328 - 25.09.07


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Un festival per due città

Enzo Restagno


Pubblichiamo questo articolo del direttore artistico del Festival MITO - SettembreMusica, che si svolgerà a Milano e a Torino dal 3 al 23 settembre 2007.
Tratto da http://www.comune.torino.it/settembremusica/

 

Una delle ragioni più profonde dell’amicizia che mi legava a Luciano Berio era il suo formidabile pragmatismo. Parlando delle operazioni musicali più elevate gli piaceva dire che quello era un genere di cose che si pensano facendole e si fanno pensandole; anche un festival naturalmente. Così, mentre prende forma con MITO SettembreMusica un grande festival che investe due città, ci si rende conto che la musica, con tutta la seducente varietà dei suoi generi, ha il potere di modificare un po’ alla volta idee come quelle di città, di territorio e di pubblico.

Da sistema chiuso entro la cinta delle proprie mura, la vita musicale si apre verso l’esterno ed evolve verso un’idea di territorio più vasta, in sintonia coi tempi che viviamo, suggerendoci di ascoltare le Variazioni Goldberg di Bach dentro la Mole Antonelliana e la Messa di Stravinsky sotto le antiche volte della chiesa di Sant’Ambrogio.

L’energia propulsiva di questo movimento che avvicina una città all’altra risiede però nell’idea stessa di festival. Per essere degno di questo nome un festival non deve essere soltanto una rassegna più o meno brillante di eventi musicali ma principalmente un sovvertimento benefico delle prospettive sulle quali si basa la vita musicale delle istituzioni che operano regolarmente sul territorio. Esso è dunque l’eccezione indispensabile al mantenimento delle regole. Perché questo accada il paesaggio musicale di un festival deve possedere un carattere errabondo e avventuroso, capace di offrire al suo pubblico occasioni molteplici e contraddittorie.
Sono le proposte musicali di MITO SettembreMusica sufficientemente molteplici e contraddittorie? Probabilmente si, giacché le musiche proposte vanno da quelle del Medioevo a quelle scritte ieri o ier l’altro; dall’Europa, all’America, al Giappone, alla Corea; dal jazz, al tango, al fado, al più sontuoso repertorio classico e romantico, all’opera barocca; dall’improvvisazione alla più studiata proprietà stilistica, come a dire dalle divagazioni estemporanee della fisarmonica di Galliano sui tanghi di Piazzolla al rigore della Grande fuga di Beethoven.
Nel delizioso labirinto che è il festival ognuno è invitato a seguire il filo della propria fantasia facendo nascere collegamenti fra la musica e i luoghi delle città, fra autori vicini e lontani nel tempo e nello stile.

Vissuto in questo modo il festival è una grande occasione per ripensare il già noto e scoprire territori dai quali pigrizia e conformismo ci avevano tenuti lontani. In queste intensissime tre settimane la musica passa sulle nostre due città come un’onda benefica; entra nei teatri e negli auditorium, si insinua nelle chiese e nei cortili, lambisce i musei e le aule universitarie, si impossessa delle piazze e dei chiostri; aggiunge alle strade, ai portici, ai sagrati e ai giardini una nuova prospettiva gentile e profonda, capace di ringiovanire il già conosciuto e di trasformarlo talvolta in uno scenario inatteso. Alla fine di questo vagare avventuroso e stupefatto tra le musiche che hanno fatto vibrare in maniera inaspettata taluni scenari cittadini che una quotidianità troppo affaccendata ci impedisce di scorgere, mi augurerei che restasse negli ascoltatori un rimpianto quasi superiore alle soddisfazioni ricevute, il rimpianto per quella molteplicità della vita che sempre ci sfugge, ma alla quale sentiamo che la nostra passione ci avvicina indefinitamente.

 

 

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