
 
                          Stiamo assistendo allo sviluppo di uno spazio pubblico 
                          o culturale europeo? Vi stiamo prendendo parte? Dovremmo 
                          promuoverlo? Queste domande potrebbero sembrare strane. 
                          Non dovremmo forse prestare attenzione agli altri spazi 
                          pubblici e alle altre culture europee? Non dovremmo 
                          forse mantenere un certo livello di comunicazione con 
                          i nostri vicini? Ovviamente dovremmo. Non abbiamo riviste 
                          e altre pubblicazioni con un orientamento europeo? Non 
                          teniamo forse tantissimi incontri, conferenze e festival 
                          sulla nostra comune cultura europea, passata e presente? 
                          Ovviamente lo facciamo.
                          Tuttavia, è opportuno fare un salto indietro 
                          alla fine degli anni ’60, allora, durante la mia 
                          giovinezza, non crescevo certo in uno spazio culturale 
                          europeo. Diventavo adulto all’interno di uno spazio 
                          pubblico e culturale occidentale e transatlantico. Ho 
                          avuto il mio periodo francese, come molti altri giovani 
                          e ambiziosi intellettuali tedeschi tra gli anni ’50 
                          e ’60. C’erano Sartre e Camus, Jacques Brel 
                          e Juliette Greco, la nouvelle vague. Poco più 
                          tardi, la Gran Bretagna si era fatta avanti con una 
                          vitale cultura giovanile, pop e rock, che già 
                          trasmetteva e trasformava le influenze americane. C’era 
                          anche un importante mensile culturale, Der Monat, che 
                          riportava molti contributi di critici e intellettuali 
                          americani. 
                          
                          

C’era 
                          il jazz, c’erano Faulkner, Dos Passos e la Beat 
                          Generation. C’erano il movimento per i diritti 
                          civili e quello contro la guerra in Vietnam. C’erano 
                          le manifestazioni e la disobbedienza civile e, poco 
                          dopo, il femminismo e l’ambientalismo. C’era 
                          il 
New Yorker e c’erano altre piccole 
                          riviste come 
l’Amerikahäuser. C’era 
                          l’America, un nuovo mondo. Forse si trattava solo 
                          di un fenomeno passeggero, limitato alla Germania del 
                          dopoguerra e a una generazione alla ricerca di un nuovo 
                          inizio e in una fuga da un passato orribile e da un 
                          presente soffocante. Ma io non ne sono poi così 
                          sicuro. 
                          
 Cos’è una sfera pubblica?
                            Diamo uno sguardo più teorico a spazi e sfere 
                            pubbliche. Gli studi sulla sfera pubblica, che sono 
                            in un certo grado tutti ispirati alla formulazione 
                            di Jurgen Habermas, non si interessano in particolar 
                            modo dei vari tipi di produzione culturale e scambio. 
                            Non sono interessati alla ricezione delle opere letterarie 
                            o di altre forme di arte o cultura popolare. E neppure 
                            alla distribuzione pubblica dell’informazione. 
                            Invece, sono particolarmente interessati alla discussione 
                            o al dibattito pubblico e alla formazione dell’opinione.
                            
