemi democratici
si è sviluppato in una direzione che voleva realizzare
i valori apparentemente contrapposti dell’uguaglianza
politica e della deliberazione. Il sistema americano,
che inizialmente enfatizzava la seconda, ha progressivamente
potenziato le istituzioni che servivano al compimento
dell’uguaglianza politica. Le primarie, i ballottaggi
e l’elezione diretta dei senatori statunitensi
hanno dato agli elettori più voce nella scelta
dei propri rappresentanti. I referendum e la crescita
dei movimenti d’opinione hanno dato ai cittadini
una maggiore capacità di intervenire direttamente
sulla scena politica. I sondaggi sull’opinione
pubblica hanno avuto un effetto simile anche se con
un valore più consultivo. Tuttavia questa marcia
verso l’uguaglianza politica ha avuto la non prevista
conseguenza di sminuire il momento della deliberazione.
Come innumerevoli sondaggi hanno dimostrato, la maggior
parte della cittadinanza conosce molto poco della politica.
Le decisioni prese nei referendum implicano molta meno
deliberazione di quelle prese direttamente dai governi
e anche queste possono richiederne molto meno di quanto
non avvenisse prima che i legislatori avessero a loro
disposizione le primarie, le campagne elettorali dirette
– nel caso del Senato statunitense – e i
risultati dei sondaggi di cui preoccuparsi.
Questa tensione tra uguaglianza politica e deliberazione
non è una caratteristica esclusiva degli Stati
Uniti. Anche se i particolari cambiano in diverse
realtà nazionali, il mondo democratico ha assistito
a una generale tendenza all’aumento della democrazia
diretta. Il diritto di voto è stato esteso,
i referendum sono aumentati, e persino il ricorso
alle primarie per la scelta dei candidati, tipiche
degli Stati Uniti, si è diffuso sempre di più.
E’ una tendenza evidente che possiamo osservare
ovunque insieme al fatto che mentre l’uguaglianza
politica è aumentata, la deliberazione è
diminuita.
Deliberazione e uguaglianza politica
Spieghiamo brevemente cosa intendiamo con uguaglianza
politica e, in particolar modo, con deliberazione.
Con l’espressione “uguaglianza politica”
intendiamo dire che le preferenze di ciascun cittadino
sono tenute tutte nella stessa considerazione. Questo
vuol dire che a ogni singolo elettore è garantito
lo stesso potere di voto, ovvero un’uguale possibilità
di essere l’elettore decisivo. Questa è
“l’uguaglianza politica formale”.
Alle radici della “deliberazione”, invece,
c’è il “ponderare” che può
essere collettivo, individuale, o ambedue le cose,
e implicare discussione, riflessione o entrambe. Consideriamo,
quindi, la deliberazione come un’analisi di
considerazioni in competizione tra loro in una discussione
che è:
informata (e perciò informativa):
le affermazioni, che si basano sui fatti, esposte
a sostegno delle varie tesi dovrebbero essere ragionevolmente
accurate;
bilanciata: a ogni tesi che sostiene un determinato
punto di vista dovrebbero esserne contrapposte altre
che rispondono ad altri di interpretare lo stesso
problema;
consapevole: i partecipanti dovrebbero essere
disposti sia a parlare che ad ascoltare, civilmente
e con rispetto;
sostanziale: gli argomenti dovrebbero essere
considerati per il loro valore e non in base a come
vengono esposti o a chi li espone;
comprensiva: tutti i punti di vista caratteristici
di proporzioni significative della popolazione dovrebbero
ricevere attenzione.
Anche se non si riferiscono a gran parte delle conversazioni
quotidiane, questi criteri sono relativamente poco
esigenti: non richiedono alcun particolare stile o
qualità di pensiero né l’accettazione
di premesse fornite ai partecipanti prima della conversazione.
Si tratta di regole che si rivolgono strettamente
alla realizzazione della conversazione, non si addentrano,
ad esempio, nelle nozioni di deliberazione e richiedono
semplicemente che i partecipanti ragionino sulla base
dei principi che ci si aspetta siano accettati da
tutti.
Per quanto impegnativa, questa definizione può
essere messa in pratica tanto nel mondo reale quanto,
in grado maggiore, in un microcosmo sperimentale,
consentendoci così di spostarci dalla pura
speculazione a una situazione concreta e permettendoci
così di verificare la realizzazione di un vero
e proprio processo deliberativo.
Deliberazione versus uguaglianza politica?
Forse abbiamo rappresentato l’opposizione deliberazione-uguaglianza
in maniera troppo rigida. Molte discussioni tra élites
politiche, in effetti, rappresentano esempi di negoziazione
piuttosto che di deliberazione. Le idee possono cambiare
su proposte legislative concrete, ma spesso cambiano
perché il dibattito politico ne ha alterato
i dettagli o il contesto per renderle più o
meno accettabili, e non perché esse siano cambiate
su valori fondamentali o su premesse empiriche.
