Gordon Brown
un gramsciano eclettico che flirta con i neocon. Nella
formazione culturale del neo primo ministro britannico,
racconta John Lloyd sul numero di luglio di Prospect,
ci sono idee e atteggiamenti ereditati da Antonio Gramsci,
“precursore di un comunismo accettabile”.
Innanzitutto, il riconoscimento dell'imprescindibilità
del legame tra teoria e prassi nel fare politico. “L'uomo
d'azione deve essere un vero filosofo – scrive
Lloyd citando Il moderno Principe – e
il vero filosofo deve necessariamente essere un uomo
d'azione”. E Brown è un intellettuale in
questo senso gramsciano, non un topo da biblioteca ma
un politico che ambisce a mettere in pratica visioni
della società anche molto sofisticate, apprese
come studente provetto dell'Università di Edimburgo
e successivamente come cocciuto studioso autodidatta
che negli ultimi anni si è appassionato al pensiero
conservatore inglese e americano.
Leggere, leggere, leggere. Gordon Brown va a letto
tardi e si sveglia presto per leggere il Clash of
civilizations di Huntington oppure il Free
World di Garton Ash. Pretende che i suoi collaboratori
e ora anche i suoi ministri conoscano questi volumi
per poterli discutere insieme. Se il suo predecessore
Tony Blair, racconta ancora Lloyd, incontrando una persona
si rivolgeva con un “Come va?”, Brown chiede
“Cosa sta leggendo?”. E non si riferisce
ai romanzi, che snobba (anche se d'estate legge anche
Harry Potter), quanto piuttosto a saggi, studi, analisi.
“Non sarà un grandissimo filosofo –
nota Geoff Mulgan in un altro degli articoli che compongono
il dossier di Prospect – ma, molto più
dei suoi predecessori, egli sarà un primo ministro
a suo agio con le idee, laureato e a casa sua in una
biblioteca”.
Aiutare la società ad agire come una comunità
morale e non come una somma di individui. Ecco lo scopo
della politica secondo Brown. E questa concezione dell'impegno,
sottolinea Mulgan attuale direttore della Young Foundation,
non era certo tra le più in voga nella sinistra
inglese negli anni '80 e '90 quando si sosteneva che
la moralità fosse un gusto personale molto meno
importante delle riforme costituzionali o di nuove strategie
economiche. È di fronte a questa divergenza con
la sinistra old style che Gordon Brown si rivolge
al centro e alla destra (anche a quella americana) per
trovare nuovi spunti. L'America intellettuale di Brown
non è certo quella della East Coast, di Berkeley
o Stanford, degli hippy e di un pensiero sincretico.
Su di lui hanno avuto influenza profonda quegli “illuministi”
della costa atlantica alla Robert Putnam o Howard Gardner
o anche Fukuyama. Legge i libri del politologo James
Q Wilson mentore di Reagan o della storica delle idee
Gertrude Himmelfarb (entrambi invitati ai seminari di
Downing Street ed entrambi con la patente di “neocon”)
oppure del filosofo inglese Roger Scruton, nuovo idolo
anche della nostra destra più colta (il suo Manifesto
dei conservatori è stato da poco pubblicato
anche in Italia da Cortina con prefazione di Giuliano
Ferrara).
C'è chi vede in queste scelte un ritorno alla
“sociologia della virtù” (definizione
della Himmelfarb) dell'Illuminismo inglese e soprattutto
scozzese in contrapposizione a quello francese e giacobino.
Sulle spalle di David Hume, Adam Smith e degli altri
compatrioti scozzesi, Brown vorrebbe provare a ricostruire
il tessuto morale della società inglese. A questo
proposito, la Himmelfarb ricorda la Teoria dei sentimenti
morali, il “libro di sinistra” di Smith,
nel quale l'altruismo e la moralità sono collocati
proprio al fondo della natura umana.
Nonostante il richiamo costante alla moralità,
nel Brown intellettuale non c'è nessun riferimento
alla religione. Addirittura, in Inghilterra non è
ancora chiaro se sia un credente o meno. Tuttavia Richard
Cockett, su Prospect, sottolinea il feeling
tra lo scozzese neopremier e il teologo americano Jim
Wallis che ha detto “egli [Brown, ndr]
ha il pensiero cristiano nel Dna. È molto potente
in lui, conosce le Scritture e sa cosa Dio vuole”.
Lo slancio verso la moralità e l'essere da esempio
per la comunità anima anche l'ultimo libro di
Brown, Courage: Eight Portraits. Otto ritratti
di personaggi che attraverso percorsi coraggiosi hanno
fatto la storia. Dietrich Bonhoeffer e Robert Kennedy,
Martin Luther King e Nelson Mandela sono individui che
attraverso scelte personali e sofferte hanno cercato
di cambiare rotta alla società nella quale si
trovavano a vivere. Le scelte e il coraggio morale di
uomini e donne soli diventano il motore per cambiare
uno stato di cose. Un po' quello che prova a fare Gordon
Brown, “il bene collettivo da realizzare insieme”
che ironicamente, scrive Lloyd, egli fa da solo, leggendo
e studiando la mattina presto o tardi la sera, per far
ricadere le idee apprese sui sul mondo reale. Secondo
la lezione di Gramsci.
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