                             Dibattere 
                            ha a che fare con motivare, offrire interpretazioni 
                            e analisi, giustificare le proprie valutazioni e le 
                            proprie critiche. Se guardiamo ai dibattiti pubblici, 
                            li ritroviamo in parte in discussioni che avvengono 
                            durante incontri informali e meeting. Nei mass media, 
                            la discussione è pressoché sommersa, 
                            da un lato, da diverse forme di intrattenimento e, 
                            dall’altro, dalla semplice informazione del 
                            tipo “riportare la notizia”.. Ma nei media 
                            elettronici, ci sono forme di cronaca, riviste e documenti 
                            con elementi di analisi, commenti e, a volte, la cosiddetta 
                            advocacy, e nella stampa periodica di nuovo 
                            commenti, pezzi d’opinione, reportage analitici, 
                            saggi e altri tipi di argomentazioni più sostenute. 
                            In Germania in particolare c’è la sezione 
                            del feuilleton, e spesso ci sono altre sezioni speciali 
                            nei quotidiani e nei settimanali, oppure nelle riviste 
                            intellettuali e culturali. Questo “dibattito” 
                            dei media è certamente la parte più 
                            importante e influente del “dibattito pubblico” 
                            in generale.
Dibattere 
                            ha a che fare con motivare, offrire interpretazioni 
                            e analisi, giustificare le proprie valutazioni e le 
                            proprie critiche. Se guardiamo ai dibattiti pubblici, 
                            li ritroviamo in parte in discussioni che avvengono 
                            durante incontri informali e meeting. Nei mass media, 
                            la discussione è pressoché sommersa, 
                            da un lato, da diverse forme di intrattenimento e, 
                            dall’altro, dalla semplice informazione del 
                            tipo “riportare la notizia”.. Ma nei media 
                            elettronici, ci sono forme di cronaca, riviste e documenti 
                            con elementi di analisi, commenti e, a volte, la cosiddetta 
                            advocacy, e nella stampa periodica di nuovo 
                            commenti, pezzi d’opinione, reportage analitici, 
                            saggi e altri tipi di argomentazioni più sostenute. 
                            In Germania in particolare c’è la sezione 
                            del feuilleton, e spesso ci sono altre sezioni speciali 
                            nei quotidiani e nei settimanali, oppure nelle riviste 
                            intellettuali e culturali. Questo “dibattito” 
                            dei media è certamente la parte più 
                            importante e influente del “dibattito pubblico” 
                            in generale.
                            
                            Con “dibattito pubblico”, non intendo 
                            il semplice dibattito politico. Ci sono dibattiti 
                            importanti che riguardano non solo decisioni o problemi 
                            politici in pendenza ma anche argomenti d’interesse 
                            più generale, consapevolezze individuali e 
                            collettive, critiche sociali e culturali, interpretazioni 
                            del passato e aspirazioni o preoccupazioni concernenti 
                            il futuro, “diagnosi del nostro tempo” 
                            e così via. Il discorso pubblico si colloca 
                            soprattutto in certe sfere ristrette – in “sfere 
                            pubbliche” o “sfere del discorso pubblico” 
                            separate e perlopiù nazionali . Leggi, regolamenti 
                            e lingue nazionali segnano ogni sfera pubblica. La 
                            politica, i governi, i partiti, le organizzazioni 
                            intermedie e le associazioni nazionali forniscono 
                            argomenti e input. I mass media nazionali funzionano 
                            come canali portatori di discorso pubblico. Questa 
                            è comunque una descrizione insufficiente. Ci 
                            sono molti elementi di coesione e legami rispetto 
                            a queste condizioni perlopiù esterne. Ci sono 
                            importanti forme di differenziazione interna. E, ovviamente, 
                            c’è un mutuo scambio e una mutua osservazione 
                            tra pubblici nazionali differenti o sfere pubbliche. 
                          
                          Iniziamo con la differenziazione: il discorso pubblico 
                            non si realizza in un pubblico omogeneo. Il pubblico 
                            è differenziato dal punto di vista ideologico 
                            e politico, da quello regionale, per l’interesse 
                            per aree problematiche differenti. Il pubblico è 
                            anche stratificato. C’è una struttura 
                            ineguale, una gerarchia nella sfera pubblica. La stratificazione 
                            esiste tra chi parla come tra chi ascolta pubblicamente. 
                            Tra chi parla c’è chi esercita una maggiore 
                            influenza e tra chi ascolta c’è chi è 
                            più attento e informato. I media hanno una 
                            diffusione diversa e un diverso prestigio intellettuale. 
                            
                            
                            La nozione di influenza pubblica, che è in 
                            qualche modo legata, anche se non identica, a quella 
                            di prestigio intellettuale, è più difficile 
                            da applicare in questo contesto perché dovremmo 
                            distinguere le influenze temporanee da quelle di lungo 
                            termine. La nozione di prestigio potrebbe essere leggermente 
                            meno difficile da applicare ma è anch’essa 
                            abbastanza complicata. Per fare un esempio di cosa 
                            intendo per prestigio, si può considerare il 
                            fenomeno dei giornali nazionali di qualità, 
                            generalmente considerati importanti leader d’opinione 
                            (faccia a faccia con le élites politiche, sociali 
                            e culturali e con gli altri media), eppure in genere 
                            essi non hanno una grande diffusione se paragonati 
                            alla stampa popolare o locale. Un altro tipo di prestigio 
                            è più strettamente limitato alla sfera 
                            culturale o intellettuale dove le riviste hanno un 
                            lettorato molto ristretto, una dubbia influenza sull’opinione 
                            pubblica, come anche sull’agenda pubblica, ma 
                            godono di un profondo rispetto da parte delle classi 
                            colte e forse hanno un’influenza di lungo termine 
                            su sviluppi culturali di larga portata che è 
                            comunque molto difficile da dimostrare.
                            
