Come
si fa a decidere fino a che punto la ricerca scientifica
può spingere le proprie ambizioni? Come si
possono misurare e valutare rischi e benefici che
le innovazioni tecnologiche possono apportare al nostro
modo di vivere e alla vita delle generazioni che ci
seguiranno? I temi dell’innovazione e della
responsabilità legano in un vincolo stretto
scienziati e politici, mondo della ricerca e società
civile. Agli sviluppi di questi argomenti la Fondazione
Bassetti dedica la sua attività fatta di incontri,
di lectures dei massimi esperti mondiali, di un sito
che raccoglie tutte le iniziative della fondazione
e le arricchisce di approfondimenti.
Piero Bassetti, presidente della fondazione, sostiene
che “il tema della responsabilità nell’innovazione
è un tema di grande rilevanza. L’incontro
tra sapere e potere è alla base di ogni fatto
innovativo, ogni supplemento di sapere si trasforma
in un supplemento di potere dando alle innovazioni
una rilevanza storica mai avuta in passato. Se però
ci fermiamo a pensare a come è gestita la responsabilità
dei processi innovativi ci troviamo a di fronte a
gravi problemi”.
In che senso?
In alcuni casi il potere che decide dell’uso
di un’innovazione può essere gestito
da un’autorità politica sottoposta ai
vincoli della responsabilità democratica, come
ad esempio il presidente americano che decide di lanciare
o meno la bomba atomica sul Giappone. Quando invece
questa stessa funzione è esercitata sul mercato,
come nel caso degli ogm, l’unica forma di controllo
sull’innovazione è la redditività.
Ma questa non prova l’esistenza di un giudizio
di responsabilità di carattere generale, di
tipo assoluto, per usare un’espressione che
forse rende meglio l’idea.
Che cosa intende esattamente con l’espressione
“responsabilità nell’innovazione”?
Due sono gli aspetti fondamentali, la definizione
dell’innovazione e la chiarificazione di che
cosa significhi il termine responsabilità.
In genere si definisce l’innovazione come qualsiasi
tipo di novità, una qualsiasi scoperta. L’innovazione,
invece, ha una caratterizzazione più precisa,
che si richiama alla definizione di Schumpeter. Abbiamo
cioè innovazione quando si genera una trasformazione
che influisce non solo sui modi di produzione, ma
anche sui modi di esistere, sulle nostre vite.
E la responsabilità?
Quanto alla responsabilità noi tutti abbiamo
una concezione personale, un modo di intenderla che
la colloca all’interno delle scelte individuali.
Il mondo occidentale non ha elaborato una cultura
della responsabilità collettiva. Questo è
un tema che ha bisogno ancora oggi di grandi approfondimenti.
Si parla molto di etica degli affari e di responsabilità
sociale delle imprese, ma quello che ci interessa
è capire chi è che si prende la responsabilità
di influenzare la storia quando questo non si fa con
l’uso tradizionale del potere, come facevano
Giulio Cesare o Napoleone, ma con un uso innovativo
del rapporto tra sapere e potere.
Chi sono i detentori di questa nuova forma
di potere?
È proprio questo il tema sul quale la Fondazione
lavora. Se lei facesse questa domanda a un politico
avrebbe certamente la risposta che l’innovazione
è regolata dalle leggi fatte dal Parlamento.
Ma non è affatto così: innanzitutto
perché la legge non è utilizzabile per
regolare l’improbabile, non si può fare
una legge su quello che non si sa. In secondo luogo
perché i tempi dell’innovazione anticipano
quelli del legislatore democratico che non può
legiferare sull’intenzione, ma lo fa sull’effetto.
Quando, ad esempio, si fanno leggi sulla clonazione,
questa è già una realtà che sta
cambiando il mondo.
Sembra una questione molto complessa.
È un tema difficile da porre all’attenzione
dell’opinione pubblica. Per questo motivo abbiamo
scelto come luogo sul quale andare ad affrontare il
dibattito una piattaforma globale e internazionale
come il web. La nostra fondazione vive dell’informazione
che si fa nel suo sito. Questo non è una vetrina
per comparire di fronte a un pubblico di navigatori,
ma è il terreno che ci consente di analizzare
il tema dell’innovazione nei suoi numerosi aspetti.