I legislatori sono rappresentativi, dopo tutto, ed
eletti per sostenere od opporsi a determinate scelte,
sono anche vincolati ai partiti. In teoria, perciò,
potremmo sostenere che l’opinione pubblica rappresentata
dalla totalità degli elettori potrebbe raggiungere
un livello reale ed effettivo di deliberazione che
la politica delle élite, dei parlamentari,
delle persone che abbiamo scelto per rappresentarci,
non ha.
I cittadini non sono vincolati a collegi elettorali
o a partiti, non hanno nessun bisogno di negoziare,
di scendere a compromessi per avere dei voti; di conseguenza
sono liberi di cambiare le proprie posizioni, non
solo riguardo a concrete proposte legislative ma anche
su questioni fondamentali che riguardano il mondo
che ci circonda, così com’è o
come dovrebbe e potrebbe essere.
Tuttavia, questa è soltanto una possibilità.
Per la maggior parte delle persone, il più
delle volte, la politica è semplicemente “un
evento secondario nel grande circo della vita”;
la maggior parte dei cittadini si intende poco di
politica, se ne parla spesso solo tra chi condivide
la stessa opinione, e questa non è una situazione
che è destinata a cambiare.
(…)
I sondaggi tradizionali
Inizialmente, i sondaggi sull’opinione pubblica
univano all’aspirazione per l’uguaglianza
politica - attraverso il campionamento scientifico
- quella per la deliberazione.
A battere per primo questa strada è stato George
Gallup, il cui campionamento non era casuale e perciò
inadeguato a un occhio moderno, e tuttavia rappresentava
un chiaro miglioramento rispetto ai precedenti criteri
per scegliere le persone da intervistare in un sondaggio.
Dopo aver correttamente previsto la vittoria di Franklin
Delano Roosevelt nelle elezioni presidenziali del
1936, Gallup ebbe modo di riflette sugli obiettivi
dei sondaggi. Lo studioso americano li pubblicizzava
come un serio strumento di riforma democratica, chiamandoli
“refendum a campione” e allo stesso tempo
immaginava di applicare l’esempio di uno stato
come il New England all’intera nazione.
“Oggi, l’idea delle comunità cittadine
del New England – ha scritto Gallup nel ’39
- si è, in un certo senso, rinvigorita. L’ampia
distribuzione di quotidiani che riportano le posizioni
degli uomini politici sulle questioni del giorno,
il quasi universale possesso delle radio che rende
l’intera nazione in grado di ascoltare qualsiasi
voce e l’avvento del referendum a campione,
uno strumento per stabilire velocemente la reazione
del pubblico sulle questioni del giorno, hanno in
pratica creato una comunità cittadina su base
nazionale”.
Gallup riteneva che i media e i sondaggi, insieme,
avrebbero permesso alla gente di ascoltare le opinioni
dei leader politici e allo stesso tempo di esprimere
le proprie idee.
Un buon sondaggio moderno, basato su un campionamento
casuale deve servire l’uguaglianza politica
dal momento che il campionamento casuale è
solo una selezione per sorteggio, ma non implica ancora
nessuna reale deliberazione.
Perciò la maggior parte delle opinioni ottenute
attraverso sondaggi tradizionali sono banali dal punto
di vista della conoscenza che si ha su quello stesso
argomento. In genere la persona che risponde esprimendo
una posizione su una particolare questione politica
non ha quasi mai pensato a quel problema prima di
essere intervistato e può disporre di pochissime
informazioni utili a riguardo.
Queste risposte, date senza riflettere sono quelle
che Converse ha chiamato non-attitudes – “non-opinioni”
- anche se la definizione di Luskin – minimal
attitudes – “opinioni minime”
- può essere forse più vicina alla triste
realtà.
Il sondaggio tradizionale ha inevitabilmente deluso
le speranze di Gallup ma ha comunque alterato la struttura
della democrazia moderna, senza avvicinarla alle virtù
delle comunità del New England. Le opinioni
che registra non sono affatto informate perché
non c’è diffusione e considerazione dei
punti di vista alternativi. Piuttosto riflette i livelli
normali e quotidiani di disattenzione e disimpegno
esprimendo l’opinione pubblica così com’è,
povera in informazione e riflessione.
Sondaggi deliberativi e democrazia deliberativa
Ma cosa accadrebbe se si potesse alzare il livello
della deliberazione, se non all’intera opinione
pubblica, almeno a un campione casuale? Cosa accadrebbe
se i sondaggi potessero diventare deliberativi?
I sondaggi deliberativi esplorano questa possibilità
esponendo campioni casuali a un’informazione
equilibrata, incoraggiandoli a soppesare tesi contrapposte
in discussioni con interlocutori eterogenei, e raccogliendo
successivamente le loro opinioni più ponderate.