                            Semplificando le cose, si può considerare la 
                            differenziazione tra un “discorso generale”, 
                            rivolto al lettore medio della stampa nazionale di 
                            qualità (ovvero a un particolare segmento della 
                            popolazione nazionale) e un “discorso alto” 
                            o intellettuale, indirizzato alle élites culturali, 
                            intellettuali ma anche tecniche, economiche o politiche. 
                            E’ una considerazione che, ovviamente, semplifica 
                            molto, ma che risulta essere importante per quanto 
                            riguarda gli spazi pubblici transnazionali o europei. 
                            I giornali culturali apparterranno in questo senso 
                            alla sfera del “discorso alto”. In che 
                            modo una sfera pubblica ristretta e così differenziata 
                            o segmentata può essere ancora definita integrata? 
                            In primo luogo, qualsiasi sfera del discorso pubblico, 
                            ristretta o integrata, (una sfera pubblica nazionale) 
                            è caratterizzata da un’alta densità 
                            di flussi comunicativi – una densità 
                            più alta per i flussi interni che per quelli 
                            transnazionali, come ha evidenziato lo scienziato 
                            politico Karl Deutsch. 
                            
                            Le sfere pubbliche sono integrate attraverso “agende” 
                            dominanti, insiemi di problematiche e argomenti che 
                            vengono portati alla ribalta contemporaneamente dai 
                            vari mass media e da altre forme di discorso pubblico. 
                            Inoltre, c’è una notevole quantità 
                            di “senso comune” negli argomenti dibattuti, 
                            nel modo in cui posizioni diverse vengono percepite 
                            e interpretate, nella scelta degli aspetti importanti 
                            e in ciò che viene dato per scontato. In che 
                            modo si può allora parlare della transnazionalizzazione 
                            del discorso pubblico – e più specificamente 
                            dello sviluppo di sfere pubbliche transnazionali? 
                            In altre parole, come si può affrontare il 
                            problema dello sviluppo di uno spazio pubblico europeo? 
                            Possiamo parlare di un universo condiviso del discorso 
                            all’interno di una certa area geografica, per 
                            esempio l’Europa, solo se ci sono dei flussi 
                            di comunicazione, degli scambi di idee e argomenti, 
                            di libri, periodici, articoli, film e altre opere 
                            culturali che superano i confini nazionali e attraversano 
                            l’intera sfera europea. Questi processi di diffusione 
                            e scambi culturali avvengono tra molti pubblici nazionali 
                            a livello mondiale.
                            
                            Per parlare di uno spazio pubblico europeo, due altre 
                            condizioni devono perciò essere soddisfatte. 
                            In primo luogo, che i flussi di comunicazione all’interno 
                            dell’Europa o, più precisamente, tra 
                            gli stati membri dell’Unione e i rispettivi 
                            pubblici, siano marcatamente più densi rispetto 
                            a quelli con i paesi esterni all’Unione (per 
                            esempio gli Stati Uniti). Ciò richiederà 
                            molto probabilmente una certa convergenza delle culture 
                            pubbliche dei paesi membri per agevolare la reciproca 
                            comprensione e il coordinamento dei dibattiti. In 
                            secondo luogo, dovrebbe esserci qualcosa come un’identità 
                            pubblica comune a fare da sfondo dei dibattiti. Nei 
                            dibattiti pubblici nazionali, non si trovano solo 
                            espliciti riferimenti alla propria nazione e alle 
                            proprie istituzioni politiche, ma anche un’implicita 
                            o esplicita auto-identificazione come pubblico nazionale 
                            che si sforza per formarsi un’opinione. Una 
                            condizione critica per una europeizzazione genuina 
                            dei dibattiti pubblici sarebbe l’allargamento 
                            dell’identità collettiva: un “noi” 
                            europeo che superi i confini nazionali – a cui 
                            possibilmente si affianchi la crescita di una consapevolezza 
                            della propria diversità rispetto agli altri 
                            “noi” asiatici,americani,ecc.
                            
