
Negli Stati Uniti il
deliberative poll avanza,
e produce risultati sorprendenti. Dal 19 gennaio al
26 febbraio 2004 la Pbs, la rete televisiva pubblica
americana, ha condotto un “sondaggio deliberativo”,
in cui cioè un gruppo di persone viene intervistato
su un certo tema, riceve del tempo per studiare l'argomento
e discuterne con altri cittadini comuni e infine torna
a rispondere sulle stesse domande. Questa volta 266
votanti hanno “deliberato” online sui candidati
e sui temi delle primarie presidenziali. Le loro opinioni
sono state comparate con quelle di due “gruppi
di controllo”, che hanno risposto alle stesse
domande senza però aver prima “deliberato”.
I componenti di questi due gruppi, rispettivamente di
346 e 546 cittadini, sono stati scelti in modo scientifico.
Dunque un totale di 1158 persone hanno partecipato all’esperimento,
che continuerà fino all’elezioni di novembre.
I partecipanti hanno discusso, un’ora a settimana,
in piccoli gruppi con un moderatore, dopo aver studiato
resoconti equilibrati. Hanno posto domande a esperti,
da cui hanno ricevuto risposte online. Hanno ricevuto
un Cd contenente materiale scritto e video sui candidati.
E’ stato consegnato un computer a chi non l’aveva,
e le discussioni sono state effettuate tramite microfoni,
perché, più che attraverso i testi, avvenissero
via voce. Il processo procura un’informazione
non solo più completa, ma anche più equilibrata
di quella che i votanti acquisiscono di solito, anche
durante una campagna presidenziale. Il livello d’informazione
dei partecipanti in questo caso è cresciuto del
10%, mentre quello dei “gruppi di controllo”
solo del 2%. Perciò, il
deliberative poll
offre un quadro di come reagirebbero se fossero indotti
a pensare più seriamente ai candidati e ai temi.
Veniamo ai risultati. I partecipanti, durante queste
deliberations, sono diventati più internazionalisti,
nel senso che è cresciuto il numero di chi condizionava
l’intervento militare in Iraq al conseguimento
di una “approvazione internazionale”. Quanto
ai candidati, l’aver acquisito nuove informazioni
su Kerry e Edwards ha fatto salire di più del
10% il consenso verso i due democratici. Più
in particolare, in contrasto con i risultati dei sondaggi
tradizionali e delle primarie, dove Kerry ha mantenuto
un ampio margine sul rivale di partito, i partecipanti
al
deliberative poll hanno espresso per Edwards
un apprezzamento uguale se non superiore rispetto a
Kerry (in media 56 a 55, in un “termometro”
di preferenza che arrivava fino a 100; 66 contro 61
sulla base di tratti come “sincero” e “intelligente”).
La predilezione per Edwards viene motivata dal suo maggiore
appeal presso i partecipanti repubblicani (che danno
una preferenza di grado 57 per Edwards, e di grado 43
per Kerry) e presso quelli indipendenti (66 contro 61),
mentre i democratici li valutano praticamente allo stesso
grado. Il vantaggio di Edwards cresce se si prendono
in considerazione solo i partecipanti alle
deliberations
(che sono, come detto, ancora più razionali e
approfondite rispetto ai “gruppi di controllo”).
L’interesse dell’esperimento consiste però
specialmente dai risultati del confronto con George
W. Bush. In un ipotetico duello con l’attuale
presidente, ben il 48% dei partecipanti afferma che
voterebbe Edwards, mentre il 37% sceglierebbe Bush.
Se fosse invece Kerry il candidato democratico, sia
lui sia Bush avrebbero il 47% delle preferenze (anche
in questi casi il vantaggio di Edwards scende nei “gruppi
di controllo”). Ben un quarto di quanti voterebbero
Bush affermano che sarebbero tentati di preferirgli
Edwards, il ché conferma il forte appeal di quest’ultimo
presso gli elettori repubblicani e indipendenti. Questa
è l’opinione anche di James Fishkin, direttore
del Centro per la Democrazia Deliberativa alla Stanford
Univeristy, che ha condotto lo studio insieme a Shanto
Iyengar e a Robert Luskin: “Il
Deliberative
Poll – spiega Fishkin – offre un quadro
di opinione pubblica informata, dopo che i votanti hanno
discusso sui candidati”.
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