260 - speciale agosto 2004


Cerca nel sito
Cerca WWW
Il vuoto comincia dal web

Thierry Chervel


Internet è considerato generalmente un’invenzione americana, un mito questo che viene tenuto vivo anche negli Stati Uniti. Un breve sguardo alla storia di questa rivoluzione tecnologica ci permette di correggere l’errore. Il salto di qualità, che ha sottratto internet alla sfera esclusiva delle università, dei patiti di computer e dell’esercito, è avvenuto in Europa. E’ stato l’inglese Tim Berners-Lee a inventare lo standard html, che ha trasformato la rete nel world wide web e l’ha resa praticabile e utilizzabile per milioni di utenti. Lo standard Mp3, che comprime i file musicali fino a un ventesimo delle loro dimensioni originali e ha portato l’industria musicale sull’orlo della rovina, è stato sviluppato da un piccolo gruppo di scienziati del Fraunhofer-Institut für Integrierte Schaltungen (il Fraunhofer-Institut per i circuiti integrati) di Erlangen in Germania. E infine la rete nel suo attuale aspetto non potrebbe esistere se non fosse stato per il finlandese Linu Thorvald che ha inventato il software Linux. Questo software non è molto diffuso tra i personal computer ma molto utilizzato dai server, per esempio da quei computer che alimentano i contenuti in internet. Senza Linux, l’intera popolazione della rete avrebbe dovuto pagare delle vere e proprie licenze a Microsoft e internet avrebbe avuto uno sviluppo decisamente rudimentale.

Perciò è stata l’Europa a trasformare per prima la rete in un mass medium eppure non si tratta di un successo europeo. Sorprendentemente, tutte le idee sul business della rete sono state sviluppate negli Stati Uniti.Yahoo resta il più importante portale di internet e offre oggi infiniti e differenziati strumenti per milioni di clienti. Amazon non ha solo sconvolto il commercio dei libri ma ha alterato, tranquillamente e quasi senza essere notato, l’intero pubblico letterario in maniera decisiva. Ebay ha messo radicalmente in questione le pratiche esistenti relative alla distribuzione e ai prezzi del commercio al dettaglio nonché le relazioni con i consumatori su scala mondiale. Google è diventato sinonimo di internet e combina una posizione di monopolio alla Microsoft con un’immagine piacevole alla Apple.

L’Europa ha offerto standard gratuiti e di portata industriale per l’incredibile avanzata di internet, ma solo gli americani hanno avuto idee irresistibili per poterlo sfruttare. I gruppi finanziari inflessibili e le strutture di potere dell’economia europea che, nonostante il boom di internet e della Borsa di 4 anni fa, hanno reso impossibile lo sviluppo di nuove idee per la rete, vanno annoverate tra le ragioni dell’attuale situazione. Il fallimento del gruppo Bertelsmann, uno dei più grandi a livello mondiale nel settore del commercio di libri via internet è esemplare. Mentre Jeff Bezos aveva avviato Amazon in un piccolo magazzino di Seattle, Bertelsmann investiva, fin dall’inizio, tra i 150 e i 300 milioni di euro per sconfiggere Amazon e controllare il mercato internazionale. Bol, tuttavia, non ha mai raggiunto più del 20% del giro d’affari di Amazon.. Alla fine Bertelsmann ha chiuso il commercio via internet e ha venduto, per una cifra irrisoria, le migliaia di indirizzi e-mail dei suoi clienti tedeschi a Thalia, il suo più grande concorrente nel commercio librario in area tedesca. Nel frattempo Amazon.de è diventato il più grande rivenditore di libri in Germania.

La goffaggine dell’Europa nello sfruttare internet si è tristemente ripetuta per quanto riguarda le sfere pubbliche – o Öffentlichkeiten – europee, o, almeno, per quanto riguarda le sfere pubbliche dell’Europa occidentale, ed è arrivata fino ai circoli esclusivi del pubblico degli intellettuali. A differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, dove molti quotidiani restano gratuiti on line, molti giornali in Europa hanno rinunciato al pubblico di internet. El Pais in Spagna, Il Corriere della Sera in Italia, il Süddeutsche Zeitung e il Frankfurter Allgemeine Zeitung in Germania offrono, infatti, i propri contenuti solo agli utenti abbonati. In questo modo non si raggiungeranno certo nuovi lettori per il prodotto cartaceo dal momento che gli internauti, ormai abituati alla rete, si registrano solo in quei media che si trovano, in primo luogo, on line.