                            Quale futuro per la sfera nazionale europea?
                            Uno spazio comunicativo europeo di questo genere si 
                            sta sviluppando? Se sì, in che grado e con 
                            quale ritmo? Se si considerano i fatti dal punto di 
                            vista empirico, il giudizio deve ancora rimanere sospeso. 
                            I risultati delle ricerche pubblicate fino a oggi 
                            sono miseri, inconcludenti, e in parte contraddittori. 
                            La nostra ricerca – compiuta presso la mia università 
                            a Brema - sembra mostrare che i flussi di comunicazione 
                            oltre confine stiano aumentando molto lentamente e 
                            che un “noi” comune europeo non esista 
                            realmente. Tuttavia, c’è una sorta di 
                            europeizzazione segmentata in alcuni settori del discorso 
                            alto. C’è, per esempio, la stampa economica 
                            internazionale, che è diventata piuttosto transnazionale 
                            per portata e diffusione. E c’è un più 
                            vivace scambio culturale e un dibattito genuinamente 
                            internazionale nei media dell’élites 
                            culturali e intellettuali, come nel caso delle riviste 
                            di cultura. Che cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? 
                            Quali sono le cause della situazione attuale? E’ 
                            una situazione di cui rammaricarsi? Credo che nel 
                            prossimo futuro, nei prossimi vent’anni o giù 
                            di lì, l’europeizzazione del discorso 
                            pubblico rimarrà piuttosto limitata e sarà 
                            soprattutto ristretta a certe élites, e non 
                            sarà in nessun modo paragonabile alla densità 
                            e all’intensità dei discorsi nazionali. 
                          
                          Generalmente parlando della sfera pubblica europea 
                            si considera una sorta di cultural lag: la 
                            transnazionalizzazione o l’europeizzazione, 
                            in particolare, sono più avanzate nelle aree 
                            economiche e nelle politiche ufficiali (vale a dire 
                            dall’alto) che non nella sfera dello scambio 
                            culturale e del discorso pubblico (nella democrazia 
                            o politica dal basso). Questo produce un deficit democratico, 
                            ovvero un deficit di legittimità, per l’Unione 
                            Europea. Che ci siano alcuni elementi di verità 
                            in un’affermazione del genere non può 
                            certo essere negato. Tuttavia va precisato che l’unificazione 
                            o la centralizzazione dell’Unione Europea è 
                            ancora più limitata di quanto normalmente si 
                            pensi, che il ruolo degli stati nazionali resta molto 
                            più importante, che non sembra probabile un 
                            cambiamento profondo a breve, e che è piuttosto 
                            discutibile l’opportunità di spingere 
                            per questo cambiamento repentino e profondo. 
                          Andrei Moravcsik,docente di scienze politiche a Harvard 
                            ed esperto sui fatti che riguardano l’Unione, 
                            ha sostenuto in un recente articolo, pubblicato sul 
                            Journal of Common Market Studies, che l’Unione 
                            Europea è ancora sostanzialmente un’unione 
                            economica, un’area di libero scambio con opportune 
                            regolamentazioni e liberalizzazioni: “Molto 
                            viene perciò tralasciato dall’agenda 
                            dell’Unione: dalle priorità fiscali, 
                            al welfare, dalla difesa all’istruzione, 
                            alla promozione culturale, dal finanziamento delle 
                            infrastrutture civili a molte altre decisioni che 
                            non sono collegate all’attività economica 
                            di scambio tra le nazioni… L’Unione Europea 
                            non tassa, non spende, non si impegna e non si impone 
                            e, in molte aree, non ha un monopolio legale di autorità 
                            pubblica”. 
                            