È un modo, almeno in miniatura, di servire
sia la deliberazione che l’uguaglianza. La prima
consiste nell’apprendere, nel pensare, nel discutere;
caratteristiche, queste, che distinguono i sondaggi
deliberativi da quelli tradizionali. L’uguaglianza
politica resta nel campionamento casuale. In teoria,
ogni cittadino ha la stessa possibilità di
essere chiamato a partecipare e, in media, in infiniti
campionamenti ripetuti sulla stessa popolazione, il
campione la rappresenterebbe sempre esattamente.
Questa soluzione al problema di combinare l’uguaglianza
politica alla deliberazione risale in realtà
all’antica Atene, dove microcosmi deliberativi
costituiti da diverse centinaia di persone, scelte
per sorteggio, prendevano molte decisioni fondamentali.
Con la fine della democrazia ateniese questa pratica
è caduta prima in disuso e poi nel dimenticatoio.
Come notato, i sondaggi sull’opinione pubblica
ripresero il campionamento casuale ma senza deliberazione.
I sondaggi deliberativi, ricombinando i due aspetti,
sono invece un’esplorazione empirica della democrazia
deliberativa.
Dalla speculazione all’esperimento
reale
La “speculazione”, cioè cercare
di sapere cosa la gente deciderà in condizioni
di contraddittorio moralmente rilevanti, è
diventata oggetto della teoria politica contemporanea.
Ma perché non andare oltre l’empirismo
da poltrona? Se una situazione è moralmente
rilevante, perché non fare un reale esperimento
di scienza sociale per vedere come le cose potrebbero
essere realmente? E se quel dato che abbiamo preso
in considerazione è rinvenibile e rilevante
dal punto di vista normativo, perché non lasciare
che il resto del mondo ne venga a conoscenza?
Come la “posizione originale” di Rawls,
il sondaggio deliberativo ha una certa forza consultiva
– sia per i politici che per il pubblico stesso
- nel valutare quello che la gente potrebbe pensare
se sapesse e discutesse di più dei problemi.
Mentre i cittadini dovrebbero considerare le questioni
politiche ed elettorali per conto proprio, essi accolgono
spesso le imbeccate che vengono dai risultati dei
sondaggi tradizionali. I sondaggi deliberativi offrono
informazioni simili ma migliori, dal momento che si
fondano su una valutazione più informata e
ragionata delle problematiche da parte del campione.
Lo svolgersi dell’esperimento tende apertamente
e intenzionalmente a creare un contraddittorio. L’esperimento
dispone, infatti, i partecipanti a deliberare con
più profondità di quanto la maggior
parte di loro faccia normalmente nella vita reale
– certamente non più di quanto non facciano
le persone che si occupano di politica per mestiere.
Il contraddittorio dipende dalla proporzione del campione
che delibera, e l’elemento più determinante
da questo punto di vista può essere la qualità
piuttosto che la quantità della discussione,
ovvero il grado in cui la discussione è informata,
equilibrata, meritocratica, consapevole e comprensiva.
Ma questo non è, in realtà, molto diverso
da quello che accade in molti esperimenti.
Qualsiasi attività di comprensione può
avere una durata variabile, e lo scopo dell’esperimento
a volte è proprio quello di indurre i soggetti
ad aumentare o diminuire – a seconda dei casi
– tale lasso di tempo destinato all’elaborazione.
Per citare un famoso esempio, quanti impiegherebbero
un considerevole lasso di tempo a confrontare fra
loro le lunghezze delle linee proiettate su uno schermo
posto davanti a loro se in loro compagnia ci fosse
chi insiste sul fatto che le linee più corte
sono invece le linee più lunghe? Ma se anche
non fosse un elemento abitualmente presente nell’esperienza
quotidiana, il contraddittorio resterebbe comunque
essenziale nel sondaggio deliberativo.
(…)
Gli esperimenti finora realizzati di sondaggi deliberativi
hanno prodotto diverse dimostrazioni di come la deliberazione
influisca sulla formazione di un’opinione pubblica
informata e consapevole delle scelte che è
chiamata a compiere.
Se il nostro quadro degli effetti della deliberazione
è ancora incompleto, il programma di ricerca
che portiamo avanti offre già linee dettagliate
di risposta alle tre obiezioni generalmente mosse
alla democrazia deliberativa: disfattista, estenuante
e allarmista. Se queste risposte continueranno a resistere
alla luce di ulteriori ricerche empiriche, allora
avanzeremo ancora di qualche passo sulla strada verso
la realizzazione della democrazia deliberativa, e
sul nostro percorso avremo sempre ben presenti i due
valori che hanno tormentato la riforma democratica
da sempre, resistendo a ogni tentativo di realizzazione
simultanea – la deliberazione e l’uguaglianza
politica.
Questo saggio è parte dell’intervento
che gli autori hanno tenuto al convegno “Empirical
Approaches to Deliberative Politics” (Firenze
21-22 maggio 2004) organizzato dal Dipartimento di
Scienze Politiche e Sociali “Swiss Chair”
dell’European University Institute.
La versione integrale del saggio sarà pubblicato
in lingua inglese sulla rivista “Acta Politica”.
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