Per quanto sia legittimo il rifiuto di fornire gratuitamente dei contenuti che sono, in realtà, costosi da produrre, resta aperta la questione se l’offerta gratuita dei contenuti in rete abbia finora danneggiato economicamente le riviste che l’hanno praticata. E’ vero, almeno in massima parte, che internet ha attaccato i vecchi media, ma non per via dei contenuti gratuiti. Piuttosto per via della sezione relativa a professioni e beni immobili su cui i giornali difficilmente riusciranno a risalire la china – da questo punto di vista internet è semplicemente troppo pratico. Tuttavia è proprio su questo punto che i media europei si sono dimostrati incapaci. La tattica di mettersi imbronciati in un angoletto, scelta da molti media dopo l’isteria del boom e il panico del crash di cui erano in realtà responsabili, non porterà alcun beneficio né ai giornali né al pubblico.

Ancora peggiore, persino catastrofico, lo scenario dei circoli intellettuali europei, almeno quando si considera la presenza dei giornali culturali. Il caso di Micromega, la rivista culturale italiana che è diventata il punto focale dell’opposizione intellettuale contro il governo Berlusconi e che fino a oggi si astiene da qualsiasi presenza in rete, è un esempio lampante. Quanto potere la rivista e gli intellettuali italiani avrebbero acquisito se si fossero aperti al pubblico internazionale? In Germania riviste come Lettre International, Kommune ,Merkur o Literaturen offrono alcuni rudimenti dei loro contenuti gratuitamente – ma anche in Germania le possibilità offerte da internet sono state poco sfruttate. In Francia, dove i giornali intellettuali erano appartenuti un tempo agli organi centrali del pensiero cosmopolita, Esprit ha inaugurato, dopo una lunga assenza, un indirizzo internet tappezzato da carrelli della spesa, ed euro. Non si riesce neppure a leggere gli editoriali del numero corrente che, tutto sommato, dovrebbero pubblicizzare la scelta dei temi gratuiti.

Giornali come Commentaire o Le Débat – tra gli indirizzi intellettuali migliori in Francia - non riescono neppure a offrire un indice comprensibile dei contenuti on line. In questo modo, da arroganti e ignoranti, ci si avvia sulla strada dell’irrilevanza internazionale. Sembrerebbe che i media europei abbiano avuto paura di internet, che abbiano visto i rischi ma nessuna delle formidabili opportunità offerte dalla rete.

Nell’anno dell’allargamento dell’Unione a dieci nuovi paesi, gli intellettuali europei stanno disperatamente cercando una sfera pubblica europea senza però riuscire a trovarla. I singoli paesi – almeno questo vale per l’Europa occidentale – sono concentrati su se stessi e fermi nella propria scelta a favore o contro gli Stati Uniti. Per esempio, se si dovesse misurare l’influenza culturale della Germania sulla Francia o viceversa, si noterebbe un drastico declino a partire dagli anni Cinquanta. Allo stesso tempo i grandi giornali europei non sono mai stati in grado di creare una rete. I tentativi come quello di Liber di Pierre Bourdieu si sono fermati agli stadi iniziali. Le università sono connesse, ma manca loro il pubblico generale. I giornali culturali operano ai margini è sono appena notati dai grandi quotidiani.

L’incarnazione più triste della “vecchia Europa” di Donald Rumsfeld si è avuta nel tentativo compiuto dal filosofo tedesco Jürgen Habermas con il lancio dell’iniziativa Kerneuropa contro la guerra in Iraq e per la “nuova Europa”, attraverso diversi quotidiani. Habermas pubblicò il suo articolo sul Frankfurter Allgemeine Zeitung, mentre altri suoi colleghi avevano scritto sul Süddeutsche Zeitung , su El Pais e sul Corriere della Sera. Nessuno di questi quotidiani ha pubblicato però gli articoli on line. Ciò significa che un intellettuale di Madrid, Parigi o Berlino, se interessato, avrebbe dovuto fare il giro di diverse stazioni ferroviarie prima di riuscire ad acquistare quattro quotidiani di tre nazioni diverse. Pochi giorni dopo, il dibattito era già stato dimenticato. Se Habermas avesse investito poche migliaia di euro per costruire un suo piccolo sito, se avesse pubblicato contemporaneamente e in inglese il suo articolo e quelli dei suoi colleghi, l’impatto sarebbe stato forte. I quotidiani sarebbero stati costretti a parlarne. Forse sarebbero intervenuti nel dibattito. Allo stesso tempo il pubblico avrebbe potuto discutere nei forum di Kerneuropa.org e, grazie all’uso della lingua inglese, l’intero pubblico internazionale sarebbe stato in grado di partecipare.