                            Cosa significa questo per la legittimazione, la democrazia 
                            e il ruolo del pubblico o del discorso pubblico? Si 
                            tratta di una questione molto complessa perciò 
                            evidenzierò solo un aspetto della questione 
                            sempre riferendomi all’articolo di Moravcsik: 
                            “Delle cinque problematiche più importanti 
                            nelle democrazie dell’Europa occidentale – 
                            sanità, istruzione, giustizia e sicurezza, 
                            pensioni e welfare sociale, regime fiscale 
                            – nessuno è principalmente di competenza 
                            dell’Unione”. Neppure lo sono le politiche 
                            per la sicurezza interna ed esterna, ovvero, le questioni 
                            di guerra e pace. Moravicsik conclude: “La mancanza 
                            di rilevanza, e non la mancanza di opportunità, 
                            può imporre una vincolante limitazione alla 
                            partecipazione politica europea”. 
                            
                            Ovviamente deploriamo questa mancanza di rilevanza 
                            ma, date le scarse risorse, cognitive ed emotive, 
                            a disposizione, il tutto si risolverebbe in uno spostamento 
                            dell’attenzione verso le questioni tecniche 
                            che coinvolgono l’Unione.
                            
                            Si potrebbe sostenere che le competenze dell’Unione 
                            dovrebbero essere considerevolmente potenziate, permettendo 
                            così un aumento della rilevanza dell’Ue. 
                            Ma si aprirebbe un altro dibattito: quali sono le 
                            reali ragioni per sostenere un’ulteriore integrazione 
                            politica all’interno dell’Unione Europea? 
                            Attualmente il dibattito pubblico su queste questioni 
                            è scarso e limitato alle cerchie intellettuali. 
                            L’euroscetticismo, come viene chiamato, sembra 
                            essere intellettualmente indegno, un affare per masse 
                            non illuminate, fuorviate dai populisti, come nel 
                            caso di qualche isolato conservatore inglese guidato 
                            dalla Thatcher, e di qualche, altrettanto isolato, 
                            progressista francese ancora allettato dall’idea 
                            di realizzare il socialismo in un unico paese. I circoli 
                            intellettuali di sinistra, il centro e anche la destra 
                            moderata non vedono il problema. Ma non sorprende 
                            almeno un po’ il fatto che tanti intellettuali 
                            e pubblicisti liberali e di sinistra siano a favore 
                            di una maggiore centralizzazione politica su larga 
                            scala, dal momento che un tempo una considerevole 
                            parte della sinistra sosteneva la decentralizzazione? 
                          
                          La conferma del potere della sfera nazionale
                            
                            Cosa spiegare l’inerzia, la rigidità 
                            delle sfere pubbliche? Le politiche abituali dell’Unione 
                            non hanno abbastanza sex-appeal per diventare 
                            una questione all’attenzione di un pubblico 
                            vasto, ma ci sono altre cause da evidenziare.
                            Le sfere pubbliche nazionali sono caratterizzate da 
                            specifiche infrastrutture per la comunicazione da 
                            tratti culturali distintivi che si manifestano in 
                            schemi interpretativi, strutture di rilevanza, memorie 
                            collettive e altre fonti culturali. Queste differenze 
                            non esistono indipendentemente da altri aspetti propri 
                            delle rispettive società nazionali. In molti 
                            casi, infatti, sono legate a pratiche sociali e strutture 
                            istituzionali che influenzano il carattere delle sfere 
                            pubbliche e i modi della riproduzione culturale. In 
                            altre parole, le sfere pubbliche hanno una base sociale 
                            e culturale che si estende ben oltre il mercato dei 
                            media e delle loro organizzazioni. Molte altre strutture 
                            che influenzano la produzione intellettuale e la sua 
                            ricezione come anche gli interessi collettivi giocano 
                            un ruolo in questo senso. Pensiamo al settore dell’istruzione 
                            e della ricerca, al giornalismo, alle reti di produttori 
                            culturali, e alla proprietà intellettuale. 
                            Ma pensiamo pure ai partiti, ai gruppi di interesse, 
                            alle organizzazioni sociali. Un motivo del relativo 
                            attaccamento anche del discorso “alto” 
                            o intellettuale al livello nazionale può avere 
                            a che fare con il fatto che spesso si tratta di persone 
                            che fanno fondamento su università o istituzioni 
                            mediali nazionali. 
                            