Grazie a questo modo di lavorare abbiamo scoperto
che l’innovazione non è solo quella che
si chiama science intensive, cioè
basata esclusivamente su un sapere tecnologico, ma
può anche essere poliedrica e creativa. Ad
esempio la minigonna è stata una innovazione,
un’invenzione capace di cambiarci la vita, di
modificare modelli di comportamento e atteggiamenti.
Una cosa è l’invenzione, ma questa
si fa innovazione solo quando riesce ad essere sfruttata
come strumento di potere.
Potere, una parola che ricorre spesso tra
i suoi discorsi, una parola che fa pensare che tra
innovazione e politica ci sia un ampio spazio di sovrapposizione,
di intersecazione.
L’innovazione ha un forte impatto sugli spazi
decisionali della politica. Anche se non è
la politica che decide, ad esempio, la nascita degli
ogm, è la politica che viene chiamata a porre
delle regole sull’utilizzo e la commercializzazione
dei prodotti della ricerca scientifica. I metodi democratici
vanno in crisi di fronte alla complessità delle
decisioni sull’innovazione per motivi legati
essenzialmente al sapere: non possiamo parlare di
responsabilità per persone che non conoscono
l’argomento su cui si sta decidendo. Non c’è
responsabilità senza consapevolezza.
Aumentare la consapevolezza delle persone
di fronte a questioni complesse, migliorare e rendere
più efficienti le dinamiche del sistema democratico.
Sono tutte cose che mi fanno pensare alla democrazia
deliberativa e ai deliberative polls ideati da James
Fishkin.
È vero. I sondaggi deliberativi sono interessanti,
propongono una tecnica per incrementare la consapevolezza
delle persone di fronte a problemi di pubblico interesse.
E le innovazioni hanno sempre una rilevanza pubblica.
Ci sono casi però in cui la politica si trova
a prendere decisioni senza poter ascoltare il parere
delle persone, allora il problema è quello
di avere una consapevolezza responsabile. Non possiamo
ammettere una risposta che lasci ai soli scienziati,
cioè a un sapere tecnico, la facoltà
di decidere in maniera attendibile per tutti. Ma ci
sono anche questioni che non si possono decidere con
un voto.
E allora dov’è la soluzione?
Una soluzione ce l’abbiamo nella tradizione
giuridica che ha inventato i processi. Un processo
è un modo per sottrarre al potere politico
un certo tipo di decisioni difficili, come il giudizio
sulla colpevolezza o l’innocenza di un accusato,
sottoponendole a un vincolo di procedura, parola da
cui deriva appunto il termine “processo”.
L’idea di deliberazione che è alla base
dei sondaggi di Fishkin non è lontana da questo
modo di affrontare problemi complessi. Come, allora,
mettere in atto dei processi deliberativi che possano
soddisfare l’esigenza di decidere in maniera
più consapevole? La risposta a questa domanda
è uno dei temi centrali dell’attività
della Fondazione Bassetti.
La Fondazione quindi si propone come obiettivo quello
di approfondire il rapporto tra la democrazia e le
responsabilità che sono portate dalle innovazioni
nella società contemporanea. D’altra
parte la deliberazione si presenta come uno strumento
procedurale efficace per la gestione della complessità
di questi problemi. Quindi l’opinione pubblica
svolge un ruolo concreto quando si parla di responsabilità
nell’innovazione.
Certamente. L’opinione pubblica è
il soggetto a cui la democrazia affida la responsabilità
perché l’attività dell’amministratore
deve sempre rispondere al giudizio pubblico. Certo,
quando parliamo di temi difficili come quelli scelti
dalla fondazione, ci si rivolge ad un pubblico che
in qualche modo vive all’interno dei problemi
che sono in agenda e ha una preparazione tale da poterli
comprendere.
Uno gli ultimi incontri che abbiamo realizzato, ad
esempio, è stata una lecture di Richard
Nelson, lo studioso americano che alla Bocconi ha
parlato dei temi dell’innovazione, mentre per
l’immediato futuro stiamo preparando un incontro
con il sociologo francese Bruno Latour che di fronte
ai dottorandi del Politecnico di Milano illustrerà
la sua tesi per cui la politica deve recuperare il
controllo della scienza.
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