Gli intellettuali europei devono costatare che l’Europa come istituzione sta acquistando potere, mentre come spazio pubblico esiste appena. Allo stesso tempo, il pubblico è stato globalizzato dalla rete, come hanno dimostrato i discorsi seguiti all’11 settembre. I grandi media americani inserirono on line molto materiale d’archivio sull’Afghanistan, Bin Laden e il terrorismo, e una settimana dopo il tedesco Spiegel citava interi paragrafi dal New Yorker , senza tuttavia nominare la fonte. Quando Arundhati Roy in Outlook India pubblicò una furiosa invettiva contro gli americani, allora i media europei quasi contemporaneamente ne presero nota, grazie a nuovi servizi offerti da internet come Arts&Letters Daily o Perlentaucher. Questi esempi mostrano che, dalla prospettiva di internet, il contrasto non è tra Europa e America ma tra il pubblico che è in grado di parlare la lingua inglese e tutto il resto. Un sito internet come Arts&Letters Daily che seleziona degli “articoli degni di nota” per la sua rassegna stampa da riviste culturali e media di qualità, può fare affidamento su centinaia di fonti, dal quotidiano arabo Al Ahram, al Guardian fino ad arrivare a uno sconosciuto giornale pubblicato da un istituto universitario statunitense.

Persino nei paesi di madre lingua inglese, alcuni media possono chiudersi alle possibilità offerte dalla rete, ma, generalmente, i quotidiani americani o inglesi assicurano un accesso più libero ai propri contenuti senza offrire, per questo, tutto gratuitamente. Il New York Times fornisce uno dei migliori e più accessibili servizi sulla rete e, stando ai dati, ne trae profitto. Anche le riviste culturali americane sono più generose di quelle europee. Spesso hanno degli sponsor e non sono interessate primariamente alla vendita dei loro contenuti quanto piuttosto alla loro diffusione presso un pubblico il più vasto possibile. Si sono così aperte a un lettorato nuovo che prima sapeva a stento della loro esistenza e che oggi le rintraccia facilmente tramite Google. Se Samuel Huntington scrivesse su Foreign Policy sulla minoranza messicana negli Stati Uniti, il FAZ, un quotidiano che non è in rete, lo citerebbe già il giorno successivo. La tendenza verso la lingua inglese diventerà ancora più irresistibile grazie a internet. L’inglese migliorerà il pubblico europeo. L’Europa seguirà il percorso già compiuto dai paesi del Terzo Mondo: i dibattiti fondamentali avverranno in inglese e i nuovi media e le nuove reti si svilupperanno formando questo nuovo pubblico. Dalla prospettiva della rete, l’Europa appare come un mosaico di identità e idiomi, che, a differenza di quanto avviene nel mosaico africano o in quello indiano, apparentemente restano autonomi gli uni dagli altri.

Quello che è straordinario in tutto questo è che, specialmente i due grandi paesi della Kerneuropa, Germania e Francia ignorano quasi del tutto questo sviluppo e si nascondono dietro un’apparente accusa di globalizzazione e dietro l’insistenza sul “vecchio modo di fare le cose”. L’accusa di globalizzazione non riesce a cogliere l’opportunità che si cela dietro questa tendenza verso l’inglese, l’opportunità, in primo luogo, di mostrare una differenza regionale all’interno di un idioma globalizzato cercando contemporaneamente la compatibilità con tutte le altre identità. L’India non sarebbe la più grande democrazia al mondo senza l’inglese. Straordinario tuttavia è anche il fatto che fino a ora, solo un grande quotidiano ha i mezzi per costruire un pubblico europeo con un giornale di lingua inglese: il New York Times con l’International Herald Tribune.

(c) Eurozine, www.eurozine.com

Thierry Chervel è direttore e cofondatore di Perlentaucher.


 

 

 

 

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista a
redazione@caffeeuropa.it