                            Tutte queste condizioni non sono così facilmente 
                            riproducibili a livello europeo. Ciò non significa 
                            tuttavia che bisogna opporsi allo scambio culturale 
                            o a un aumento del dialogo e della cooperazione. Significa 
                            solo che è assai improbabile la realizzazione 
                            di una sfera pubblica europea fortemente integrata 
                            in tempi brevi. 
                            
                            I flussi di comunicazione europei e quelli 
                            transatlantici
                            
                            Infine dobbiamo considerare un altro interessante 
                            aspetto della transnazionalizzazione del discorso 
                            pubblico. Se riuscissimo a mappare i flussi di comunicazione 
                            oltre confine, in particolare quelli del discorso 
                            o dibattito pubblico, tracceremmo uno schema che è 
                            rimasto relativamente costante nel tempo. Vi apparirebbe 
                            non tanto una sfera europea, ma , più marcatamente, 
                            una sfera transatlantica con un maggiore scambio di 
                            comunicazione e idee. Ciò significa che lo 
                            scambio culturale, i flussi di idee e argomentazioni, 
                            di libri, di articoli di riviste e quotidiani sono 
                            molto più densi tra i paesi europei e il nord 
                            America, e più specificamente gli Stati Uniti, 
                            piuttosto che tra i paesi membri dell’Unione. 
                            I dati raccolti durante la ricerca dell’Università 
                            di Brema non sono ancora molto precisi, ma lo schema 
                            generale sembra chiaro e corrisponde alla nostra esperienza 
                            quotidiana. C’è una vera e propria rete 
                            di flussi di comunicazione che attraversa l’intero 
                            Occidente, e che comprende il Nord America e l’Europa 
                            (dal 1989, anche i paesi post-comunisti dell’Europa 
                            centrale). Ci sono evidenti asimmetrie, ovviamente. 
                            Delle particolari affinità esistono tra alcuni 
                            paesi europei e le loro sfere pubbliche e gli Stati 
                            Uniti, si pensi alla Germania o alla Gran Bretagna. 
                            Ma le asimmetrie riguardano anche gli elementi culturali 
                            che vengono scambiati tra gli Stati Uniti e l’Europa: 
                            sembrerebbe che gli Stati Uniti esportino di più 
                            rispetto all’Europa. E ciò non solo per 
                            quanto riguarda elementi della cultura di massa, ma 
                            anche libri importanti, riviste e giornali intellettuali 
                            e politici, contributi intellettuali in numerose altre 
                            forme. Siamo arrivati a lamentarci della dominazione 
                            americana in molti settori della cultura di massa, 
                            ma, guardando alla cultura alta, in particolare a 
                            quella accademica e scientifica e al discorso pubblico 
                            alto, gli Stati Uniti hanno di nuovo un ruolo di primo 
                            piano, se non altrettanto dominante. 
                          Che cosa si può dedurre da tutto questo? C’è 
                            una lezione da imparare? Ci potremmo ovviamente lamentare 
                            e parlare di imperialismo culturale, sostenendo la 
                            necessità di creare un blocco culturale in 
                            grado da fare da contrappeso all’egemonia americana. 
                            In realtà però non ha molto senso entrare 
                            in competizione per ottenere una fetta del mercato 
                            intellettuale formando alleanze nazionali o riunendo 
                            un qualche campo culturale e intellettuale transnazionale,e 
                            forse europeo. La competizione culturale e intellettuale, 
                            se ha senso utilizzare un termine del genere in questo 
                            settore, non funziona attraverso la formazione di 
                            alleanze o la costruzione di blocchi. La creatività 
                            può essere potenziata, tra le altre cose, proprio 
                            dallo scambio culturale. Ma ciò non porta a 
                            nessun vantaggio particolare per la cooperazione e 
                            lo scambio intellettuale su base regionale. L’interesse 
                            nella produttività culturale e nell’innovazione 
                            dovrebbe portarci a essere aperti a tutte le possibili 
                            influenze che possono arricchire i nostri discorsi. 
                            Questo non significa necessariamente, d’altro 
                            canto, che non dovremmo prendere in considerazione 
                            le affinità culturali. Lo scambio culturale 
                            quotidiano è più facile e in genere 
                            più soddisfacente, se ci sono comuni convincimenti 
                            culturali, un repertorio condiviso, infrastrutture 
                            sociali e istituzionali compatibili. Perciò 
                            dobbiamo certamente lottare per essere cosmopoliti, 
                            per aprirci al mondo, ma andremo ancora avanti leggendo 
                            soprattutto riviste, quotidiani e giornali europei 
                            e nord americani, e per una buona ragione. 
                            
                            Infatti, noi già formiamo una comunità 
                            che comunica e discorre, in un certo senso, e dovremmo 
                            svilupparla ulteriormente costruendo su fondamenta 
                            che già esistono. Questo non è necessariamente 
                            più importante della costruzione di nuovi ponti 
                            culturali con altre parti del mondo. Si tratta semplicemente 
                            di un differente obiettivo.
                            
                            Non abbiamo forse buone ragioni per fare avanzare 
                            il progetto di una comune cultura europea, di uno 
                            spazio pubblico e culturale europeo condiviso come 
                            preferibile alternativa a un ulteriore sviluppo di 
                            uno spazio pubblico e culturale transatlantico già 
                            esistente? Ovviamente, possiamo avere ragioni molto 
                            buone per fare qualcosa per la cooperazione e lo scambio 
                            intellettuale all’interno dell’Europa. 
                            Queste ragioni possono andare dalla semplice constatazione 
                            della vicinanza geografica a un marcato interesse 
                            per alcune tematiche che sono specifiche della nostra 
                            regione – per esempio l’eredità 
                            del passato comunista in alcune zone dell’Europa. 
                            Ma tali considerazioni si riferiscono solo ad alcune 
                            aree del discorso pubblico, ad alcuni argomenti o 
                            campi tematici. 
                            
                            Ci sono ragioni per pensare a un progetto europeo 
                            aldilà di queste? Si potrebbe tornare alle 
                            obiezioni alla dominazione americana o a specifiche 
                            politiche americane. E’ facile vedere come esistano 
                            ottimi motivi per opporsi alle pessime decisioni prese 
                            dall’attuale amministrazione statunitense. Ma 
                            oltre questo ho dei seri dubbi. Lasciando da parte 
                            quanto possa essere significativo opporsi alla preponderanza 
                            economica e militare americana attraverso un blocco 
                            europeo, non riesco a capire perché e come 
                            una tale opposizione a politiche governative possa 
                            portarci alla formazione di un blocco intellettuale 
                            e culturale.
                            
                            Consideriamo un appello per unire le forze culturali 
                            progressiste europee per formare un contrappeso agli 
                            Stati Uniti basata non solo sulla politica ma anche 
                            sulla cultura. Qualcosa del genere è stato 
                            tentato da Jürgen Habermas e Jacques Derrida 
                            che si sono impegnati per la difesa di un modello 
                            culturale e politico europeo unico contro quello che 
                            hanno descritto come il modello egemonico, neoliberale 
                            e unilaterale statunitense. Si sono richiamati alle 
                            differenze nei programmi sociali, nel ruolo e nel 
                            mandato dello stato, nelle politiche penali e nel 
                            multilateralismo nelle politiche estere. Il dubbio 
                            che esistano delle differenze in questi settori tra 
                            i paesi europei e gli Stati Uniti è davvero 
                            piccolo. Ma si tratta di differenze non molto più 
                            grandi di quelle che si ritrovano all’interno 
                            della stessa Europa, e che vengono comunque sorpassate 
                            in importanza da alcuni fondamentali elementi in comune 
                            negli orientamenti, negli impegni politici e persino 
                            nell’esperienza storica. Ma anche se ci fosse 
                            una crescente divisione non solo in materia di politica 
                            internazionale e di politica interna, ma anche da 
                            un più generale punto di vista culturale – 
                            e anche se (un se davvero grande questa volta!) questa 
                            divisione riguardasse non solo le élites politiche 
                            ed economiche statunitensi ma anche gli intellettuali, 
                            gli esponenti del mondo accademico, i giornalisti, 
                            gli scrittori, e gli editori che dovrebbero essere 
                            i nostri primi interlocutori – questo non dovrebbe 
                            portarci a tentare di aumentare il dialogo e lo scambio 
                            culturale e intellettuali piuttosto che richiuderci 
                            nel nostro vicinato europeo? (Credo che Habermas stesso 
                            sosterrebbe la prima alternativa)
                            
                            Il ruolo dei giornali culturali nella sfera 
                            pubblica europea
                            
                            Progettare, leggere e godere di tali pubblicazioni 
                            non ha bisogno di alcuna giustificazione in termini 
                            pubblici o sociali, e neppure di una valutazione sui 
                            loro effetti sociali e culturali. Da scienziato sociale, 
                            tuttavia la mia curiosità va proprio alle funzioni 
                            e agli effetti culturali e sociali di ampio respiro. 
                            In particolare, vorrei portare avanti l’ipotesi 
                            di un effetto culturale e intellettuale lento. Piccoli 
                            gruppi intellettuali impegnati non hanno un immediato 
                            impatto politico e culturale sulla più vasta 
                            scena sociale, politica e culturale, come viene spesso 
                            notato (e, a volte, forse senza necessità, 
                            deplorato). Se guardassimo alla questione da un’angolazione 
                            leggermente differente, le cose potrebbero apparire 
                            in qualche modo diverse. Se osservassimo i cambiamenti 
                            culturali e le innovazioni più profonde, lo 
                            sviluppo di idee pubbliche influenti, e infine le 
                            conseguenze pratiche di questi sviluppi, sia per quanto 
                            riguarda la politica che per quanto riguarda la vita 
                            privata di ogni giorno, il quadro potrebbe cambiare. 
                            Infatti gli importanti cambiamenti che si sono verificati 
                            nei due secoli passati sono stati influenzati da quei 
                            discorsi minoritari che hanno avuto luogo in campo 
                            culturale e intellettuale. 
                          Prendiamo in considerazione solo gli ultimi decenni 
                            e consideriamo i cambiamenti nel senso comune sulla 
                            guerra e sulla pace, sulla povertà nel mondo, 
                            sui diritti umani, sulle minoranze culturali e sociali, 
                            sui sessi e sui rapporti familiari, sul nostro rapporto 
                            con il mondo naturale, con i nostri corpi e con il 
                            loro sviluppo: si tratta di elementi che riteniamo 
                            importanti nel nostro repertorio culturale. Non ci 
                            sono sempre stati cambiamenti nelle opinioni della 
                            maggioranza, e certamente non abbiamo avuto un’attenuazione 
                            di opinioni discordanti, ma i cambiamenti nello spettro 
                            delle idee articolate e difese pubblicamente, lo sviluppo 
                            di nuovi schemi e argomentazioni, in breve: una forma 
                            differente del paesaggio culturale e intellettuale. 
                            Non tutto questo è stato certo condizionato 
                            da quello che ho definito discorso pubblico alto. 
                            I cambiamenti sono stati influenzati dalle esperienze 
                            collettive e dai conflitti sociali oltre che dai nuovi 
                            stili di vita e di lavoro. Ma questi cambiamenti non 
                            sarebbero stati possibili senza la produzione di idee 
                            e argomentazioni all’interno di queste sfere 
                            pubbliche più piccole e, in un certo senso, 
                            elitarie. Le idee dovevano venire fuori da qualche 
                            parte. Oltre ciò, sappiamo ben poco si questi 
                            processi di produzione, diffusione e cambiamento culturale. 
                            Sappiamo poco anche dei tipi di reti e dei contatti 
                            informali e semiformali che incoraggiano lo scambio 
                            culturale e intellettuale tra nazioni diverse, o che 
                            rendono possibile la produzione di riviste e giornali 
                            culturali in primo luogo. Mi piacerebbe di certo vedere 
                            una maggiore cooperazione tra gli scienziati sociali 
                            e i produttori di cultura nel tentare di rendere più 
                            chiari questi processi.
                            (traduzione dall’inglese di Martina Toti) 
                            
                            
                            (c) Eurozine, www.eurozine.com
                            
                            Bernhard Peters è docente di Teorie della 
                            Politica e Storia delle idee all’Università 
                            di Brema; è tra i fondatori e dirigenti dell’ 
                            Institute for Intercultural and International Studies 
                            che ha sede a Brema. 
                           
                           
                           
                           
                           
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